Si chiamava solo Teatro Puccini e già negli anni Trenta era uno dei principali luoghi di spettacolo di Milano, in grado di ospitare il meglio in fatto di opera, varietà, rivista e prosa. E persino cinema, fino alla metà degli anni Ottanta. Spettacoli che facevano cartellone per mesi, sala sempre affollata di pubblico plaudente e di fumo bluastro (allora si poteva). Un nome per tutti, che accompagna la memoria storica: Wanda Osiris e i suoi boys, la biondissima Wanda, di indimenticabile fama, conquistata a suon di canzoni interpretate con voce flautata e abiti luccicanti di lustrini doc.
Oggi le sale sono diventate 3, il pubblico è cambiato, ma affolla ancora con piacere il nuovo “Teatro dell’Elfo Puccini”
La nostra selezione di spettacoli in cartellone:
assistente alla regia Giovanna Guida
suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell’Elfo
prima nazionale
Oscar Wilde era l’autore della sua epoca, un personaggio ricco e famoso, ucciso dal potere devastante delle parole nella sua lotta contro l’ipocrisia e contro le convenzioni borghesi.
suono Umberto Fiore
in collaborazione con Armunia, Cie Twain Residenze, La Città del Teatro di Cascina, La Corte Ospitale, Teatri di VetroIo non ho mani che mi accarezzino il viso è il nuovo spettacolo della compagnia Bincofango, presentato in anteprima a Romaeuropa Festival 2017 e quindi in prima nazionale all’Elfo Puccini.«Con amore rubiamo il titolo a una poesia di David Maria Turoldo e a una sequenza di fotografie di Mario Giacomelli. Ne chiediamo in prestito la cornice, cioè il titolo, e non il contenuto che a ben altro si rivolge.
Un viaggio dentro e nei dintorni della fragilità. La fragilità di chi ha vissuto solo tra le pagine di un libro e quella di chi, sulle assi di un palcoscenico, ci mette la faccia. Dal personaggio, al ruolo, all’attore, alla persona. Lo scivolamento è inevitabile. I ritratti si sovrappongono, ma non si fondono. Il ritrattista preme per diventare lui stesso il ritratto. Lo scambio è continuo. E non si sa dove sia il vero e dove sia il falso, dove sia il reale e dove la finzione, dove finisca il teatro e dove inizi la vita. Ma in fondo questo non è importante.
Come creature sopravvissute a un incompiuto dramma pirandelliano, come evocati da un testo di Müller, queste tre solitudini attraversano la scena e combattono una – personalissima – battaglia nel nome della loro individualità. Percorrono strade inevitabilmente parallele, sono il ritratto in carne ossa di un fallimento già accaduto altrove, lontano nel tempo e nello spazio, ma qui s’incontrano, si scontrano, sono obbligati al dialogo e hanno un solo punto in comune: la fragilità».
assistente alle scene Aurelio Colombo
costumi Erika Carretta
in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana e La Corte Ospitale
prima nazionaleIn un parcheggio abbandonato e degradato dietro ad un cimitero periferico e autunnale, sulla rete metallica che lo separa dal resto del mondo, stralci di necrologi, di cartelloni pubblicitari e un’insegna con sopra scritto “Divieto di abbandono rifiuti”. Nel parcheggio, due roulotte situate a pochi metri l’una dall’altra dove vivono due famiglie totalmente diverse: la prima è formata da un ex prete che, dopo un percorso di grande conflitto con la propria fede e dopo essere stato espulso dalla chiesa, vive insieme al fratello minore, un ragazzo sordomuto che campa di espedienti e piccoli imbrogli. Nella roulotte di fianco, la loro sorella maggiore, che si è convertita per amore all’Islam, vive insieme al marito, un arabo moderato che di mestiere vende fiori davanti al cimitero. Accanto alle due roulotte, in una tenda, abita un uomo apparentemente ricco che di giorno va al lavoro con il suo vestito elegante e la ventiquattrore, ma di notte torna a dormire nel parcheggio. L’uomo in pochi anni ha perso tutto: la fortunata azienda, la splendida casa e l’auto di lusso, che ora sta cercando di riconquistarsi, senza far accorgere il mondo borghese al quale apparteneva la sua attuale condizione.
