sceneggiatura Pedro Almodóvar da tre racconti di Alice Munro cast Emma Suárez (Julieta adulta) Adriana Ugarte (Julieta giovane) Daniel Grao (Xoan) Priscilla Delgado (Antía bambina) Blanca Parés (Antía adolescente) Darío Grandinetti (Lorenzo) Inma Cuesta (Ava) Sara Jiménez (Beatriz bambina) Michelle Jenner (Beatriz adulta) Pilar Castro (Claudia) Rossy De Palma (Marian) Joaquín Notario (padre di Julieta) genere drammatico durata 96′
La scena chiave del film è quella in cui la protagonista, giovane insegnante precaria, spiega ai suoi alunni liceali il significato della parola mare in greco antico. Questa lingua lo indica con tre diversi vocaboli: thálassa, pélagos e póntos. La lezione si concentra sul terzo lemma (póntos) che indica non solo il mare come realtà fisica, ma il luogo in cui l’uomo misura se stesso e il proprio percorso, la propria “rotta” nella vita. A cominciare dall’eroe marino per eccellenza, quell’Ulisse capace di rifiutare il dono dell’immortalità offertogli da Calypso per rimettersi in gioco, nudo mortale, sulla cresta delle onde.
A 68 anni, con questa sua Giulietta senza Romeo, Almodóvar sembra essersi finalmente liberato di ogni orpello macchiettistico che ha caratterizzato fin qui gran parte del suo cinema per puntare tutto sulla classicità mediterranea sia pur rivisitata in chiave anglosassone e postmoderna.
Julieta è una donna in balia del Fato (con la maiuscola), un Ulisse in gonnella per le vie di Madrid al pari del Leopoldo Bloom per quelle di Dublino. Solo che qui la storia non si dipana nell’arco di 24 ore, ma di oltre 20 anni. E siccome oggi non sono le frecce di Apollo o i fulmini di Zeus a minacciare i mortali, ecco che al loro posto si sgrana un rosario di Sla, Ictus, Alzheimer, infarti, suicidi e incidenti vari con questo solo e unico scopo: ricordare all’uomo che è fragile e mortale. Fragile nei sentimenti, sempre minacciati dalle ombre scure dell’esistenza, piccolo, insignificante e incerto del proprio avvenire.
Non da oggi Almodóvar sa padroneggiare la materia-cinema e, anche se questo suo film appare a prima vista una specie di Va’ dove di porta il cuore in salsa iberica, una lettura più attenta lo colloca invece su un piano diverso e più alto. Anche gli “spot” turistici sull’oceano della Galizia (la casa di Xoan), i pueblos blancos dell’Andalusia (la fattoria del padre di Julieta) e i Pirenei passando per una Madrid che ha ormai dimenticato la movida, sono un falso scopo dietro cui cercare (e trovare) quello che Aristotele postulava nella sua estetica: la Tragedia (anche questa con la maiuscola). Che deve elevare l’anima e purificarla dalle sue passioni attraverso la pietà o la paura. È il principio della catarsi, la purificazione interiore che si raggiunge attraverso le prove dell’esistenza. Fondo comune della Tragedia è infatti la lotta dell’uomo contro il destino inesorabile che governa la sua vita e il conflitto perpetuo con le divinità avverse. Con questa sostanziale differenza per il regista spagnolo: oggi gli dei non esistono più e l’essere umano (nel suo caso una donna) è sola di fronte a se stessa. Ha un ruolo in tutto questo l’opera della scrittrice premio Nobel Alice Munro che sta dietro il soggetto del film? La singolarità di quest’opera rispetto alla ventina che l’ha preceduta in quasi 40 anni di carriera del regista, sembrerebbe dirci di sì. Con in più l’impronta atea e radicale riconducibile alla filosofia di vita di Almodóvar condensata nel grande autoritratto di Lucian Freud che campeggia sulla parete del salotto di Julieta.
E allora perché vederlo?
Per capire cosa significa essere una donna moderna
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