FILM IN DVD: “Brooklyn” di John Crowley

Pubblicato il 14 Gennaio 2017 in

sceneggiatura Nick Hornby cast Saoirse Ronan (Eilis Lacey) Emory Cohen (Tony Fiorello) Domhnall Gleeson (Jim Farrell) Jim Broadbent (padre Flood) Julie Walters (Madge Kehoe) Fiona Glascott (Rose Lacey) Brid Brennan (Miss Kelly) genere drammatico durata 101′

Una volta li chiamavano filmoni e l’accrescitivo era giustificato da molteplici fattori tra cui la durata, sempre superiore ai canonici 90 minuti, l’accuratezza di scenografia e costumi, la bravura degli interpreti, nessuno escluso, la solidità della sceneggiatura che si traduceva nella complessità dell’intreccio narrativo e nel suo afflato epico.

Ebbene questo quinto film (in 13 anni) del regista irlandese John Crowley è, a tutti gli effetti, un buon, vecchio, caro filmone come è ormai raro a vedersi oggi, sommersi come siamo da mirabolanti effetti speciali senza alcun costrutto drammaturgico. E siccome il primo tassello della costruzione sta nelle fondamenta, ecco l’importanza di uno sceneggiatore come Nick Hornby e la solidità di uno scrittore come Colm Tóibín dal cui omonimo romanzo (edito in Italia da Bompiani) è tratta questa vicenda ambientata tra il 1951 e il 1952.

Storia di una piccola donna irlandese costretta a emigrare negli Stati Uniti per le cattive condizioni economiche della sua patria e per le piccolezze di una provincia chiusa in se stessa, pettegola e meschina. Sembra cronaca italiana di oggi anche se i “cervelli” non fuggivano su linee aeree low cost, ma nelle cabine di terza classe dei transatlantici con i servizi in comune. Un po’ Forrest Gump, un po’ Alice nel paese delle meraviglie, la 22enne Eilis si ritrova così nella Brooklyn di Little Italy e delle altre isole etniche in cui il quartiere è diviso. Ospite di una pensione per sole donne e con una inguaribile nostalgia di casa. Il resto è la lenta scalata al successo che si concretizza nell’orizzonte piccolo borghese di un lavoro impiegatizio e un legame stabile. Da conquistare entrambi con fatica e sacrifici. Sullo sfondo la New York dei grattacieli, visti solo “al di là del fiume”, e di una torma di senzatetto di cui si dice: “Questi uomini hanno costruito ponti, autostrade, gallerie e ora Dio solo sa come campano”. È l’altra faccia dell’emigrazione. Per questo stona un po’ (per eccesso di retorica) quella porta luminosa che si apre all’arrivo di Eilis sulle banchine del porto quando passa indenne la dogana grazie alle dritte di una “emigrata di ritorno”. Il resto si dipana attraverso una serie di raffinate annotazioni di costume (su tutte le cene di mamma Kehoe) anche se la parte finale, in cui Eilis torna al paesello per la scomparsa della sorella, cede un po’ troppo spesso al melenso. Da Oscar, più della recitazione di Saoirse Ronan che ha comunque fisico e volto giusti per la parte, i costumi e la scenografia. Semplicemente perfetti. Sia nella rurale Irlanda come nella frenetica metropoli americana.

E allora perché vederlo?

Per colorare le vecchie foto di famiglia dei Grey Panthers nati negli anni ’50

 

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