sceneggiatura Hirokazu Koreeda cast Masaharu Fukuyama (Ryota Nonomiya) Lily Franky (Yudai Saiki) Machiko Ono (Midori Nonomiya) Yoko Maki (Yukari Saiki) Keita Ninomiya (Keita) Shogen Hwang (Ryusei Saiki) Jun Kunimura (Kazushi Kamiyama) Yuri Nakamura genere drammatico durata 116′
Uno scambio di culle e la tragedia irrompe in due famiglie che non si conoscono e nelle quali per sei anni si sono cresciuti i figli biologici dell’altra. Due famiglie molto diverse: una è formata da una coppia benestante, bella macchina, appartamento signorile, con un unico figlio sul quale sono già puntate le ambizioni di una futura carriera sulle orme del padre, manager superimpegnato e un po’ assente. L’altra è formata da una coppia di piccoli commercianti con tre figli, un furgoncino scassato e una casa in periferia. Piccola borghesia senza ambizioni, ma con maggiori disponibilità in termini di dialogo e di presenza. Il tema è un classico: i figli sono di chi li fa o di chi li alleva? E poi: è giusto separarsi da un bambino che si è cresciuto solo perché possiede il patrimonio genetico di un’altra persona? Al proposito c’è una battuta felice nel film: “Sarebbe un problema anche se fossero dei gattini”. Per altro verso la forzosa convivenza tra i due gruppi, in attesa di una decisione del tribunale, e i periodi di prova che i due bambini fanno nella famiglia diversa da quella in cui sono cresciuti, incidono profondamente nelle abitudini e negli stili di vita di tutti. Specialmente degli adulti. L’altezzoso manager si “ammorbidisce” riscoprendo valori sino a quel punto trascurati, mentre gli sciatti bottegai capiscono che un po’ più di impegno non guasterebbe. Molto fini le psicologie tratteggiate nei personaggi femminili, nelle due mamme, in prima fila nella cura di bambini così piccoli. I sensi di colpa, i rimorsi, gli slanci, la sofferenza repressa sono ben tratteggiate dalle due attrici grazie anche a un’accurata sceneggiatura capace di scavare in profondità nelle vicende rappresentate. In questo Padre e figlio (il titolo giusto sarebbe però Genitori e figli) c’è molto del cinema di Yasujiro Ozu, il cantore della poesia del quotidiano. Anche nello stile, dalla ricercata lentezza che ben si adatta a una storia dai mille risvolti psicologici e morali. Un cinema giocato sulla ricerca delle sfumature, sulla finezza delle cose non dette, non esplicitate, anche se, a volte, più pesanti di un macigno.
E allora perché vederlo?
Per le volte che nostro figlio ci ha fatto pensare: “Ma da chi ha preso?”
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