La culla della filosofia occidentale – “Socrate” di Roberto Rossellini, 1970

Pubblicato il 6 Novembre 2023 in Outdoor Cinema
Socrate

Nei primi anni ‘60 Roberto Rossellini (1906-1977) si trova di fronte a uno dei tanti snodi cruciali della sua vita privata e artistica. Nell’arco di due anni, dal 1959 al 1961, passa dai fasti del Lido di Venezia con il Leone d’Oro assegnato al Generale della Rovere, ai rovesci al botteghino di due opere concepite sull’eco del primo centenario dell’Unità Italiana: Viva l’Italia, antiretorica rivisitazione della spedizione del Mille, e Vanina Vanini, rilettura del primo Ottocento altrettanto non allineata alle convenzioni. Il regista, sempre più geloso della propria indipendenza artistica che le produzioni cinematografiche gli garantivano sempre meno, decide di abbandonare la cinepresa (e relativo apparato produttivo) per rivolgersi alla telecamera ossia alla televisione che nel nostro paese, in quegli anni, significa il monopolio Rai con (dal 1961) due soli canali generalisti. Una tv di stato, pesantemente controllata dal potere politico, considerata ancora una specie di ancella tra le arti dello spettacolo, ma fortemente orientata alla formazione di una cultura di massa, sia in programmi specificatamente dedicati (uno per tutti: Non è mai troppo tardi del maestro Manzi) sia nei programmi di intrattenimento, a cominciare dai cosiddetti “sceneggiati” tratti da opere letterarie o teatrali. Rossellini concepisce un progetto di lungo respiro, da qualcuno definito megalomane, di narrazione della storia dell’umanità nel corso dei secoli attraverso personaggi emblematici o momenti cruciali mediante prodotti pensati, realizzati e destinati al piccolo schermo. Dalla preistoria al ‘900. Nascono così, non nell’ordine, ma con un chiaro intento unitario, L’età del ferro (1964), La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966), Atti degli apostoli (1969), Socrate (1970), Blaise Pascal (1972) Agostino d’Ippona (1972) L’età di Cosimo de Medici (1973), Cartesius (1974) e Il Messia (1975). Molti altri episodi, tra cui la tanto studiata e vagheggiata biografia di Karl Marx che avrebbe dovuto completare l’excursus, rimangono invece sulla carta.

Nel progetto avrebbero dovuto essere coinvolti anche altri autori che condividevano l’idea, come il figlio Renzo jr, un quasi esordiente Bernardo Bertolucci e giovani aspiranti registi del Centro Sperimentale di Cinematografia dove Rossellini insegnava.

A monte di ognuna di queste produzioni stanno ponderosissime ricerche storiche e documentazioni, anche di tipo scientifico, politico ed economico, tali da esaltare il più possibile la funzione didattica di quanto mostrato sul piccoloschermo. Il regista si riservava soltanto una certa libertà nello scavo psicologico e nella definizione interiore dei personaggi, sempre peraltro con l’obiettivo di esaltarne l’esemplarità. Da qui, appunto, da questo sforzo di oggettivizzazione e, al contempo, di diffusione capillare tra i telespettatori, la definizione di cinema didattico che gli studiosi attribuiscono a questa parte rilevante del corpus artistico di Rossellini. I film storici per la televisione si presentano dunque come vere e proprie “lezioni” esemplificative del cammino umano, senza alcuna influenza ideologica, ma puntando alla massima imparzialità possibile. Motivo che li rende, nel loro complesso, pienamente attuali e comprensibile anche oggi, a distanza di decenni e in presenza di innovazioni radicali intervenute nel linguaggio filmico.

