Durante le recenti manifestazioni nelle università francesi è apparso, tra gli altri, un cartello con questa scritta: «le Vietnam a vaincu – l’Algerie a vaincu – la Palestine vaincra (Il Vietnam ha vinto, l’Algeria ha vinto, la Palestina vincerà)». Ai fini del nostro percorso nel cinema storico, l’aspetto interessante di questo slogan studentesco è il riferimento a due precisi eventi che hanno riguardato la storia della Francia nel corso del XX secolo: la Guerra di Indocina (1946-1954) combattuta tra le truppe d’occupazione francesi nel Sudest asiatico (Vietnam, Laos e Cambogia) contro i Viet Minh di Ho Chi Minh, e la Guerra di Liberazione l’Algeria (1954-1962) combattuta nel paese africano sempre dall’esercito francese contro il Fln (Front de Libération National). Entrambe le campagne terminarono con la fine dell’occupazione coloniale e le dichiarazioni d’indipendenza dei paesi coinvolti. Va ricordato che la Guerra d’Indocina non si concluse con la sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu (maggio 1954), ma proseguì per altri 20 anni con la ben più nota (e cinematografata) Guerra del Vietnam tra gli Stati Uniti e le forze della resistenza Vietcong conclusa il 30 aprile 1975 con la partenza da Saigon (oggi Ho Chi Minh City) dell’ultimo marine.
Le conseguenze del colonialismo
Tra le conseguenze indirette del secondo conflitto mondiale ci fu, tra gli anni ‘50 e ‘60 del ‘900, un generale processo che coinvolse decine di paesi e milioni di persone, soprattutto in Asia e Africa, che portò all’indipendenza delle ex colonie, principalmente britanniche e francesi. All’inizio del secolo scorso il Contenente Nero presentava due soli stati indipendenti: la Liberia, creata per quegli schiavi americani liberati (da cui il nome) che desideravano tornare nella terra dei loro avi, e l’Etiopia. Il resto era suddiviso tra le potenze europee (Francia e Gran Bretagna su tutte, ma anche Portogallo, Belgio, Germania, Italia e Spagna), che ne sfruttavano le risorse economiche e le materie prime per le loro industrie. Non di meno nel corso della guerra contro il nazifascismo gli alleati avevano fatto ricorso a numerosi reparti ausiliari formati da soldati e ufficiali africani formatisi nelle accademie militari e nelle caserme europee. Questi ultimi, insieme a una piccola elite di un’emergente borghesia a sua volta istruita in Europa, diede vita a quei movimenti indipendentisti che nel giro di 10-15 anni dalla fine delle ostilità portarono alla formazione degli stati postcoloniali. Va detto peraltro che le nuove entità politiche, i cui confini erano stati disegnati dagli europei, molto spesso non tenevano conto delle diversità etniche, religiose, culturali e persino linguistiche esistenti al loro interno per cui sovente tali diversità portarono, dopo l’indipendenza, ad altri conflitti, guerre, rivolte e violenze. Inoltre l’affrancamento politico dalle potenze europee non coincise mai con un parallelo affrancamento economico per cui i nuovi paesi restarono vincolati e subordinati ai vecchi padroni e alle loro industrie, in special modo a quelle petrolifere, del caucciù, del cacao e dei preziosi.
Attori molto… in parte
In questo contesto si inserisce la realizzazione di questo film, commissionato dal Fln algerino e coprodotto da Italia e Algeria, affidata al regista italiano Gillo Pontecorvo. Gli autori mostrano le fasi più acute e critiche della crisi che nel 1957 aveva sconvolto la vita quotidiana della capitale algerina e che nell’arco di alcuni anni avrebbe portato all’indipendenza. Film di parte, dunque, che non ha pretese documentaristiche anche se in qualche caso gli “attori” sono veri esponenti del Fnl che avevano preso parte attiva alla resistenza. Il centro drammaturgico delle vicende narrate è appunto la rivolta scatenata nella Kasbah di Algeri e la conseguente repressione messa in atto mediante l’invio di un reggimento di paracadutisti già impegnato in Indocina. A un certo punto, infatti, il comandante del reparto, col. Philippe Mathieu, fa un esplicito, seppur fugace, riferimento alla battaglia di Diem Bien Phu.
