Scoprire il territorio, individuare la specie

Pubblicato il 17 Marzo 2016 in

Scoperta della specie del Malus sieversii

Si deve la prima scoperta della specie del Malus sieversii all’erborista tedesco Johann August Carl Sievers (1762-1795), scienziato al servizio dell’imperatrice Caterina II di Rus­sia, la quale inviava esploratori ai confini del suo vasto impero allo scopo di studiarne le ri­sorse e consolidare alleanze in quei territori. Appassionata di botanica, aveva voluto circon­darsi di erbari di naturalisti. Sievers seguì le orme del professore e chirurgo Peter Simon Pallas che, prima di lui, aveva guidato diverse spedizioni in Russia e in Asia Centrale. Nel 1795, durante una spedizione verso l’odierno Kirghizistan, si perse nelle gole aspre e deso­late del Tarbagatai, nella vallata del fiume Urdjar, al centro di un territorio immenso e sco­nosciuto, “la grande Tartária”, vasta terra incognita popolata da nomadi di lingue turco-mongole con i quali visse, spostandosi con le loro iurte e le loro greggi. Lì scoprì alcuni meli selvatici che producevano mele dolci e formavano macchie forestali aggrappate ai ver­santi inospitali della montagna. Sievers inviò una missiva a Pallas per informarlo della sua scoperta, e morì inaspettatamente a soli trentatré anni. In suo onore, Karl Friedrich von Ledebour (1786-1851), il botanico tedesco autore della Flora Altaica, nominò questa specie Pyrus Ledeb. sieversii. Il nome odierno è Malus sieversii Ledeb.-M. Roem.

Nel 1929, il noto evoluzionista russo Nicolaï Vavilov di fronte alla straordinaria manife­stazione di caratteri ereditari che aveva osservato, dichiara di aver scoperto il centro dell’origine della mela. I lavori di genetica contemporanea confermeranno in seguito la sua ipotesi (si vedano: Barrie E. Juniper 2002 e Riccardo Velasco 2010). Queste foreste sono state poi studiate in situ soltanto dall’accademico agronomo kazako Aymak D. Djangaliev (1913-2009).

L’habitat del Malus sieversii in Kazakistan

12_Fioritura di Malus sieversiiI Malus sieversii crescono nelle foreste primarie del Tien Shan, in Kazakistan. Se ne trovano in misura minore anche sul versante orientale cinese del Tien Shan, come pure sui versanti settentrionali in Kirghizistan e in Uzbekistan. Questi due ultimi paesi, però, hanno una lunga tradizione agraria ed è probabile che le popolazioni originali di Malus sieversii siano state ibridate con i meli coltivati.

In Kazakistan il Tien Shan si presenta come un insieme di barriere montagnose orientate in direzione est-ovest, dove si distinguono da nord verso sud-ovest, su un’estensione di oltre 2.000 chilometri, i massicci del Tarbagatai, del Djungarskii e dello Zailiysky (nella regione d’Almaty e dei sette fiumi) e a sud-ovest i massicci del Karatau e del Talaskii.

Il Malus sieversii si sviluppa sotto forma di foreste primarie o di ampi boschetti di meli selvatici, sopportando temperature estreme in zone al margine delle nevi perenni. Questa scoperta è stata sbalorditiva, infatti fino ad allora il melo era considerato un albero coltivato, frutto del lavoro dell’uomo. In questa regione del Kazakistan, invece, crescono vere e pro­prie foreste e boschetti di meli allo stato selvatico endemico, la cui origine è riconducibile alla fine del Terziario.

Il Malus sieversii non è un melo come gli altri. Per trovarlo è stato necessario spingersi lungo i fianchi delle montagne, ad altitudini assolutamente inabituali, sui bordi di torrenti, di zone pedemontane, in valli glaciali e in canyon situati tra i 600 e i 2.400 metri o più di alti­tudine. Le popolazioni di Malus sieversii si diversificano da una regione all’altra.

