La fragilità delle donne? Cresce in terza età

Pubblicato il 24 Ottobre 2016 in
longevità dentale

Ferma! Fatemi scendere! Per sbaglio

mi hanno rinchiusa in un corpo che invecchia.

(Maria Luisa Spaziani)

 Questi versi introducono bene il tema. La fragilità sottesa è proprio nel sentirsi “vecchi” e, spesso, nel rifiutare questo nuovo stato.

Anche sul piano linguistico si trovano tracce di questo sentimento: vecchio/vecchia, ma anche anziano/anziana, sono parole censurate. Si cercano sinonimi, si preferisce, ad esempio, utilizzare “senior”. È proprio difficile accettare questo fatto molto naturale: si nasce e si muore e, quindi, per forza si invecchia.

Cercherò di parlare di questa esperienza, dell’invecchiamento intendo, dal punto di vista della mia esperienza -femminile- e proverò a segnalare la fragilità di alcuni comportamenti, diffusi, in particolare nell’affrontare il decadimento fisico, un indicatore, nelle donne, di invecchiamento per eccellenza.

Le prime avvisaglie del decadimento fisico arrivano superata la frontiera dei sessant’anni.

Non si tratta solo di rughe, ma di quelle più sottili inefficienze che fanno capire il lento, inesorabile cambiamento.

È la difficoltà a infilare i collant, quando diventa arduo piegare il ginocchio come sarebbe necessario. Per non parlare di allacciare il reggiseno, di sedersi a terra, o ancor peggio, di alzarsi di scatto….

Tutte le piccole inefficienze fisiche che fanno dire: non mi sento la mia età, ma comincio a non riconoscermi più

La fragilità che deriva dall’inesperienza

Siamo giustamente stupite: non era mai accaduto, alle generazioni precedenti, di avere una prospettiva di vita così ampia, di essere in così buona salute, di non sentirsi per nulla vecchie, ma di sospettare di cominciare a esserlo, e non solo per le statistiche.

Prospettiva ampia, ma asfittica: ci resta ancora troppo tempo, ma per fare/per essere cosa/ come?

Molti dei componenti della nostra generazione, i giovani degli anni ’70, hanno avuto, il (discutibile) privilegio di vivere situazioni nelle quali i desideri e i sogni hanno potuto prevalere sui bisogni e sulle dure necessità della sopravvivenza materiale.

L’affermazione di Sé e del proprio diritto a esistere/ vivere secondo aspirazioni hanno permesso di mettere al bando dolore e frustrazioni, alimentando un’idea di intangibilità, se non addirittura di onnipotenza, che il tempo si sta incaricando di mettere in discussione.

Certamente non possiamo riferirci a valori antichi, che sono serviti in un’epoca troppo diversa dalla nostra, nel nostro angolo di mondo, per lo meno.

Questa impossibilità ci lascia disarmate di fronte a perdite inesorabili che nel passato erano compensate da nuove acquisizioni di status: lo scemare del vigore fisico si controbilanciava con l’esperienza che consentiva di sentirsi ancora validi, in un mondo basato sulla tradizione e nel quale il sapere era dato dall’esperienza accumulata nel tempo e veniva trasmesso tra le generazioni.

Oggi, la vertigine delle innovazioni che accompagna lo sviluppo tecnologico mina il sentimento del proprio valore con la percezione di un’inadeguatezza sempre crescente, non compensata in alcun modo.

Vecchie ed inesperte, non ci si sente tanto a proprio agio, ci si sente esposte, fragili, appunto.

 La fragilità che deriva dalla medicalizzazione 

Lo stupore di fronte alle proprie inadeguatezze, fisiche e mentali, può generare una serie di pensieri e,  talora, di interventi non sempre molto pertinenti.

Parlo della tendenza a considerare la salute come una sorta di tabù, al quale si sacrifica il buon senso e il buonumore.

Quando una articolazione scricchiola, quando non riesco a saltellare come le mie giovani compagne di ginnastica, quando mi viene il fiatone, spesso non attribuisco questi acciacchi all’età, ma mi chiedo se non sia il caso di fare una bella visita specialistica.

Ho la sgradevole impressione che il mondo che ci circonda alimenti una sorta di ipocondria generalizzata, per cui all’accenno di un minimo malessere cerco le cause mediche. Ma l’invecchiamento non è una malattia!

Questa è, a mio parere, la conseguenza del fatto che si tenda a considerare la vecchiaia in relazione a quello che non è, ovvero la gioventù, piuttosto che per quello che è, una stagione della vita.

Il mito dell’eterna giovinezza, coevo al genere umano, si manifesta oggi nell’eccessiva attenzione data alla prevenzione di mali che tali non sono.

Siamo mortali, questo è l’inevitabile richiamo che gli scivolamenti progressivi ci suggeriscono, di fronte all’ansia generata da questa consapevolezza, per mancanza di abitudine e di allenamento: essendo abituate a considerarci onnipotenti, ci rivolgiamo alla medicina, con grave danno non tanto/ non solo della spesa sanitaria nazionale, quanto della qualità della nostra vita quotidiana.

Vi possono essere anche altri sintomi della nuova fragilità che colpisce questa età della vita, ma ritengo che quelli che ho segnalato siano emblematici e che possano aiutarci a cercare nuove ipotesi di lavoro alla ricerca del nostro “star bene” imparando a scoprirne e a valorizzarne anche i vantaggi.

Vi è una condizione che è necessario rispettare per scoprire questo nuovo territorio: partire dai dati di realtà, trasformando i rimpianti in ricordi perché da essi possiamo partire per scoprire le prospettive, nuove, del nostro futuro.

Testimonianza- riflessione di Licia Riva, Associazione Nestore

Licia Riva, pensionata, counsellor e formatrice, conduce un gruppo di auto mutuo aiuto sull’invecchiamento, “L’età Sterza”; è membro del Direttivo dell’associazione Nestore

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