L’uomo che verrà
regia Giorgio Diritti sceneggiatura Giorgio Diritti, Tania Pedroni, Giovanni Galavotti cast Claudio Casadio (Armando) Maya Sansa (Lena) Alba Rohrwacher (Beniamina) Greta Zuccheri Montanari (Martina) Maria Grazia Naldi (Vittoria) Stefano Bicocchi (sig. Buganelli) Eleonora Mazzoni (sig.ra Buganelli) Orfeo Orlando (il mercante) Bernardo Bolognasi (partigiano) genere drammatico durata 115′
Un po’ di Albero degli zoccoli (1978) per l’ambientazione contadina, molto di La notte di san Lorenzo (1982) per il tema resistenziale e il filo narrante affidato allo sguardo di una bambina, un pizzico di Sette fratelli Cervi (1968) per la coscienza civile e la collocazione emiliana. Se il film (opera seconda) del bolognese Giorgio Diritti fosse un piatto, ecco gli ingredienti della sua ricetta. Non che avere come referenti culturali Ermanno Olmi, i fratelli Taviani e Gianni Puccini sia un difetto (anzi!), ma il punto è proprio questo: precedenti tanto illustri non sono rielaborati in qualcosa di nuovo e originale, ma restano solo come orizzonte cui tendere anziché confine da superare.
Il quadro storico è rappresentato dagli eccidi nazifascisti di Marzabotto e Monte Sole. Migliaia di vittime tra la popolazione civile, per lo più poveri contadini dell’Appennino bolognese, barbaramente uccisi tra l’estate e l’autunno del 1944. Il cinema resistenziale italiano vanta una lunga tradizione, che parte dai capolavori del Neorealismo fino alle tesi revisioniste di uno Squitieri. Diritti si aggiunge, buon ultimo, a questa tradizione con un film corale, onesto e di grande impatto visivo. Nella rappresentazione della quotidianità del male, degli stenti e delle privazione dovute alla guerra il regista ha saputo trarre le pagine migliori, senza fermarsi neppure di fronte alle responsabilità dei partigiani. Dove non ha centrato il bersaglio è stato invece nella debolezza di alcune figure retoriche (per esempio lo slow motion durante la strage al cimitero) e nella scelta non felice della colonna musicale. In ogni caso gli va riconosciuto il coraggio di aver affrontato un argomento non certo facile né popolare e sa il cielo quanto ci sia bisogno, oggi, di quello che una volta si chiamava cinema impegnato.
Allora perché vederlo?
Per non perdere la memoria sulla storia italiana del ‘900
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