Socrate

Con il suo cinema didattico Rossellini vuole dare ai telespettatori gli strumenti necessari per addentrarsi nel passato e, tramite la storia, comprendere del senso della propria vita. Ripensare il mondo contemporaneo e la propria condizione sotto una luce nuova, la luce della conoscenza. Ritrovare la capacità di immaginare prendendo le distanze dall’alienazione, prodotta dalla società dei consumi. Infine, non meno importante in un’epoca ancora caratterizzata dalla contrapposizione tra i blocchi, sfuggire alla tentazione della violenza e alla scorciatoia della guerra per risolvere i conflitti. Questo, in sostanza, l’ambizioso progetto rosselliniano. Ambizioso e, sopratutto, utopistico in particolare alla luce dello sviluppo preso dagli anni ‘80 a oggi dalla televisione pubblica e commerciale. Qualcosa di lontano anni luce dalla formazione culturale delle masse.

Una scelta di rigore

La scelta estetica di fondo operata da Rossellini nella realizzazione dei suoi film storici determina ovviamente anche il linguaggio narrativo. A partire dalla totale assenza di quegli stilemi tipici del genere ossia scene di massa, battaglie, amori, intrighi e altre cose simili messe solitamente in campo per “ravvivare” il racconto e catturare l’attenzione degli spettatori. L’essenzialità della messa in scena è per il regista lo strumento più efficace affinché il pubblico possa riflettere su quanto vede anziché emozionarsi per questo o quel personaggio, per questa o quella situazione. Il regista vuole indurre lo spettatore a ragionare sul proprio presente mediante la comprensione del passato. Ecco allora che anche lo stile cinematografico sembra quasi tornare al passato, ripudiando innanzitutto i nuovi mezzi tecnici messi a punto proprio negli anni ‘60. Ecco la prevalenza di campi totali da cui, mediante lenti zoom, si “stringe” su uno (o pochi) protagonisti che vengono così portati in primo piano per esporre quanto hanno da dire. Dai primi piani, zoom altrettanto lenti fanno tornare all’immagine d’insieme. Anche le scenografie e i costumi sono estremamente essenziali. E molto più corretti dal punto di vista storico nella loro sobrietà rispetto agli orpelli tipici del cinema commerciale in auge fino a pochi anni prima.

Socrate

Concetto e natura dell’anima

Nel Socrate di Rossellini non ci sono inesattezze storiche e i lunghi dialoghi, le “tirate” filosofiche sono desunte da opere che parlano del protagonista: i Dialoghi e L’apologia di Socrate di Platone e la commedia Le nuvole di Aristofane, citata in modo esplicito sia pur di sfuggita. Come è noto, Socrate non lasciò nulla di scritto e quanto sappiamo di lui lo dobbiamo appunto quasi esclusivamente alle fonti citate. Comprensibile anche la scelta di non porre in scena il personaggio dello stesso Platone, rimpiazzato, se così si può dire, dal meno noto Crizia che dà il nome a uno dei Dialoghi platonici in cui più si parla del comune maestro. Tuttavia proprio nel lungo discorso con i discepoli, in carcere, alla vigilia del giorno in cui dovrà bere la cicuta, gli sceneggiatori fanno esporre a Socrate un concetto che, con ogni probabilità, il filosofo non avrebbe mai potuto esprimere: l’immortalità dell’anima. L’anima così come la intendiamo noi, ossia un’entità immateriale, creata al pari del corpo, ma indipendente da esso. Ebbene questo concetto, formulato peraltro in modo diverso, viene introdotto nella filosofia greca non da Socrate, ma dal suo discepolo più illustre: Platone. Per costui l’anima, (psyché in greco) era semplicemente la sede del pensiero scientifico, della conoscenza numerica, razionale, universale e universalmente accettata. In contrapposizione alla conoscenza sensibile, ossia veicolata dall’esperienza dei sensi, diversa per ciascun essere umano, e perciò arbitraria e mutevole. Platone introduce il dualismo tra anima e corpo, inesistente fino a quel momento nella cultura greca, semplicemente per superare l’impasse che la conoscenza sensibile frappone all’unità del sapere.

