Un pomeriggio di marzo del 1944 a Parigi, la quattordicenne Jeanne Moreau accompagna tre amiche del liceo Edgar Quinet al Théâtre de l’Atelier per vedere “Antigone”. La ragazzina ne rimane affascinata. Figlia di Anatole-Désire Moreau, gestore del ristorante “La Cloche d’Or” a Montmartre e di Katherine Buckley, una ballerina inglese delle Folies Bergères degli anni Venti, vive con la famiglia in questo quartiere duro, dove si vende alcol e sesso e con minacciosi cartelli appesi alle porte che dicono: “Ingresso vietato a ebrei e negri”. È il periodo dell’occupazione tedesca, in un clima di persecuzione che si respira nell’aria.
Dopo l’agosto di quell’anno, con la Liberazione di Parigi, tutto cambia. Jeanne studia fino al conseguimento della maturità e ogni giorno, abitando vicino a una sala cinematografica, sente le voci degli attori che la emozionano. A diciotto anni segue con passione i corsi d’arte drammatica di Denis d’Inès e s’iscrive al Conservatoire. Debutta nel ’47 sulle scene nella troupe di Jean Vilar che dirige il Festival di Avignone. Nel ’48 è ingaggiata da Jean Meyer per recitare alla Comédie-Française per quattro anni. Si fa le ossa sul palcoscenico in una ventina di ruoli del repertorio classico. È la partner di Gérard Philipe nel “Cid” di Corneille e nel “Principe di Hombourg” di Von Kleist in scena al festival di Avignone nel 1951 e in “Nuclea”, trilogia di Henri Pichette, nel 1952. Il regista Jean-Louis Richard è il suo primo marito, sposato nel ’49, e padre del figlio Jérome Duvon. Il matrimonio ha breve durata e nel ’51 i due divorziano.
Al cinema in ascensore Al cinema arriva nel ’54 con “Grisbi” di Jacques Becker e “La regina Margot” di Jean Dréville. Da subito Jeanne si dimostra interprete sensibile, versatile e dotata di un temperamento straordinario sia nel versante drammatico sia in quello della commedia. Intelligente e perspicace, è attratta dal clima culturale della Nouvelle Vague, la nuova ondata di giovani registi che lei frequenta abitualmente. “Il cinema di Malle e poi di tutta la Nouvelle Vague è stato per me una cascata d’acqua fresca” ricorda l’attrice, che nel ’57 è sul set di “Ascensore per il patibolo” diretto da Louis Malle, un noir strepitoso dalle sequenze indimenticabili, come la camminata notturna della protagonista nelle strade di Parigi e per la celebre colonna sonora di Miles Davis. È la stessa Moreau a ricordare come il grande jazzista in una sola notte compose il notissimo tema musicale. “Con Louis Malle e il principe Napolèon Murat, uno dei produttori del film e forse Nimier [Roger, lo sceneggiatore ndr], stavamo cenando in un appartamentino dell’Immeuble du Lido. Saranno state le undici di sera. Ma più che mangiare avevamo bevuto e Miles Davis, che aveva assistito alle riprese sugli Champs- Elysées, disse ‘Ho visto Jeanne camminare e ho capito tutto’. Così le scene passarono sul proiettore e la registrazione venne fatta in diretta, il suono era straordinario”. Nel ’58 il sodalizio con Malle prosegue con Les Amants (Leone d’argento, ex aequo con “La sfida” di Francesco Rosi, alla Mostra di Venezia), nel quale la Moreau si concede una famosa scena di nudo. Il personaggio di Jeanne, donna trentenne, borghese e provinciale, sposata con Henri (Alain Cuny), direttore d’orchestra che lei tradisce con Raoul (José Luis de Villalonga), campione di polo elegante e raffinato, è carico di un erotismo più intrigante e sottile, diverso da quello solare di Brigitte Bardot.
Tra Italia e Francia Tornata in Francia è ormai una star, ma, nonostante le numerose proposte di film che le arrivano numerose, accetta a sorpresa un lavoro in teatro spaventata dal successo. “Vedevo il mio nome a caratteri cubitali sul cinema, dove davano Gli amanti e la gente che faceva la coda per entrare. Mi sentivo turbata”. Nel ’59 rinuncia al ruolo della prostituta Nadia in “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti per girare “La notte” di Michelangelo Antonioni accanto a Marcello Mastroianni. Il regista ferrarese però decide di girare prima “L’avventura”. Al suo posto Visconti scrittura allora Annie Girardot, la quale grazie a “Rocco” vedrà la sua carriera decollare e la sua vita sentimentale trasformata dall’incontro con Renato Salvatori, il suo grande amore. Nel film di Antonioni lei è Lidia, la moglie di Giovanni Pontano, scrittore famoso, intellettuale disorientato che si vende al capitale. “Si girava a Milano – racconta la diva – io non parlavo molto bene l’italiano. Nimier aveva redatto un testo in francese. Ero arrivata da Parigi con i miei abiti di scena comprati da Chanel, ma, col pretesto che si adattavano meglio al personaggio di Monica Vitti, me li sequestrarono. Il rapporto con lei non era semplice. Io e Mastroianni ci sentivamo abbandonati e io ero un’attrice scomoda. Si sentiva che nello studio stava accadendo qualche cosa”. Nel corso della lavorazione tra lei e il grande Marcello nasce una relazione sentimentale però di breve durata. Due anni dopo, con François Truffaut che lei aveva aiutato finanziariamente per la realizzazione dei “Quattrocento colpi”, il primo lungometraggio del regista girato nel 1959 nel quale compare in una brevissima inquadratura, la Moreau si ritaglia uno spazio nella storia del cinema con l’indimenticabile figura moderna e anticonformista di Catherine in “Jules e Jim”, storia di un tormentato e sofisticato ménage à trois. Con il personaggio di Catherine, Jeanne incarna per Truffaut perfettamente la donna intelligente, brillante, emancipata, fragile e disinibita che si lascia andare alle pulsioni del desiderio.
