Sceneggiatura Cristian Mungiu cast Adrian Titieni (Romeo) Maria Dragus (Eliza) Lia Bugnar (Magda) Malina Manovici (Sandra) Vlad Ivanov (ispettore capo) Rares Andrici (Marius) Alexandra Davidescu (madre di Romeo) Petre Ciubotaru (Bulai) Gigi Ifrim (agente Sandu) Adrian Vancica (Gelu) genere drammatico durata 121′
Romania, Transilvania, una città di provincia, un quartiere di orribili casermoni popolari. Qui vive Romeo con la moglie Magda e la figlia Eliza. Medico ospedaliero, Romeo è da tempo separato in casa e ha una relazione con Sandra, ma tutto, in famiglia, sembra essere finalizzato all’avvenire di Eliza che disporrà di una borsa di studio per emigrare in Inghilterra dopo l’imminente maturità. Il giorno prima degli esami, però, la giovane viene aggredita per un tentativo di stupro. Su tutti i protagonisti, incluso il fidanzatino Marius, si apre così l’incubo del dramma in quanto Eliza, sotto shock, rischia di non passare l’esame nonostante l’ottimo curriculum scolastico né ci sono alternative allo svolgimento delle prove. Il pretesto narrativo consente al regista di delineare con finezza il ritratto di una società post-ideologica e di una classe media precaria e dal futuro incerto. In un luogo ai margini di un paese ai margini dove i lasciti di corruzione e autoritarismo determinano ancora l’andamento generale. All’interno di questo opprimente quadro sociale si snoda poi il vissuto dei vari protagonisti con le piccole-grandi questioni della vita quotidiana. Personaggi osservati con rigore e distacco nei loro dubbi, nelle incertezze, nelle paure, nelle poche speranze che si prospettano di giorno in giorno. Un intreccio che si complica ulteriormente quando gli uomini e le donne di questo microcosmo si trovano di fronte a tragici dilemmi o a difficili scelte etiche. Peccato solo che a tanta carne al fuoco, disposta con buona capacità drammaturgica e supportata da un’ottima schiera di interpreti, corrisponda un finale un po’ ruffianesco che non solo non scioglie i nodi accumulati fin lì, ma che strizza l’occhio a un ottimismo di maniera di cui non si sentiva francamente il bisogno.
E allora perché vederlo?
Per osservare l’onda lunga del retaggio postcomunista nell’Europa Orientale.
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