Sceneggiatura Varun Grover cast Richa Chadda (Devi Pathak) Vicky Kaushay (Deepak Kaushal) Sanjay Mishra (Vidyadhar Pathak) Shweta Tripathi (Shaalu Gipta) Nikhil Sahni (Jhonta) Pankaj Tripathy (Sathya Ji) Bhagwan Tiwari (Mishra) genere drammatico durata 109′
Il titolo originale del film in lingua hindi è “Masaan”, che significa crematorio. Il motivo è dovuto al fatto che l’intero svolgimento del narrato ruota attorno ai ‘ghat’ (scalinate/piattaforme) dove avvengono le cremazioni e i riti di purificazione secondo la religione indù. Siamo infatti a Varanasi, ossia Benares, la città santa sul Gange in cui i fedeli arrivano da tutta l’India per le cerimonie che precedono e accompagnano la dispersione delle ceneri nel grande fiume sacro. Tutto sommato anche la metafora del titolo italiano riprende il concetto delle ‘scalinate’ che mettono in comunicazione, non tanto la terra e il cielo, quanto piuttosto il visibile e l’invisibile, la possibilità e il desiderio, il passato e il futuro, l’amore e la morte che sono poi il vero focus del film. Perché nascere e vivere in India significa avere alla spalle tradizioni millenarie dure a morire e davanti a sé il mondo globalizzato delle nuove tecnologie. Pochi Paesi al mondo, infatti, in questo frangente storico sono alle prese con abitudini ancestrali che si scontrano quotidianamente con le dinamiche introdotte dalle tecnologie digitali. Tra le prime figura certamente la divisione in caste e la conseguente impermeabilità allo scambio e al ricambio sociale. Tra le seconde le nuove forme di innamoramento scaturite e coltivate attraverso i social. Tra i primi, lo scalpore, anzi, lo scandalo sollevato da una coppia clandestina che si incontra in un misero albergo a ore, tra i secondi la possibilità di diffondere immagini compromettenti attraverso la rete. Con conseguenti ricatti da parte di funzionari di polizia infedeli al loro mandato. Due storie si intrecciano nel corso dei minuti, o meglio: corrono parallele attorno e dentro i ‘ghat’ con protagonisti due coppie destinate, alternativamente, a soffrire e ad amare. Inevitabile l’incontro finale dei superstiti, ma alla conclusione un po’ scontata il regista ci arriva bene, attraverso finezze psicologiche che gli attori, perfetti sconosciuti per noi ma celebri in patria, rendono con bravura e intensità. Più il comparto femminile di quello maschile.
E allora perché vederlo?
Per uscire dagli stereotipi dell’India proposta dai tour operator.
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