Mi sveglio stranamente riposata e in pace col mondo.
E’ sabato mattina, ha smesso di piovere anche se fa freddo, e per fortuna ho ancora dei biscotti da intingere nel caffellatte. Mentre immergo il primo frollino (rigorosamente senza Olio di Palma) nella tazza, realizzo che non è un sabato qualunque: è il sabato in cui andrò con mamma a fare shopping. Non so da quanto non succedeva. Tutta colpa degli oroscopi, e del corteo di appassionate astrologhe – o sedicenti tali – che da mesi mi porta via le sue attenzioni.
Finisco con calma la mia colazione, mi lavo e controllo la posta elettronica, per vedere se qualcuno ha risposto all’invito alla festa di Halloween.
C’è una sola mail ed è di Ettore, il mio migliore amico, psicologo con la passione dei quadri d’autore, nonché mio più paziente ascoltatore. Risponde che ci sarà, e che sta già pensando al miglior travestimento possibile per sembrare un Olio di Palma DOC: la notizia mi riempie di gioia, oltre a strapparmi un sorriso.
Ho conosciuto Ettore all’Università, e all’inizio lo detestavo. Era talmente perfetto da mettermi soggezione, e quando qualcuno mi mette in una simile condizione psicologica adotto la Tecnica del Coniglio: lo rifuggo.
Per mesi e mesi lo ho evitato: lui giganteggiava, dall’alto della sua intelligenza al di sopra della media e dei suoi trenta e lode; io vivevo nascondendomi, prendendo voti mediocri agli esami e destreggiandomi alla meno peggio tra le mie troppe insicurezze di donna non ancora sbocciata. Poi, una sera, ci siamo ritrovati assieme ad una festa, e qualcosa è cambiato.
Lui era a pezzi: la fidanzata, una Barbie con due metri di gambe e magnifici occhi azzurri lo aveva appena scaricato per un altro. Fu la prima volta in cui lo vidi per quello che era: un giovane uomo insicuro, che faceva di tutto per sembrare forte ma aveva pur sempre un cuore. E un cuore di tutto rispetto.
Lo vidi solo, lui che in genere era accerchiato da ragazze adoranti, e decisi di abbassare le barriere e sedermi accanto a lui.
Decisi di dargli una chance.
Lui stava bevendo un drink dopo l’altro, e nel momento in cui mi fece spazio su quel divano, ebbi l’impressione che la stanza che ci ospitava si stringesse attorno a noi per farci stare più vicini. La musica si fermò e l’alcol che avevamo in corpo rese tutto ovattato.
“Le vedi queste mani?”, mi chiese mostrandomi i suoi palmi grandi e lisci.
Annuii.
“Appena ieri erano intrecciate alle sue. Adesso, invece, sono fredde e vuote”.
In quel momento capii che avevo davanti un ragazzo sensibile, che sarebbe anche diventato uno psicologo di successo, un giorno, ma conservando un animo da poeta.
Parlammo per ore, parlammo tutta la notte, e il giorno dopo ero felice.
Ancora adesso, dopo tanti anni, Ettore è il mio migliore amico. E’ creativo, protettivo e a volte insopportabile. Quando si mette in testa una cosa, è impossibile fargli cambiare idea. Quando ti invita a una mostra di quadri, la sua seconda passione dopo la psicologia comportamentale, è capace di trascorrere ore intere nella più profonda contemplazione di una tela senza proferire verbo. E’ sempre a dieta, è puntiglioso fino allo sfinimento e ha un gusto un po’ retrò nell’abbigliamento. Ha difetti, come tutti, ma ha un cuore d’oro. E, soprattutto, mi fa sentire protetta. Anche se non senza una certa dose di manipolazione emotiva.
Spengo il computer, cacciando indietro i ricordi e chiedendomi quando riceverò le risposte degli altri invitati. Infine, faccio una rapida ispezione sul terrazzo per valutarne le condizioni generali.
La verità è che sono ondivaga. Ci sono giorni in cui, più per non pensare che mossa da un vero spirito di “casalinghità”, sono vittima di raptus di pulizia maniacale e passo l’intero week end a rassettare. Altri giorni, invece, mi lascio vincere dalla più totale indolenza ed è già tanto se lavo i piatti (non ho la lavastoviglie, e questo complica le cose). Lunedì sera darò la prima festa nella mia casa nuova: ci tengo che sia tutto a posto.
