Uno dei fil rouge più interessanti per chi in Bretagna va in cerca di cultura locale e fugge dal turismo di St Malo e altre località alla moda, è la cultura del Calvario. Vediamo insieme di che si tratta.
Nei complessi parrocchiali bretoni sono presenti elementi riconducibili forse alla religione celtica, in particolare alle concezioni sulla morte (in lingua bretone: “ankou”), che – presso i Celti – non era vista come un inferno terribile, ma come un qualcosa strettamente legato alla resurrezione, paragonato al sole che sorge e tramonta e, che quindi non va “nascosta”, ma resa il più possibile “familiare” .
Il fiorire di questo tipo di architettura si deve al fervore religioso della gente e alle missioni evangelizzatrici.
È collegato inoltre all’ascesa dei commerci marittimi e dell’industria del lino tra il XVI e il XVII secolo: i commercianti di questi settori fornivano infatti i fondi necessari per la realizzazione dei complessi parrocchiali.
Accadeva così che in Bretagna – formata a quei tempi da pochi centri urbani e molti villaggi rurali – le varie parrocchie rivaleggiassero addirittura tra loro per vedere chi costruiva il complesso più bello.
Per la realizzazione di queste opere architettoniche veniva così commissionato il lavoro di artisti (famosi e non) di vario genere, come scultori, pittori, vetrai, ebanisti.
Una delle parti artisticamente più rilevanti all’interno del recinto parrocchiale è solitamente il calvario: si tratta della raffigurazione (quasi un “racconto”) in pietra della Passione di Cristo, scolpita su un basamento in granito da artisti celebri od anonimi in occasione di calamità o pestilenze e che in Bretagna – dove quest’arte è databile tra la metà del XV e il XVII secolo – risulta spesso molto elaborata, con l’aggiunta di altri elementi (altri episodi del Nuovo Testamento, episodi dell’Antico Testamento, ecc.) e/o figure (come figure di santi o come gli Apostoli, la Vergine Maria, la morte con la falce, chiamata in bretone Ankou, ecc.), quest’ultime spesso “vestite” con gli abiti dell’epoca in cui sono state scolpite.
Il calvario aveva una funzione “didattica” e serviva per “elevare” a Dio l’anima dei credenti.
Si ipotizza che questo tipo di scultura possa ricondursi alle croci che i primi Celti di religione cristiana solevano porre in cima ai menhir.
Il calvario bretone più antico è quello di Tronoën, che risale al 1450 – 1470 e che si trova nel territorio comunale di Saint-Jean-de-Trolimon a nord-est di Pointe de la Torche, nel Finistère meridionale.
Uno dei più complessi è invece quello di Guimiliau (1581 – 1588), con ca. 200 figure.
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