sceneggiatura Peter Bogdanovich, Louise Stratten cast Owen Wilson (Arnold Albertson) Imogen Poots (Isabella Izzy Patterson) Katryn Hahn (Delta Simmons) Will Forte (Joshua Fleet) Rhys Ifans (Seth Gilbert) Jennifer Aniston (Jane) Austin Pendleton (giudice Pendergast) George Morfogen (detective) Richard Lewis (padre di Izzy) Cybill Shephered (madre di Izzy) genere commedia durata 93′
Da tempo Bogdanovich ci ha abituato alle rimasticature, convinto che i grandi film siano già stati girati e a noi, poveri epigoni, non resti che il camminare sulle auguste peste dei vari Capra, Minelli, Wilder, Lubitsch, Cuckor e via commedizzando. Però c’è rimasticatura e rimasticatura. Se L’ultimo spettacolo (1971), Ma papà ti manda sola? (1972) e Paper moon (1973) erano garbati omaggi al passato con il dono della freschezza e della vivacità, questo ennesimo, stanco deja vu con gli intrecci di coppie, gli equivoci, le sorprese in salsa agrodolce, lascia sinceramente il tempo che trova. Un esempio per capirci: Arnold e Izzy sulla carrozzella in Central Park sono un chiaro riferimento alla Signora di Shanghai (1947), ma (iniziali a parte) Owen Wilson non è Orson Welles e tanto meno Imogen Poots è Rita Hayworth per cui l’omaggio si trasforma in scialba imitazione. D’altra parte Bogdanovic è giustamente più famoso come esegeta di Welles (si veda il suo ottimo libro Io, Orson Welles, edito in Italia da Baldini&Castoldi) che come autore in proprio.
La storia si snoda in fash back, ossia con “lampi sul passato” a partire da un’intervista della nuova star Izzy Patterson sulla sua recente, sfolgorante carriera. Pretesto narrativo usato per ingarbugliare la trama anziché rafforzare la struttura della messa in scena. Senza contare alcune parti decisamente astruse, come l’accanimento del giudice Pendergast nella sua infatuazione per Izzy. Più macchietta che commedia, come molte altre parti del film. Nel cast, piuttosto mediocre nonostante i bei nomi sulla carta, primeggia Jennifer Aniston nel ruolo di una “strizzacervelli” più schizzata dei suoi pazienti. Il suo è in fondo l’unico vero personaggio da commedia classica interpretato con brio e convinzione. Se non fosse un’eresia scomodare il sublime gobbo di Recanati per questo film, verrebbe da dire: “Tutto il resto è noia”.
E allora perché vederlo?
Per un tuffo in quello che i “giovani turchi” della Nouvelle Vague chiamavano il “cinema di papà”
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.