Io, Daniel Blake di Ken Loach
sceneggiatura Paul Laverty cast Dave Johns (Daniel Blake) Hayley Squires (Katie) Dylan McKiernan (Dylan) Briana Shann (Daisy) Kema Sikazwe (China) Sharon Percy (Sheila) Micky McGregor (Ivan) genere drammatico durata 95′
Il caro, buon, vecchio Ken il Rosso colpisce ancora. A 80 anni suonati racconta una storia di ordinario degrado nella ricca Inghilterra mettendo in scena la vita quotidiana di personaggi tanto “veri” quanto esemplari del clima sociale che si respira nel capitalismo avanzato. Burocrazia, negligenza, sicumera e arroganza concorrono all’unisono per allontanare le persone più deboli dai loro diritti. Anzi: per reprimere in punta di regolamento le legittime istanze di chi ha perso tutto, a cominciare dal lavoro. Questa, in sintesi, la storia di Daniel e Katie. Vecchio carpentiere lui, reduce da un infarto, senza più occupazione e non ammesso al godimento di una pensione per malattia. Lei invece è una mamma single, dai precedenti burrascosi, che si ritrova sbalestrata in una città che non conosce e in un alloggio assegnato dai servizi sociali privo di ogni comfort. Inevitabile che tra i due scatti la solidarietà degli ultimi. Che serve ad affrontare i piccoli-grandi problemi di tutti i giorni, ma non basta certo a risolverli. Al pari delle processioni che i due compiono nei centri di assistenza sociale, al banco alimentare, nelle sedi sindacali per ottenere quella giustizia che appare invece sempre più lontana e incomprensibile. Fino a perdere anche le ultime speranze, fino a degradarsi ancora di più nel corpo e nell’anima. Il cinema di Ken Loach non è roboante, ma fatto più di silenzi che di parole. Credibile proprio perché calato nel vivo di situazioni che sembrano davvero uscite dalle cronache di una qualsiasi metropoli occidentale. In Inghilterra come nel resto di un’Europa chiusa in se stessa, avvilita, incattivita e imbelle. Non un film a tesi, anche se le istanze di giustizia e uguaglianza emergono prepotenti dalla carne viva dei protagonisti. Con un cast di non-divi capaci di esaltarsi nell’interpretare persone tanto comuni da sembrare dozzinali. Meritatissima la Palma d’Oro a Cannes.
E allora perché vederlo?
Per dare un valore che non sia astratto alla parola “dignità”
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