Parentesi anglo-americana Nel ’62 sotto la direzione di Joseph Losey in “Eva” l’attrice è ancora osannata dalla critica per la sua interpretazione di un’enigmatica squillo di lusso. Il regista americano nel ‘76 la chiama nuovamente per “Mr. Klein” con Alain Delon e nel ’82 per “La trota”. Nel ’63 torna con Malle per “Fuoco fatuo”, tratto dal romanzo di Drieu La Rochelle, e nel ’64 con Luis Buñuel nei panni della domestica Célestine in “Diario di una cameriera”. La sua galleria di straordinari personaggi femminili si arricchisce con tre opere di Orson Welles: “Il processo” (1962), un incubo kafkiano al fianco di Anthony Perkins, “Falstaff” (1966), nel ruolo della popolana Doll Tearsheet, e “Storia immortale” (1969), in quello di Virginie Ducrot, moglie di un marinaio nella Macao nel XIX secolo, che in cambio di trecento ghinee deve dare un erede a Mr. Clay (Orson Welles), anziano e ricco mercante desideroso di trasformare in realtà un’antica leggenda marinara. Nel ‘65 Malle la mette in coppia con Brigitte Bardot per “Viva Maria!”, divertente avventura rivoluzionaria al femminile, mentre nel ’67 Truffaut la dirige di nuovo nella “Sposa in nero”, da un romanzo di Irish, dove è la vendicativa Julie rimasta vedova appena fuori dalla chiesa dopo la cerimonia. Con sottile e paziente determinazione, la sposa mancata ucciderà nel corso degli anni tutti e cinque gli uomini responsabili della morte del marito.
Teatro, primo amore Con l’inevitabile passare del tempo la diva è costretta a lasciare il passo a colleghe più giovani, ma la sua carriera non si ferma. Nel ’76 è a Hollywood in un piccolo ruolo ma importante in “Gli ultimi fuochi” di Elia Kazan, sceneggiato da Harold Pinter e tratto dal romanzo incompiuto di Fitzgerald. Nell’82 è l’anziana maîtresse di un bordello in “Querelle” di R.W. Fassbinder e nel ’91 Wim Wenders in “Fino alla fine del mondo” le fa interpretare Edith Farber, la madre cieca di Sam (William Hurt), un autostoppista che dice di appartenere a un’organizzazione segreta. A metà degli anni Settanta Jeanne si sente pronta per passare dietro la macchina da presa in due pellicole, “Scene di un’amicizia tra donne” (1975), sguardo sul mondo delle dive visto attraverso il ritratto tenero di un gruppo di attrici, e “L’adolescente” (1978), storia in parte autobiografica delle vacanze di una ragazzina alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Il teatro rimane però la sua prima passione. Nel ’71 recita in “La chevauchée sur le lac de Costance” di Peter Handke e nel ‘80 sarà premiata per “L’intoxe” di Françoise Dorin. Memorabili sono anche le tournèe teatrali in giro per il mondo non dimenticando la sua parentesi come cantante. Nel ’64 esce un suo 33 giri che le fa vincere il “Gran Prix du Disque”.
Terza età creativa Infaticabile, continua a lavorare anche in età avanzata con “Nikita” (1990) di Luc Besson, “Il tempo che resta” (2005) di François Ozon; “Gebo e l’ombra” (2012) di Manoel de Oliveira. Innumerevoli i riconoscimenti ricevuti: tra gli altri quello del festival di Cannes per l’interpretazione di “Modesto cantabile” (1960) di Peter Brook e il premio alla carriera dell’Accademia degli Oscar di Hollywood dato in precedenza a tre sole attrici: Luise Rainer, Anna Magnani e Marlene Dietrich. Clamorosi anche i suoi rifiuti. Dopo quello di Nadia in “Rocco e i suoi fratelli” rinuncia a vestire i panni dell’affascinante Mrs. Robinson nel “Laureato”, andato ad Anne Bancroft, e quelli della madre di Erika (Isabelle Huppert), l’insegnante di pianoforte di “La pianista” per la regia di Michael Haneke, accettato da Annie Girardot, senza dimenticare l’offerta di Kubrick che la voleva in “Spartacus”. A ottantantanove anni, compiuti il 23 gennaio scorso, Jeanne continua a lavorare sul palcoscenico e sul set. Nel 2013 in “A Lady in Paris” di Ilmar Raag è stata Frida, un’orgogliosa ricca signora parigina di origini estoni che deve accettare la convivenza con Anne (Laine Mägi) la giovane badante anch’essa estone. Colta, intelligente, anticonformista la Moreau ha avuto tanti amori, da Louis Malle a Jean-Louis Trintignant, da Tony Richardson che l’ha diretta nel “Marinaio del Gibilterra” (1967) e che per lei ha lasciato la moglie Vanessa Redgrave, al rude Lee Marvin incontrato sul set di “Monty Walsh, un uomo duro a morire” (1970) di William A. Fraker fino a William Friedkin, autore de “L’Esorcista”, suo marito dal 1977 al 1979.
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