Il 2019 si è aperto con il rinnovato interesse di Fondazione Cariplo nel settore della Ricerca scientifica. Nel solo mese di dicembre, infatti, sono stati sostenuti ben 64 progetti di ricerca per un importo complessivo che si aggira intorno ai 17,7 milioni di euro. Un impegno straordinario in termini di risorse economiche e non solo. La Fondazione ha individuato nuovi ambiti di intervento, per esempio, dalla Biomedicina alla Economia Circolare, alla Scienza e società, alla Fisica, Chimica e Ingegneria.
La Ricerca inoltre si apre al mondo femminile: il 42% dei progetti sostenuti è in mano a ricercatrici decise, determinate, in grado di raggiungere gli obiettivi conciliando lavoro e famiglia.
La grande passione per la Ricerca Scientifica è il motore che ha consentito a Fondazione Cariplo di raggiungere importanti traguardi negli ultimi 27 anni: 520 milioni di euro per oltre 2500 iniziative. Ventisette anni di impegno che hanno permesso a Fondazione Cariplo di diventare il più eclettico mecenate in Italia nell’ambito della Ricerca scientifica. Un dato su tutti: sono stati inseriti grazie ai progetti sostenuti dall’ente filantropico oltre 6030 ricercatori dal 1991 a oggi.
Diversi e sempre in evoluzione gli ambiti coinvolti:
Materiali avanzati,
Ricerca sulle biotecnologie industriali e sulla bioeconomia,
Ricerca per il dissesto idrogeologico,
Ricerca biomedica,
Agroalimentare,
Ricerca sociale,
Supporto alla formazione del capitale umano. Giovani ricercatori e donne al centro.
Spiega Giuseppe Guzzetti, Presidente Fondazione Cariplo: “Abbiamo fatto insieme tanti passi avanti nella soluzione a problemi anche quotidiani, dalla ricerca biomedica a quella sociale, dal trasferimento tecnologico alla ricerca agroalimentare. Vorrei a questo punto della mia carriera e della mia vita consegnare un mandato a tutti i ricercatori in cui abbiamo creduto: vi chiedo di testimoniare con ancora più vigore i nostri valori e di sentirvi appartenenti alla medesima comunità. Fatevi ambasciatori nel mondo della qualità e della professionalità del vostro lavoro e del nome di Fondazione Cariplo che ha creduto in voi e continuerà a farlo”.
Risultati possibili solo grazie all’impegno delle centinaia di ricercatori che ogni giorno condividono una sfida con dedizione, talento e passione. Fondazione Cariplo intercetta le più importanti sfide che oggi si trova ad affrontare il mondo della ricerca. L’obiettivo ultimo restano le persone, quelle vincitrici dei bandi e quelle che potranno beneficiare e sperimentare i risultati delle ricerche portate avanti nei centri di ricerca.
Conferma Carlo Mango, Direttore Ricerca Scientifica: “I contributi di Fondazione Cariplo divengono molto spesso una palestra, perché beneficiare di un grant di Fondazione Cariplo ha permesso a molti ricercatori di “allenarsi” per partecipare a progetti di respiro internazionale. Alcuni ricercatori, poi, grazie ai grant di Fondazione Cariplo hanno la possibilità di entrare nel mondo della ricerca con una borsa di studio, come è successo a Carlo Rubbia”.
Nel 1959 il giovane venticinquenne Carlo Rubbia scrive alla Commissione Centrale di Beneficenza dalla Columbia University: “I miei più sentiti ringraziamenti per l’assegnazione della borsa di studio. Attualmente mi trovo a New York, partecipo alla Columbia University a un esperimento di fisica nucleare da eseguirsi alla macchina acceleratrice di Nevis”. Carlo Rubbia tornerà in Italia e vincerà poi nel 1984 il premio Nobel per la fisica. Entrerà anni dopo a far parte della Commissione Centrale di Beneficenza.
ANNALISA MURGIA, progetto ROSE: da Leeds a Milano per capire come tutelare i lavoratori autonomi senza dipendenti
La Prof.ssa Annalisa Murgia è responsabile del progetto SHARE finanziato nella call ERC Starting grant 2016 con un contributo di 1.258.250 euro. Il progetto è partito ufficialmente il 01/09/2017 presso l’Università di Leeds (UK) ma, attivando il meccanismo della portabilità del contributo, la ricercatrice sposterà la sua attività di ricerca e il suo grant presso l’Università degli Studi di Milano. Il progetto ERC di cui è titolare indaga le condizioni professionali e la crescente richiesta di tutele e rappresentanza dei lavoratori autonomi senza dipendenti. Affrontare questo tema nel contesto milanese appare particolarmente strategico sia per la presenza significativa di questa tipologia di contratti, sia perché proprio a Milano si sono sviluppate alcune realtà volte a dare voce ai lavoratori autonomi senza dipendenti al fine di garantire maggiori livelli di protezione sociale.
