Una storia che parte da lontano, nel tempo
Nell’Asia centrale, sparsi lungo il versante settentrionale della catena montuosa del Tien Shan, rimangono frammenti dell’immensa e antica foresta che milioni di anni fa, nel Terziario, faceva crescere al suo interno decine di specie che sono all’origine dei frutti che accompagnano la storia dell’uomo. Dall’ovest della Cina, attraverso il nord di Kirghizistan e Uzbekistan, fino al sud del Kazakistan, predominano in questi luoghi i meli selvatici, con un’evidenza tale nel paesaggio da dare il nome all’antica capitale del Kazakistan, Almaty, cioè “luogo delle mele”.
I più antichi precursori del melo vi arrivarono probabilmente con semi trasportati da uccelli in volo dalla Cina. Apportavano una variabilità naturale che la grande diversità ambientale del Tien Shan ha fortemente incrementato, mostrando ancora oggi, nonostante millenni di disboscamenti e incendi, soprattutto per dare spazio all’agricoltura, una incredibile biodiversità, espressa da forme, dimensioni, sapori, colori, altezze e portamenti degli alberi. Essa rappresenta un giacimento genetico per il melo di interesse incommensurabile, che nessuna forma di biotecnologia potrebbe avvicinare. Il melo selvatico del Kazakistan è il Malus sieversii. Prende nome dal botanico Johann Sievers, che per primo, alla fine del xviii secolo, lo descrisse.
Nelle foreste del Kazakistan è la specie selvatica da frutto più rappresentativa. Tra montagne che raggiungono altezze di 7.000 metri, profonde valli scavate da oltre duecento fiumi, altipiani e versanti diversamente esposti con climi estremi per temperature e umidità, la diversità si manifesta con caratteri propri secondo le regioni interessate. Nella regione più a nord del Tien Shan, nel massiccio del Tarbagatay, forma nuclei composti da dieci a duecento alberi, anche su ripidi pendii, fino a toccare le nevi perenni. Nel Djungarsky invece il melo selvatico è l’albero dominante di ampie foreste, che arricchisce di una grande biodiversità specifica e di esemplari di età e di altezza smisurate: fino a 30 metri e a trecentocinquanta anni di età. Nell’Aksu Diabagly, alla frontiera con il Kirghizistan, gli alberi, in posizione solitaria o in piccoli boschetti, mostrano particolare resistenza alle malattie e alla siccità anche estrema. Foreste, le tre citate, che hanno subito, per il pascolo e la messa a coltura delle terre, grandi tagli, ma mai come nello Zailiysky, la porzione delle Montagne Celesti più vicina ad Almaty, dove i boschi ai piedi di vette alte anche 7.000 metri si sono ridotti, in epoca sovietica, anche dell’ottanta per cento.
Queste sono le foreste che più hanno destato l’attenzione di Aymak Djangaliev (1913-2009), che tra il 1930 e il 1990 si è dedicato allo studio della popolazione kazaka di Malus sieversii. Agronomo e scienziato si è speso con grande impegno anche per la sua salvaguardia, continuamente messa in pericolo non solo dal tentativo di un uso speculativo delle terre occupate dalle foreste di frutti selvatici, ma anche da una persecuzione ideologica che vedeva in lui l’erede di Nikolaj Vavilov, il grande genetista russo che, nelle sue spedizioni nel mondo, aveva individuato i luoghi di origine delle principali specie coltivate. Nel Turkistan (regione che comprende gran parte dei paesi dell’Asia Centrale ove si trova il melo selvatico) aveva individuato in particolare il luogo di origine del melo domestico. Vavilov, dopo anni di riconoscimenti internazionali, cadde in disgrazia presso le autorità dell’urss stalinista e morì in carcere. Djangaliev, osteggiato in vario modo anche negli ultimi anni di vita, fu uno dei suoi migliori allievi e dal 2010 l’associazione Alma – per opera soprattutto di Catherine Peix e Tatiana Salova, vedova dello scienziato – è impegnata per sensibilizzare il governo locale e la comunità internazionale per diffondere la conoscenza e preservare le foreste dei meli selvatici e la memoria di Aymak Djangaliev.
Gli alberi di Malus sieversii, studiati da Vavilov e Djangaliev, sono all’origine di quella che è oggi, per produzioni e superfici, la prima coltura da frutto nei paesi a clima temperato. Il Kazakistan è il suo luogo d’origine, del suo radicarsi nella coltura e nella cultura. Archetipo di tutti i frutti, simbolo di fecondità, immortalità, amore e bellezza, ricchezza e potere, conoscenza e perdizione. Nella mela è stato individuato il frutto con cui Eva tenta Adamo, quello “dolce al palato” del Cantico dei Cantici, il pomo d’oro dell’immortalità del giardino delle Esperidi, del mito celtico dell’isola di Avalon, il frutto che cadendo consente a Isaac Newton di definire la legge della gravità.
Il cammino di conoscenza, che attraverso i frutti, nel ruolo che hanno avuto nella cultura, sui mercati, nei giardini e nei paesaggi, ha visto interagire le potenzialità della natura con le opportunità della storia, è iniziato nelle foreste del Kazakistan, attraversate dall’antica Via della Seta, quell’insieme di percorsi, traffici e scambi che metteva in relazione, dal Mar Nero alla Cina, l’Europa con l’Asia. Insieme, animali selvatici e addomesticati (orsi e cavalli) e uomini hanno preso parte a un enorme laboratorio genetico che si è offerto alla diffusione della specie, ai primi tentativi di domesticazione, ha costituito le basi della cultura espressa nei miti, nei simboli, nelle coltivazioni, nel paesaggio ed è oggi patrimonio insostituibile di biodiversità per il futuro dell’uomo.
Il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha deciso, all’unanimità, di dedicare la xxvii edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino alle Foreste dei meli selvatici del Tien Shan, in Kazakistan.
Verso questi luoghi e la fragile condizione che essi condividono con le attività e la cultura dell’uomo, riconoscendo l’importanza della conoscenza e della salvaguardia dei paesaggi che essi rappresentano, testimonianza preziosa di biodiversità culturale, la xxvii edizione del Premio Carlo Scarpa indirizza la propria campagna di attenzione e di cura.
Il sigillo disegnato da Carlo Scarpa, simbolo del riconoscimento per l’impegno e la cura profusa nei confronti di questi luoghi, segno di incoraggiamento per la prosecuzione della sua opera per la conoscenza e la difesa delle foreste de meli selvatici, viene affidato alla studiosa kazaka Natalya Ogar, che da decenni lavora – sebbene in condizioni non facili – nel campo della ricerca accademica internazionale, nel dialogo con le istituzioni pubbliche responsabili della protezione della natura e nell’ambito di associazioni ambientaliste.
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