Il terrazzo è nel complesso pulito: sono le piante a preoccuparmi. Non ho mai avuto il pollice verde, ma, da quando sono diventata proprietaria di questo grazioso terrazzo di dieci metri quadrati, provo un disagio profondo se una pianta muore. E negli ultimi tempi, complici gli orari assurdi del lavoro precedente e il naufragio del mio matrimonio, è stata un’ecatombe. Sono morti tre gerani su tre, e due bonsai su quattro. Del basilico non parliamo neanche: si è seccato dopo un solo giorno. Eppure la ragazza che me l’ha venduto mi aveva assicurato che non era difficile prendersene cura.
“Lo saprebbe tenere anche un bambino”, ci ha tenuto a sottolineare.
Mi abbandono a un lungo sospiro di sconforto, mentre mi accendo una sigaretta ripetendo tra me e me che non ci sono problemi, che è tutto sotto controllo e che alla peggio chiederò una mano a mia sorella Arianna, che forse è un disastro in cucina, ma ha una passione per la botanica: infatti ha sposato un fioraio.
Mentre mi aggiro come un segugio sul terrazzo, con addosso un impermeabile vecchio per ripararmi dal freddo, mi squilla il cellulare.
“Buongiorno! Allora…sei pronta?”, chiede la voce squillante di mia madre dall’altro capo.
“Mmm, ho appena finito di fare colazione. Abbiamo fretta?”, chiedo aspirando l’ultimo tiro della mia Activate Double al gusto Mentolo e rientrando in casa.
“Ovvio. Dobbiamo andare in via Montenapoleone e fare acquisti compulsivi con la carta di credito Gold di tuo padre: festeggiamo il tuo nuovo lavoro, nonostante i cattivi presagi astrali, ricordi?”.
Mi accascio sul divano, cercando di nuovo il pacchetto di sigarette. Questa storia dell’oroscopo è una condanna.
“Wow! Se poi la smettessi di ricordarmi continuamente che aleggiano problemi planetari su di me, potrei godermi la giornata. Sarò pronta in un’ora: voglio fare le cose con calma, almeno nel week end”, rispondo.
La sento sospirare:“E’ chiaro, sei una Bilancia tesoro. Se poi si aggiunge che hai l’ascendente in Pesci, ecco che tutto torna. Ci vediamo alle dieci sotto casa tua… vengo con la Smart”.
Metto giù bruscamente e torno a osservare il terrazzo, indecisa sul da farsi. Infine, prendo di nuovo il cellulare e contatto mia sorella su Whatsapp.
“AAA: cercasi esperta di piante per sistemare il terrazzo”, scrivo alla velocità della luce solo che, come mio solito quando compongo troppo in fretta, sbaglio a digitare ed ecco il risultato:
“AAA: cercasi esperta di pianeti per sistemare il terrazzo”.
Maledico in cuor mio la tecnologia del T9 e sto già per riscrivere la frase, quando arriva la risposta in tempo reale di mia sorella.
“L’esperta dei pianeti è mamma: chiedi a lei!”.
A questo punto, mi accendo la seconda sigaretta e provo a chiamarla direttamente, ma non risponde. Tipico di Arianna: è sempre troppo impegnata per dedicarmi un attimo del suo prezioso tempo. Deve star dietro al suo secondo marito, che tra il negozio di fiori e i figli pestiferi avuti con un’altra non ha tempo per respirare.
All’improvviso suonano alla porta e io mi ritrovo a pensare che per essere un sabato mattina non è esattamente una giornata tranquilla.
Corro verso la porta e sbircio dallo spioncino, ritrovandomi davanti mio fratello.
“Rebe, ciao, scusa: avresti dei biscotti?”, chiede con la voce impastata di sonno, ancora in pigiama.
Mio fratello, Dario, è anche mio vicino di casa. Non condividendo esattamente lo stesso stile di vita evito di considerarlo una fonte d’aiuto nelle faccende domestiche, ma in questo momento confesso che la tentazione di chiedergli una mano con le piante è forte. Perciò gli apro la porta sfoderando la mia espressione più amichevole e vado in cucina a prendere il pacchetto di frollini. Glieli sventolo davanti.
Sorride, con quelle fossette che sarebbero irresistibili se non fossero di mio fratello, e fa per prendere i biscotti, ma io faccio un passo indietro.
“Devo chiederti una cosa in cambio” dico, con l’espressione più angelica che conosco.
