Non so voi, ma credo proprio di sì: io della cucina in TV non ne posso proprio più. Iniziamo dal principio: la cucina in TV nasce nel 1952 in una trasmissione diretta alle donne (che allora si definivano ‘signore’) nel pomeriggio del venerdì, alle 17,30 – Vetrine – ideata e condotta da me. Come le varie rubriche – moda, diritti civili, libri, puericultura, arte – anche la rubrica di cucina era affidata a una esperta – Luisa DeRuggieri – la più dolce e colta cuoca mai apparsa in Tv. Che consapevole del mezzo e del pubblico (signore di mezza età, giovani e mai giovanissime) raccontava e mostrava ricette casalinghe e piccoli accorgimenti utili di ‘economia domestica’. Una rubrica per la quale avevo ottenuto anche un piccolo spazio sul Radiocorriere perché fosse davvero utile a tutti.
Da lì, scavalcando buonsenso, anni e mode, siamo arrivati alla cucina pigliatutto per tanti e per nessuno. Non c’è canale o orario senza un pizzico di sale o una spruzzata di limone. Peraltro inutili, solo spettacolari: perché dubito fortemente che tra le difficoltà e la rapidità, qualcuno impari qualcosa da quello che i cuochi fanno in TV.
Da questa ridda di sapienti del nulla ne salvo due: Benedetta Parodi e Alessandro Borghese. Per ragioni opposte. Benedetta è una ragazza simpatica, intelligente, spiritosa. Sa fare da mangiare come quasi tutte le donne che fanno da mangiare, ma con spirito goliardico, ammiccante. Non sbaglia un colpo, ma sembra più fortuna che abilità, invece è talento. E, cosa strana ormai: è una donna normale.
Alessandro Borghese si presenta in una cucina che non vincerebbe il Compasso d’oro, vestito di nero, con i capelli sugli occhi e la parlata a sci e scio che anni di TV non gli hanno corretto. Una ricotta che diventa panna montata, un pesce all’odore del caffè, una macedonia di verdure e frutta, il tutto al suono di raffinatissimi rap. Da lui non si impara, con lui ci si diverte. E lui che è il meno cuoco di tutti lo è veramente. Persino bravo.
A questo punto, da scettica mai convertita alla cucina, mi sono posta qualche domanda. E mi sono ricordata di Eraclito, che con la storia degli opposti ci spiega la guerra quotidiana tra due forze equivalenti. Non è forse la malattia che rende buona la salute? E non è forse la fame che gratifica la sazietà?
E ho finalmente capito che la televisione con questo esubero di ricette, pasticci frettolosi, gare, insulti, esulti e costernazioni, facce feroci e camici bianchi da chirurgo (ma anche da parrucchiere), cibi e chiacchiere, vuole opporsi come equivalente alla fame nel mondo.
Scusate l’irriverenza, soltanto verbale. Ma una domanda: tutto quel cibo crudo o stracotto, perché mai cotto al punto giusto, al termine delle trasmissioni – nessuna in particolare, ma tutte rispetto al problema – dove finisce? A una casa di accoglienza, un asilo, un canile di animali randagi? O tutti i presenti alla trasmissione se ne vanno a casa con il fagottino?
Forse bisognerebbe dirlo: toglierebbe a noi che guardiamo qualche senso di colpa.
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