Racconta Annalisa Murgia: “Fin dal dottorato, conseguito nel 2009 presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Trento, ho concentrato i miei studi sui percorsi biografici di lavoratrici e lavoratori che vivono una situazione di precarietà. Il mio interesse è sempre stato rivolto non solo alla tipologia contrattuale e alla posizione professionale che i soggetti occupano all’interno del mercato del lavoro, ma soprattutto alla dimensione sociale del fenomeno precarietà, così come percepito e raccontato dalle persone che la vivono quotidianamente. Ho proseguito questa linea di ricerca per diversi anni, approfondendo il tema delle diseguaglianze di genere e la costruzione identitaria di donne e uomini rispetto alla precarietà. A partire dal 2012 mi sono occupata dei rapporti tra genere e precarietà nei contesti accademici. La precarietà nella hanno rappresentato senza dubbio le principali difficoltà incontrate durante la mia crescita professionale. Soltanto nel momento in cui ho deciso di partecipare a concorsi all’estero ho finalmente ottenuto una posizione stabile (e decisamente meglio retribuita rispetto all’assegno di ricerca che percepivo in Italia!). E’ così che ho iniziato a lavorare presso la Work and Employment Relations Division della Business School dell’Università di Leeds. Poco dopo ho ottenuto il Grant ERC, cominciato circa un anno fa, e ora – anche grazie alle azioni di attrattività messe in campo dalla Fondazione Cariplo – sono rientrata in Statale, in uno dei migliori dipartimenti di scienze sociali in Italia, quindi non posso che essere felice.”
“Il progetto ROSE – Representing and Organising Self-Employed workers – vuole esplorare le condizioni professionali e la crescente richiesta di tutela e rappresentanza da parte dei lavoratori e delle lavoratrici non-standard, con particolare attenzione al lavoro autonomo senza dipendenti. La ricerca prevede un’analisi statistica del fenomeno a livello europeo in sei paesi europei (Italia, Germania, Francia, Olanda, Regno Unito e Slovacchia). Il mio sogno è quello di lavorare in una università aperta, inclusiva e capace di valorizzare le differenze di genere e le diversità più in generale, sia nella ricerca sia nella didattica. In particolare credo che la ricerca sia un processo collaborativo, che viene alimentato dal lavoro di gruppo e dal confronto costante. Il progetto ERC ha contribuito a realizzare un pezzetto di sogno, perché mi ha consentito di costruire un gruppo di lavoro. Ora la sfida è farlo crescere e, più in generale, sostenere le persone all’inizio della loro carriera nella costruzione di un percorso accademico solido e coerente, anche sul lungo periodo. Nonostante i molti problemi dell’università italiana sono comunque tanti/e i ricercatori e le ricercatrici che praticano quotidianamente l’ottimismo della volontà cercando di costruire, all’interno dell’università, percorsi teorici e di ricerca elaborati collettivamente e mirati a costruire un ambiente più inclusivo, interessante e accogliente. E’ attraverso la cura di queste reti e di queste relazioni che penso si possa portare avanti questo sogno e dargli concretezza. Il mio augurio è che le università in Italia non si sottraggano al loro ruolo pubblico e si facciano portatrici di percorsi e pratiche di solidarietà attiva, mantenendo la loro autonomia nella circolazione dei saperi e contribuendo al miglioramento del benessere collettivo“.
Per saperne di più: www.unimi.it/lastatalenews/share-progetto-studia-aree-ibride-mercato-lavoro
DANIELA BUONOCORE, con l’Economia circolare come individuareun processo di estrazione di molecole da materiale di scarto vegetale
Il progetto PHYVER si propone di sviluppare un innovativo processo di estrazione di molecole da materiale di scarto vegetale con costi contenuti e ridotto impatto ambientale. Le molecole così estratte saranno utilizzate nell’industria nutraceutica e cosmetica
Spiega Daniela Buonocore: “Il mio percorso formativo è iniziato circa sedici anni fa a Pavia, dove ho deciso di trasferirmi, lasciando Capri, mio paese di origine. All’Università degli Studi di Pavia ho proseguito gli studi scientifici iscrivendomi al corso di laurea in Scienze Biologiche per poi conseguire il titolo di laurea quinquennale e successivamente il dottorato di ricerca in Scienze Biomediche. Durante gli anni di formazione ho lavorato, prima come tesista, presso il laboratorio di Biologia Molecolare Vegetale del Dip. di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” e successivamente come borsista e assegnista per attività di ricerca presso i laboratori di Farmacologia dello stesso Dipartimento, dove continuo la mia attività di ricerca ancora oggi. Le principali difficoltà affrontate sono state relative alla possibilità di uscire dallo schema classico della ricerca pura, come quella farmacologica, di un tipo di ricerca di base astratto e non applicativo, per entrare in schemi di una nuova frontiera, di una ricerca applicativa, che avesse un riscontro nell’immediato, nella vita quotidiana: recupero di sostanze con proprietà benefiche (nutraceutici e cosmeceutici) per la salute dell’uomo, riciclando scarti derivanti dai prodotti dell’industria agroalimentare, diversamente sprecati; svolgendo il tutto in maniera sostenibile e nel rispetto dell’ambiente.