Lui annuisce e solo allora capisco che la sua è una fame atavica e che al momento accetterebbe qualunque baratto pur di mettere qualcosa sotto i denti. Si venderebbe la primogenitura per un piatto di lenticchie, come Esaù.
Infatti Dario è più grande di me: dovrebbe avere buon senso, invece ultimamente si comporta come un teenager. E’ sempre stato uno studente modello, un ragazzo giudizioso, un fratello affidabile e un amico perfetto… fino a qualche mese fa.
Appena assunto in banca, dopo la laurea in economia con tanto di lode, ha conosciuto lei… ed è cambiato.
Lei si chiama Yoko e ha gli occhi a mandorla. Un misto tra Asia Argento e Carolina Crescentini, con quel tocco orientale ereditato dalla madre, giapponese di nascita e cantante lirica di professione.
Capisco che Dario possa aver perso la testa per lei dopo anni di assennata singletudine ma la realtà è che lei mi sembra un tantino strana. Diciamo che se mai dovessi essere la Love Matcher di mio fratello, non gli suggerirei un profilo simile.
Più giovane di lui, Yoko si è appena iscritta all’Università e, pur essendo portata in tutte le materie, ha scelto l’Accademia di Brera accarezzando il sogno di diventare illustratrice di fumetti…il ché si traduce in mattinate intere passate a bigiare le lezioni in cerca di ispirazione per i bozzetti di cui ha riempito la casa che spartisce con tre coinquiline parecchio naif e due Chihuahua.
La prima volta che mamma l’ha vista, vestita come un’artista e con i ciuffi di capelli color evidenziatore, ha avuto un mancamento.
Si è chiusa in camera, con la scusa di un forte mal di testa, e ha passato le due ore successive a consultare carte, leggere mappe astrali e interpretare tarocchi, cercando rassicurazioni sul destino sentimentale del suo unico figlio maschio. Ne è uscita intorno a mezzanotte coi capelli scarmigliati, le guance rosse e gli occhi spiritati, ripetendo come un Mantra:
“E’ solo un colpo di fulmine! Solo un colpo di fulmine! Maledetto Saturno!”
Ci è voluta tutta la pazienza (e i sensi di colpa) di mio padre, appena rientrato da una settimana di congresso a Los Angeles, per farle abbassare la pressione sanguigna, far sparire i tarocchi e farla mettere a letto.
Un anno dopo, cioè oggi, la situazione non è esattamente migliorata: se prima era solo Yoko a condurre una vita bohémienne, dopo dodici mesi di assidua frequentazione, anche mio fratello ha adottato uno stile di vita analogo. Non mangia e dorme poche ore per notte. Nel tempo libero non fa che leggere Mangiare, bere tè verde e studiare Kanji. A furia di sforzare gli occhi sui sinogrammi, ha perso due diottrie. Adesso usa gli occhiali.
Ma la cosa più singolare del suo rapporto con Yoko è la costante penuria di cibo. Non so quanto sia una sua scelta consapevole o quanto influenzata da Miss Occhi a Mandorla, fatto sta che in casa di Dario non esiste un pacco di pasta, né una confezione di crackers, né un barattolo di gelato nel refrigeratore. Per questo esisto io: la sorella minore con la sporta sempre fornita, che abita giusto al piano di sopra e, non avendo più un marito, è sempre a disposizione.
Se non lo ritenessi troppo intelligente per questo, penserei che aspiri a diventare un Respiriano: uno di quelli che credono che si posso rinunciare non solo alla carne e al pesce, come i vegani, o anche a latte e uova, come i vegani, ma proprio al cibo in generale. Certo, come no.
“In cambio mi daresti una mano a sistemare il terrazzo? Ci sono un paio di piante stecchite, niente di grave: è che lunedì sera do una festa…”, dico lasciando a mezz’aria il pacco di frollini, in attesa di una risposta.
Lui annuisce, con un lampo di entusiasmo negli occhi, e afferra il pacco:
“Yoko è bravissima con le piante. Molti giapponesi lo sono. Chiedo a lei, sarà felice di aiutarti…”.
Sono sempre stata piuttosto brava a farmi autogol, ma questo è decisamente troppo.
“Non voglio disturbarla, non avevi un amico botanico una volta?”, mi arrampico sugli specchi.
Fa un cenno di diniego con la testa.
“Si è trasferito in America l’anno scorso. Chiediamo a Yoko, vedrai: ci sa fare!”.
Non mi resta che accettare, abbozzando un sorriso e lasciando che finisca con avidità tutti i miei frollini senz’Olio di Palma.
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