Ancora una volta Carrozzeria Orfeo è impegnata a fotografare senza fronzoli un’umanità socialmente instabile, carica di nevrosi e debolezze, attraverso un occhio sempre lucido, divertito e, soprattutto, innamorato dei personaggi che racconta: «La comune mancanza d’amore dei protagonisti delle nostre storie porta i dialoghi all’eccesso e all’isteria evidenziando gli aspetti tragicomici di esistenze che commuovono e fanno ridere nello stesso istante. I loro tormenti emotivi amplificano l’aspetto umano, raccontando una realtà spinta all’assurdo che, però, attiene al nostro quotidiano». Uno stile “eccessivo” che, trasformandosi in provocatorio realismo, cerca un divertimento mai gratuito e fine a se stesso. Un punto di vista sul mondo e sul presente, nel tentativo di non farsi mai imprigionare dalla retorica e dai moralismi inutili. In linea con la ricerca di questi anni sulla mescolanza dei generi, in una continua escursione fra realtà e assurdo, fra sublime e banale. Sul fragile confine dove, all’improvviso, tutto può inevitabilmente risolversi o precipitare.
assistente alla regia Alessandro Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
luci Nando Frigerio
Elio De Capitani (La notte del 25 settembre penultimo giorno di prova)Laura Forti, scrittrice e regista fiorentina, ricostruisce ne L’Acrobata la vita tragica e avventurosa di suo cugino José, detto Pepo in famiglia, ucciso in Cile per aver attentato al dittatore Pinochet. Un lungo viaggio nella sua storia familiare, nato anche come omaggio alla madre di Pepo, a cui è ispirata la protagonista di questo spettacolo. Un omaggio a tutte quelle madri che hanno perso un figlio perché ha scelto di morire per un ideale. Storia e memoria s’intrecciano nel racconto intimo di questa donna, interpretata da Cristina Crippa, di suo figlio e di suo nipote, entrambi interpretati da Alessandro Bruni Ocaña.La madre di Pepo arriva in Cile ancora bambina, per fuggire dall’Italia fascista delle leggi razziali, diventa la prima donna geologo del paese e una convinta militante comunista, ma è costretta a una nuova fuga in Svezia dopo il golpe di Augusto Pinochet. Pepo non accetta di vivere in esilio e di rinunciare alla lotta politica. Diventato guerrigliero, torna in Cile e qui trova la morte.
Che cosa vuol dire allevare un figlio alle idee di libertà e di giustizia, quando poi tutto questo ti si ritorce contro e rende tuo figlio un estraneo, che vive così intensamente le tue stesse idee da lasciare tutto e tutti e giocarsi la vita? Vuol dire alzare un muro contro il passato e la ferita di quella perdita insanabile. Ma Pepo ha lasciato un figlio e sarà per questo nipote – clown e acrobata in un piccolo circo – che non ha mai conosciuto suo padre e vuole sapere che il muro crollerà e diventerà racconto.La regia percorre d’un fiato il filo teso fra questi eventi che hanno segnato la storia del Novecento, guidandoci attraverso tre continenti, tre dittature, tre fughe – evocati dalle proiezioni oniriche di Paolo Turro – e attraverso l’emozione e la fatica del ricordare e del lasciare andare il passato.
assistente alla regia Sofia Sironi
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
suono di Giuseppe Marzoli
L’indagine su Otello continua. Elio De Capitani e Lisa Ferlazzo Natoli approfondiscono la ricerca nel cuore del meccanismo drammatico e delle parole, per portare in primo piano tutta la stratificazione dei suoi significati: tragedia della gelosia e del sesso, ma anche dei rapporti inter-razziali e culturali, del dubbio e della potenza manipolatoria delle parole.
«Mettere in scena Otello oggi – dicono i registi – è un modo per fare i conti con la singolare attrazione che la vicenda del Moro esercita in tutti noi, come un congegno misterioso messo lì per innescare una risposta emotiva sui presupposti ideologici e i fantasmi dell’inconscio collettivo con cui una società costruisce i propri parametri proiettando fuori di sé, sullo straniero, tutto ciò che ha di inconfessabile: moralismo puritano, voyerismo sessuale e sessuofobia, per dare fondamento e giustificazione alla propria xenofobia, alla misoginia e alle tante forme d’intolleranza sociale e privata di cui si compone».
Una lettura tutta contemporanea che si fonda sulla nuova traduzione di Ferdinando Bruni, sensibile alla bellezza dell’endecasillabo, ma libera da ogni inclinazione letteraria e tanto attenta all’alternanza di lingua alta e bassa da avvicinarsi alla viva fluidità del parlato. E sulla dicotomia di chiari e scuri, di luci e ombre che le scene di Carlo Sala moltiplicano attraverso le grate, gli ori e le trasparenze di grandi sipari. E sul sensibilissimo contributo musicale di Silvia Colasanti.
Altre info sul sito del Teatro Elfo Puccini
tel. 02 00 66 06 06
fax 02 36 75 59 04Milano MI
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