“L’Italia è tra i primi produttori di ortofrutta in Europa e nel Mondo; secondo i dati del CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli), aggiornati al 2012, il Paese produce annualmente in media 36 milioni di tonnellate di ortofrutta con un andamento sostanzialmente stabile: 14 milioni di tonnellate di ortaggi e 22 milioni di tonnellate di frutta. Gli scarti dei prodotti vegetali, principalmente delle industrie di trasformazione, costituiscono un’immensa quantità di materiale, nel complesso possono rappresentare dal 20 al 36% del peso della materia prima manipolata, non facilmente eliminabile. Uno dei problemi annosi per il settore ortofrutticolo è la perdita di redditività del prodotto legato allo scarto generato nel processo di lavorazione del prodotto fresco, questo costo, che diventa importante durante i diversi passaggi di lavorazione dei prodotti finiti, impatta non solo sui produttori ma su tutti gli attori della filiera e anche sul consumatore finale. Volendo discutere in termini di economia circolare, la strategia del progetto PHYVER è di consentire l’implementazione di un ciclo virtuoso che nasce dal riciclo e dalla valorizzazione degli sprechi alimentari, recuperando dagli scarti, derivanti dai prodotti dell’agro-alimentare, sostanze (fitochimici) con un elevato valore nutrizionale e con proprietà benefiche per la salute dell’uomo, abbattendo in questo modo i costi di smaltimento dei rifiuti. Il progetto PHYVER si prefigge l’obiettivo di mettere a punto un processo sostenibile, in grado di estrarre sostanze (nutraceutici e/o cosmeceutici) interessanti ad esempio per il Mercato degli integratori alimentari o per quello dei cosmetici.
“Vorrei poter avere la possibilità di continuare a lavorare nel mio Paese nel campo della ricerca applicata, affrontando sempre nuove sfide, la cui risoluzione possa avere un impatto immediato sulla società. Si prevede che la crescita della popolazione mondiale richiederà un aumento della domanda alimentare del 70% entro il 2050; ciò porterebbe alla necessità di sfruttare al meglio i nutrienti e le molecole funzionali ottenibili dai prodotti agricoli, riducendo il più possibile le quantità di scarto da essi derivate. Il “sogno nel cassetto” è principalmente la traduzione concreta del progetto: dimostrare che i rifiuti agricoli possono essere utilizzati come materia prima per l’estrazione e la purificazione di sostanze fitochimiche attraverso un metodo semplice, a basso costo e sostenibile. Inoltre, la restante massa di rifiuto può essere utilizzata per la rigenerazione del suolo contribuendo in questo modo a migliorare la produttività agricola. l’importante finanziamento che la Fondazione Cariplo ci ha concesso, ci permetterà di acquistare strumentazione importante e di avere il supporto di menti giovani e questo sarà un avvio dei lavori e un passaggio fondamentale per ottenere i risultati attesi“.
MARCO RASPONI: cartilagine su chip per curare l’osteoartrite
L’osteoartrosi è una patologia degenerativa a carico delle giunzioni articolari e rappresenta una importante causa di disabilità, fragilità e irrigidimento nella popolazione anziana. Ad oggi, non esistono terapie risolutive e sostanzialmente si ricorre all’uso di antidolorifici. Il progetto mio e del team cerca di capire quali meccanismi molecolari si attivano durante l’insorgenza della patologia, dettaglio ad oggi per lo più sconosciuto. Inoltre, è in corso un trial clinico, guidato dall’Università di Basilea, che mira a valutare la riparazione dei difetti articolari traumatici grazie all’uso di cellule ottenute da biopsie nasali dal paziente stesso.
Per il nuovo anno mi auguro un piano di investimenti coraggioso per l’Università, che possa permettere alle tante eccellenze che ci sono nel nostro Paese, soprattutto giovani, di competere ad armi pari con i loro colleghi europei. Investire in ricerca significa davvero investire nel futuro, soprattutto nel periodo attuale dove l’avanzamento tecnologico sta trainando ormai da diversi anni anche l’economia. Una possibile strategia che vedrei bene calata nel contesto italiano attuale, è quella di cercare sinergie tra pubblico e privato, cavalcando il fiorente scenario delle startup innovative, spesso formate appunto da giovani dottori di ricerca.
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