Otto secoli dopo Agostino d’Ippona, filosofo neoplatonico arrivato al cristianesimo dopo una giovanile adesione al manicheismo, la dottrina religiosa fondata sul principio del dualismo (bene-male), riprende quel concetto e lo trasforma in ciò che ancora oggi è ritenuto quasi universalmente: l’anima come entità a sé stante, contrapposta e antagonista al corpo. Purezza assoluta, incorruttibile, perfetta, immortale, in antitesi al suo involucro mortale, lurido, lercio, fetido, corruttibile e corrotto. Nulla a che fare con Socrate e, tutto sommato, poco a che fare anche con il cristianesimo primitivo visto che l’immortalità dell’anima non compare neppure tra i dogmi enunciati nel Credo, il compendio della fede cristiana, mentre vi compare il corpo alla cui resurrezione (per meglio dire “rinascita”) si fa invece esplicito riferimento: anàstasis necròn in greco.

La riprova? Gli stessi autori del Nuovo Testamento (tutti i Vangeli sono stati scritti in greco) quando vogliono indicare la parte spirituale della persona umana non usano la parola psyché, ma pnèuma (spirito, soffio). Al pari di san Paolo che nell’insieme delle sue lettere, i primi testi in assoluto in ordine cronologico che documentano la nascita del cristianesimo e della sua dottrina, non si avvale praticamente mai del concetto espresso dalla parola psyché mentre usa sempre l’altra (pnèuma) in antitesi non al corpo (soma in greco), ma alla “carne” (sarx) ossia alla parte mortale dell’essere umano, quella che, anche secondo l’Antico Testamento (Genesi 2, 7), Dio plasmò dalla polvere del suolo.

Sul tema può essere interessante il parere di un filosofo contemporaneo:

 

Il regista

Roberto Rossellini (1906-1977) è giustamente annoverato tra i più importanti autori cinematografici del ‘900. Figlio di un costruttore edile, arriva al cinema dalla gavetta, ma ben presto si segnala come uno degli autori più innovativi sia pur nel clima di ferrea censura che il Regime Fascista impone all’industria cinematografica come a tutti gli altri settori artistici. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale realizza tre film (La nave bianca, 1941; Un pilota ritorna, 1942 e L’uomo della croce, 1943) che, per quanto necessariamente orientati alla propaganda bellica, trovano spunti per mettere in scena un’umanità “vera” sfrondata da ogni forma retorica. È tuttavia con il dopoguerra che il regista si impone all’attenzione internazionale con titoli rivoluzionari per forma e contenuto (Roma città aperta, 1945; Paisà, 1946 e Germania anno zero, 1948) dando vita, insieme con altri autori della sua generazione tra cui Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Giuseppe De Santis, Aldo Vergano, Renato Castellani, a ciò che verrà chiamato Neorealismo. Una forma di cinema legato alla realtà quotidiana del paese, alle classi subalterne e ai loro problemi, realizzato al di fuori degli studi cinematografici e con attori spesso non professionisti. Un cinema di forte impatto sociale, di tendenza quando non tendenzioso e sempre di natura “politica” dove con questa parola si intende il coinvolgimento della classe intellettuale alle sorti di un paese uscito distrutto da una dittatura ventennale e in cerca di una nuova identità.

Anche i titoli successivi sono improntati a un forte sperimentalismo dovuto essenzialmente alla volontà di uscire dagli schemi del cinema convenzionale. Stromboli, terra di Dio (1949), Francesco giullare di Dio (1950), Europa ‘51 (1950), Viaggio in Italia (1954) e Giovanna d’Arco al rogo (1954) sono i titoli più significativi di questa stagione artistica, caratterizzata, sul piano personale, dal legame con l’attrice svedese Ingrid Bergman. Dopo un lungo soggiorno in India, per conto del governo locale, e dopo la realizzazione di un lungo documentario sul paese asiatico (India-Matri Buhmi, 1954), Rossellini conosce le vicissitudini cui abbiamo fatto cenno all’inizio e matura così la scelta di dedicarsi al “cinema didattico” veicolato dallo schermo televisivo. Molti registi cinematografici delle generazioni successive, François Truffaut e Martin Scorsese tra gli altri, si sono riconosciuti nella lezione stilistica e nell’estetica di Rossellini al pari degli autori della Nouvelle Vague che lo hanno collocato tra i propri referenti imprescindibili.

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