Il massiccio del Djungarski. In questa regione è ancora possibile trovare “l’autentica fo­resta primaria di rosacee”. Nei grovigli di alberi, arbusti, cespugli, ortiche e rovi crescono popolazioni di oltre un milione di Malus sieversii che colonizzano fianchi scoscesi e cime pedemontane fino a 2.400 metri di altitudine. Ultimo albero prima delle nevi perenni, condi­vide il territorio con il biancospino gigante (Crataegus korolkowii), la picea gigante alta più di 60 metri (Picea schrenkiana), il pioppo siberiano (Populus sibirica) e il pioppo cinese (Populus euphratica, Pruinosa), la betulla (Betula rotundifera), il larice (Larix sibirica), il crespino (Berberis heperopoda, Sphaerocarpa), il pruno (sogdianaer et spinosa), il luppolo (Humulus lupulus) e con piante pe04_Arrivo in una foresta di meli selvaticirenni quali il rabarbaro (Rheum tataricum compactum, maximowiczii L.), il ribes (Ribes astropurpureum et nigrum), il lampone (Rubus idaeus L.), la mora (Rubus caesius L., sachalinensis L.), l’aglio orsino (Allium ursinum), il porro selva­tico (Allium polyanthum), la peonia selvatica (Paeonia anomala L., Paeonia Hybrida), come pure con centinaia di altre piante potenzialmente medicinali iscritte nel libro rosso delle spe­cie in via di estinzione e molte non ancora inventariate. Il Malus sieversii, caratterizzato in questa zona da gigantismo, è la specie dominante. Alcuni alberi hanno oltre trecento anni di età e possono raggiungere fino a 30 metri di altezza. Quel che colpisce è che la maggior parte degli alberi è in grado di fruttificare ogni anno, producendo un’enorme quantità di frutta, spesso anche più di una tonnellata per albero.

Nella regione del Tarbagatai, l’habitat più settentrionale dei Malus sieversii, non si for­mano foreste nel vero senso della parola, ma boschetti, costituiti da circa duecento-trecento alberi. Si ritrovano anche solitari, probabilmente per via degli incendi che nel 1998 distrus­sero centinaia di ettari di terreno. Gli alberi sono più bassi, dai 15 ai 20 metri di altezza. Crescono ai bordi di piccoli ruscelli, su pendii aridi e risalgono lungo i canaloni e i nevai della montagna. Anche lì, ultimi alberi prima delle nevi perenni, affiancano peri selvatici (Pyrus del Tarbagatai), mandorli nani (Amygdalus ledebouriana del Tarbagatai), gruppi di boschetti di rose (Rosa acicularis, beggeriana Sghrenk, corymbifera Borh et laxa retz), e altre.

Nella regione dello Zailiysky, regione caratterizzata da alte montagne che circondano Almaty (la capitale storica del Kazakistan), esistevano un tempo vere e proprie foreste pri­marie, che però sono andate distrutte per l’80 per cento, a seguito delle deforestazioni dell’Unione Sovietica, avvenute a partire dal 1930. Gli alberi, che qui sono un po’ più bassi che nel Djungarskii (misurano fino a 20 metri di altezza), presentavano prima della defore­stazione un’eccezionale biodiversità. Si frammettono ad albicocchi giganti selvatici (Prunus armeniaca del Tien Shan), al biancospino gigante (Crataegus korolkowii), al peccio di Schrenck, al luppolo (Humulus lupulus), a numerose varietà di tulipani (tulipa del Tien Shan), alle peonie (Paeonia anomala L., Paeonia Hybrida), e altro. Queste foreste, forte­mente decimate, sono ormai distribuite a sacche e crescono su pendii scoscesi a oltre 2.500 metri di altitudine.

Nel sud-ovest molto arido e caldo (Talaskii e Karatau) non ci sono foreste nel vero senso della parola. Gli alberi si sono rifugiati in canyon quasi sempre desertici, su rupi scoscese che guardano a nord, nei dintorni di torrenti, oppure crescono nella steppa, arroccati sulle rocce, o spuntano dalla sabbia. Come compagni di vita hanno il noce (Juglans regia L.), il pistacchio (Pistacia vera L. del Tien Shan), il pero selvatico (Pyrus del Tien Shan), la vite selvatica (Vitis vinifera del Tien Shan), il ginepro (Juniperus) e i tulipani (tulipa del Tien Shan).

Le caratteristiche del Malus sieversii

(osservazioni rilevate nel corso delle spedizioni effettuate tra il 2006 e il 2015)

15_Un esemplare di Malus sieversiiLa diversità è il dato caratterizzante questa specie. Completamente eterozigote, il Malus sieversii non si autofeconda e ha bisogno di un partner sessuale. Le foreste sono quindi co­stituite essenzialmente da alberi diversi gli uni dagli altri. Ne deriva una biodiversità impres­sionante tanto nei frutti (calibro, peso, colore, profumo, aspetto della polpa, gusto), quanto nell’aspetto delle foglie e nell’architettura dell’albero stesso.