La natura di fiction del film si esplicita innanzitutto dalla sua composizione narrativa che è, per la quasi totalità, racchiusa in un flashback, ossia in una ricostruzione dei fatti mediante l’esperienza individuale dei personaggi in scena. Non una “cronaca”, dunque, ma una “memoria” sia pur oggettivata da un approccio distaccato e neutrale della regia.
Snodo importante degli eventi non è infatti la singola battaglia o l’azione militare, ma il dialogo sulla rivoluzione (le sue motivazioni e il suo scopo) che intercorre durante una fuga notturna sui tetti della kasbah tra il protagonista, Alì la Puente, e Ben M’hidi, l’ideologo del Fln. Cui fa da perfetto contraltare la conferenza stampa del colonnello Mahieu sui metodi di lotta al terrorismo e sul vero nodo della questione: il dilemma politico dell’opinione pubblica francese sulla necessità (la volontà) o meno di restare in Algeria.
Premi e boicottaggi
Per la realizzazione del film Pontecorvo allestisce una troupe tecnica con il gotha della cinematografia italiana dell’epoca. Come suo assistente alla regia chiama Giuliano Montaldo, per la stesura del soggetto e della sceneggiatura ricorre a Franco Solinas mentre il montaggio è affidato a Mario Serandrei. Il cast è invece interamente locale con alcuni attori francesi tra cui Jean Martin (nel ruolo di Mathieu) che prima di intraprendere la carriera artistica si era effettivamente arruolato nei parà e aveva combattuto in Indocina.
Leone d’oro a Venezia nel 1966, il film venne boicottato dalle autorità francesi che ne impedirono la distribuzione fino al 1971. Con una eccezione: il fondatore e direttore della Cinématheque Française di Parigi, Henri Langlois, che invece ritenne opportuno mostrarlo ai suoi concittadini dagli schermi della sua istituzione. Il motivo della censura era con ogni probabilità dovuto al fatto che il film mostra non solo le azioni terroristiche del Fln algerino, ma anche le “gesta” dei controrivoluzionari terroristi dell’Oas (Organisation armée secrète) organizzazione paramilitare clandestina cui facevano parte anche funzionari statali. Nel film un commissario di polizia. Una bella dimostrazione di come nei conflitti purtroppo sempre più numerosi che hanno fatto (e stanno facendo) seguito alla Seconda Guerra Mondiale sia sempre più determinante l’azione di intelligence, di propaganda e di disinformazione.
Il regista
Di famiglia ebraica benestante, quando il regime fascista emana nel 1938 le leggi razziali Gilberto (Gillo) Pontecorvo (1919-2006) abbandona l’Italia e con il fratello Bruno, maggiore di sei anni, si trasferisce a Parigi dove conosce altri esuli antifascisti e numerosi artisti che animano la vita culturale della capitale francese. Qui muove anche i primi passi nel mondo del cinema sotto la guida del regista Yves Allégret. Nel 1941 aderisce al Pci e, dopo l’8 settembre ‘43, partecipa alla lotta partigiana. Nel dopoguerra continua a lavorare nel cinema (interpreta un partigiano fucilato nel film di Aldo Vergano Il sole sorge ancora), ma si dedica anche al giornalismo. Dopo aver girato alcuni documentari a sfondo sociale, nel 1957 dirige il suo primo lungometraggio di finzione: La grande strada azzurra, anch’esso centrato sulle questioni sociali emerse negli anni della ricostruzione postbellica. La notorietà arriva nel 1960 con il drammatico Kapò, sui campi di sterminio nazisti, mentre la consacrazione come autore di un cinema d’impegno a sfondo storico arriva nel 1966 appunto con La battaglia di Algeri. Analoghi per tematica, ma meno riusciti artisticamente, sono i successivi Queimada (1969), ancora sul colonialismo, e Ogro (1979) sul terrorismo basco antifranchista.
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