sceneggiatura Tom McCarthy, Josh Singer cast Mark Ruffalo (Michael Rezendes) Michael Keaton (Walter “Robbie” Robinson) Rachel McAdams (Sasha Pfeiffer) Liev Schreiber (Marty Baron) John Slattery (Ben Bradlee) Stanley Tucci (Mitchel Garabedian) genere drammatico durata 124′
“Un sorso di giovinezza” diceva don Camillo trangugiando per autopunizione un bicchierone di olio di ricino. Altrettanto potrebbero dire molti grey panther (ossia over 50) alla visione di questo film che li riporta dritto filato al cinema cosiddetto d’impegno degli anni ’70-80 del secolo scorso. Quando non erano ancora grey e affollavano le sale per Tutti gli uomini del presidente (Alan Pakula, 1976), Diritto di cronaca (Sydney Pollack, 1981) o Il verdetto (Sidney Lumet, 1982). Riferimenti non casuali, trattandosi di film con al centro inchieste giornalistico-giudiziarie che fecero epoca. Quasi sempre basate su fatti veri, come questo “Caso riflettore” (Spotlight è un team di giornalisti del Boston Globe) imperniato sull’indagine che nel 2002 scoprì il verminaio degli abusi sessuali su minori perpetrati da molti sacerdoti della diocesi di Boston regolarmente coperti dalle alte gerarchie ecclesiastiche. Va poi detto che il “sorso di giovinezza” ha radici ancora più remote: per esempio quel Barriera invisibile (1947) di Elia Kazan, con Gregory Peck nei panni di un giornalista che mette in piedi un’inchiesta sull’antisemitismo.
Tutto ciò per far capire quanto sia vecchio e polveroso il film di McCarthy sul piano estetico e formale. Tanto da sembrare uscito proprio dai decenni del passato. Con la musica melensa nei momenti topici, i personaggi seguiti in lunghe carrellate all’interno delle redazioni, gli zoom sulle loro espressioni compunte, i post alle pareti e, immancabile, il vorticoso girare delle rotative a fine storia e l’uscita dei camion in fila indiana con le risme dei giornali. A riprova: l’Oscar come miglior film e miglior sceneggiatura originale. Proprio come il film di Kazan che ebbe a sua volta la statuetta. Come Pakula, Pollack e Lumet con relativo codazzo di nomination e premi. Se questo è il top, immaginiamoci il resto. Ma il punto è un altro: il film impegnato, su temi scottanti che turbano l’opinione pubblica, alla fine funziona. Funziona e avvince. Sappiamo bene com’è andata a finire (dimissioni forzate del cardinale Law e risarcimenti miliardari alle vittime degli abusi) eppure seguiamo con trepidazione le acrobazie dei “riflettori” dentro e fuori le aule giudiziarie, dentro e fuori le case delle vittime, ormai adulti e desiderosi, spesso, solo di dimenticare. Perché, alla fine, ciascuno di noi è stato un bambino dell’oratorio e ha avuto un prete come educatore.
E allora perché vederlo?
Per capire davvero cosa sono le “radici cristiane” della civiltà occidentale
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