I meli possono presentare un portamento prostrato, colonnare, espanso, allargato, a rami ricadenti, o completamente piangenti. Il tronco può essere unico e monumentale, fino a su­perare i 2,5 metri di diametro, oppure multicaule. Non è possibile paragonarne l’altezza a quella degli altri Malus selvatici o dei meli coltivati: alcuni esemplari possono raggiungere i 30 metri.

Nell’ambito dello stesso ecotipo può presentarsi la diversità descritta precedentemente; l’aspetto dell’albero, pertanto, non sarebbe solo la conseguenza della sua capacità di adatta­mento all’habitat, ma sarebbe correlato anche alla sua estrema diversità genetica. Degna di nota è la grande variabilità della corteccia e del colore del legno. Alcuni alberi hanno legno e foglie rossi, frutti rossi dalla polpa rosso-fucsia.

La diversità dei frutti è il risultato di innumerevoli combinazioni e ciò rende difficilissima una descrizione dettagliata (si vedano le tabelle qui di seguito). Va sottolineato che nella gamma dei gusti compare il “dolce” in contraddizione con il pensiero comune, secondo cui sarebbe merito del lavoro dell’uomo aver reso la mela “grande e dolce”. Un’altra caratteri­stica eccezionale che presentano molti di questi alberi, e oggetto degli studi scientifici di ge­netica, è la loro resistenza e una notevole tolleranza rispetto alle malattie (funghi e batteri) e agli attacchi degli insetti.

Forma, lunghezza e aspetto delle foglie (levigate, pelose, lucide, dentate o lisce) variano da un albero all’altro, come pure la lunghezza del peduncolo del frutto, che può essere molto lungo, come quello della ciliegia, o del tutto assente, con un frutto che sembra essere diret­tamente attaccato al ramo. I frutti possono essere riuniti in grappoli molto grossi (con 8-10 frutti) o più piccoli (2 o 3 frutti), oppure unici.

Il sistema radicale, infine, è molto complesso. È formato da una radice principale a fittone, che penetra profondamente nel suolo alla ricerca di nutrimento e di acqua, e da radici più superficiali, a forma di stella, dalle quali spuntano nuovi alberi per propagazione. Si tratta di un sistema a riproduzione vegetativa doppia, proprio della riproduzione sessuata. La colonia di alberi in rete sulla stessa radice forma così una popolazione di cloni dell’albero madre. Sono frequenti, però, anche gli innesti tra le radici principali di alberi geneticamente diffe­renti, da cui si generano di fatto dei nuovi individui (ci si riferisce alla spedizione effettuata con Aymak D. Djangaliev nel 2006). Questo particolare sistema radicale è alla base della resistenza e della crescita del Malus sieversii nelle montagne e nelle zone aride.

Nel corso della sua lunga evoluzione attraverso milioni di anni, quale che sia il profilo ge­ologico della nicchia ecologica (sabbia, calcare, scisto, arenario, granito), la qualità del ter­reno – ricco (chernozem) o povero –, l’abbondante o debole piovosità (condizioni estreme dei deserti del Sud), gli scarti di temperatura di 90 gradi tra l’estate e l’inverno, il Malus sieversii è riuscito a trovare i meccanismi per imporsi e per offrire una gamma di forme di alberi, di foglie e di frutti assolutamente unica.

 

Differenti espressioni genetiche dei frutti in una medesima foresta di Malus sieversii

 

forma diametro colore
oblunga da 2 a 10 cm porpora
sferica fucsia
pentagonale rosso scuro vivo
piramidale arancione
piriforme giallo
urceolata verde
ellittica bianco
cilindrica variopinto
piatta nero
grigio
venato

 

gusto aroma colore della polpa
amaro banana bianco
acido lampone giallo
acidulo melograno translucido
dolce melone verdastro
astringente fragola rosa
kiwi fucsia
violetta violetto
pesca venato
pera rosso
uva
nocciola
pesce fresco
prugna
ananas

 

Differenti espressioni di biodiversità del Malus sieversii

 

portamento aspetto del tronco colore dei rami
fastigiato unico gigante marrone scuro
colonnare multicaule nero
espanso rosso
largo mogano
ricadente chiaro
piangente
sferico
piramidale
tortuoso

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