CINA. Sono più di 100 le aziende cinesi che vendono kit diagnostici per il coronavirus in Europa, nonostante alla maggior parte manchi la licenza commerciale a causa dei lunghissimi tempi della burocrazia cinese. Tutte le aziende che vendono in Europa, tuttavia, sono state accreditate secondo il regolamento CE, che garantisce il rispetto delle norme sanitarie, ambientali e di sicurezza stabilite per i mercati europei. Destinazioni dei kit variano da Italia, Spagna, Austria, Ungheria, Francia, Iran, Arabia Saudita, Giappone e Corea del Sud. I kit diagnostici cinesi non sono stati esenti da critiche. Sabato scorso il Ministero della Salute filippino ha infatti accusato i produttori cinesi di aver esportato prodotti scadenti, salvo ritirare le accuse formalmente il giorno seguente. La Cina, intanto, fa un passo indietro dalla distensione delle misure di lockdown, chiudendo nuovamente i cinema.
INDIA. Le misure di lockdown imposte dal Primo Ministro Narendra Modi sul territorio dell’intero subcontinente, 1,3 miliardi di persone ora sottoposte al cosiddetto “coprifuoco del popolo”, hanno determinato un esodo da molti definito “biblico” di lavori giornalieri dalle grandi città: si tratta dei milioni di migranti rurali confluiti in questi anni nelle aree urbane del paese e ora, con il blocco di molte attività (incluse naturalmente quelle informali) rimasti senza lavoro. Dati i timori che questo spostamento massiccio di cittadini possa portare a una diffusione capillare del virus nel paese – e soprattutto nelle sue aree più povere – le autorità di New Delhi hanno chiesto agli Stati indiani di chiudere i propri confini e mettere in quarantena per 14 giorni i migranti di ritorno. Non tutti gli Stati avrebbero però accettato, in alcuni casi lasciando aperte le frontiere e predisponendo il trasporto in autobus di migliaia di lavoratori.
UNGHERIA. Il parlamento ungherese ha concesso i pieni poteri al primo ministro Victor Orbán, rinnovabili e senza limite. Un vero e proprio scacco alla democrazia che arriva proprio dell’Europa. Orbán governerà per decreto e potrà chiudere il parlamento a suo piacimento. I “furbetti” della quarantena in Ungheria rischiano fino a otto ore di carcere, mentre chi è accusato di diffondere fake news sulla pandemia potrà essere condannato fino a cinque anni di prigione. L’inasprimento dello stato di emergenza nel paese, in atto dal 11 marzo, rappresenta una grave limitazione dei diritti di libertà di espressione e di stampa. L’Ungheria conta 447 casi e 15 morti, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
GERMANIA. Il suicidio di Thomas Schaefer, Ministro delle finanze dello stato tedesco dell’Assia, sembra essere il risultato delle grandi aspettative in lui riposte per contrastare la crisi economica e finanziaria che potrebbe seguire la pandemia di coronavirus. La spiegazione arriva da Volker Bouffier, governatore dello stato dell’Assia, domenica scorsa. Il corpo di Schaefer è stato trovato sui binari a Hocheim vicino a Francoforte. Nelle ultime settimane Schaefer aveva lavorato per pianificare una serie di misure di stimolo per le imprese dell’Assia, lo stato che ospita Francoforte, cuore finanziario della Germania, e il più grande aeroporto del paese. Le ultime stime vedono una riduzione del 1.5% dell’economia tedesca e del 3% di tasso di crescita per quest’anno. Intanto, mentre la Spagna ha registrato ieri il più alto numero di decessi in un solo giorno dall’inizio dell’epidemia annunciando un periodo di “ibernazione” di tutte le attività fino al 9 aprile, anche in Francia il numero delle vittime ha superato quota 3000 in totale.
PORTOGALLO. Il governo socialista di Antonio Costa ha deciso di riconoscere il permesso di soggiorno a tutti i migranti presenti nel paese che ne abbiano fatto richiesta. Si tratta di una sanatoria de facto per immigrati “irregolari”, secondo le normative vigenti, e richiedenti asilo, per consentire loro di cercare un impiego, affittare una casa, accedere ai servizi sanitari. Dietro la decisione del governo, la volontà di riconoscere a tutti – compresi i migranti – il fondamentale diritto alla salute e la necessità politica gestire l’emergenza, riducendo al minimo il rischio che individui potenzialmente contagiati sfuggano al monitoraggio delle autorità sanitarie.
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