Uno degli strumenti più utili e semplici da usare è senza dubbio l’I.C.E. (In Caso di Emergenza). Si tratta del numero telefonico di persone di riferimento rintracciabili facilmente e rapidamente che il cittadino deve registrare sul proprio cellulare e che verranno contattati in caso di emergenza. Vi raccontiamo la storia di Laura, punto di riferimento per le emergenze di Maria, sua anziana vicina di casa, ma anche dei signori Lanfranchi e di Francesco.
“Sono una ICE, lo confesso: nel cellulare di almeno tre persone risulto con questo nome strano, ICE, appunto, seguito dal mio numero di cellulare. Anche se io mi chiamo Laura. Sono un esempio di persona che deve essere chiamata immediatamente In Caso di Emergenza. All’inizio ero perplessa: sono sola, nel senso di single, non ho marito nè figli. E neppure parenti diretti, perchè non ho più genitori o zii. Una lontana cugina è lontana davvero, perchè è rimasta a vivere in Croazia e non ha mai voluto raggiungermi. Così, diciamolo con franchezza: se mi chiama la Polizia o qualcuno del Pronto Soccorso, anche nel cuore della notte, mi spavento, ma non mi agito. Se mi hanno chiesto di fare l’ICE, si aspettano da me che rimanga calma ed efficiente, che sia rapida e pronta. E presente, soprattutto.
Di chi sono ICE? Della signora Maria, che abita nel palazzo; ha settant’anni molto ben portati; magra, truccata con gusto, cammina ancora veloce. Fa la spesa per conto suo, va dal parrucchiere del quartiere ogni settimana e manda messaggi rassicuranti via Skype al figlio che vive a Monaco di Baviera. Un giorno mi ha detto: “Se mi succede qualcosa di grave, anche mentre sono in giro, voglio che avvisino lei, che ha le chiavi di casa mia e che conosce mio figlio. Se mi bastano spazzolino e camicia da notte, li trova in una valigetta in ripostiglio, sempre pronta per scaramanzia, e me la può portare in ospedale. Se la valigetta non serve più, avvisi mio figlio e mia nuora, ma con dolcezza, mi raccomando”.
Anche Francesco mi ha voluto come Ice. E’ un cinquantenne provato dalla vita: divorziato, ha perso il posto di lavoro perchè alza il gomito, talvolta. Così si trascura e non è felice. Ha una sorella che vive a trenta chilometri da lui, ma non la sente e non la vede mai. Troppo diversi, dice lui. E così mi ha lasciato una busta sigillata. “Se mi succede qualcosa, aprila e leggi: trovi scritto tutto quello che serve”. Non so perchè, ma spero proprio di non doverla aprire mai. Oltre a consegnarmi la busta, ha memorizzato il mio numero sul suo cellulare: I.C.E. Laura 327….
E poi ci sono i Lanfranchi: novantatre anni lui, diritto ed elegante nel suo cappotto cammello, con un autentico Borsalino in testa, e la moglie, ottantotto di vivacità, qualche volta anche troppo garrula ed eccitata per cui non capisci mai se è contenta o un po’ fuori registro. Avevano un figlio di una quarantina d’anni, che li ha lasciati in fretta, per una brutta malattia. Loro hanno cercato di reagire, ma la moglie mi dice che ogni tanto trova il marito davanti al ritratto del figlio, a sgridarlo perchè se ne è andato via giovane, che era ancora troppo presto e toccava a lui. I Lanfranchi mi hanno detto che vogliono che corra io, in caso di necessità, ad aiutarli. Perchè conosco le loro abitudini, le preferenze, le piccole manie, persino quelle due coppie di amici più giovani che potrebbero intervenire in loro aiuto.
Ecco io, dunque, sono una persona ICE. Tutto sommato mi sento gratificata, anche se l’incombenza di per sè non è piacevole. La gente ha fiducia in me, sa che sono onesta e capace di affrontare le situazioni. Quando mi vedono entrare in ascensore a pulire gli specchi o distribuire la posta nelle caselle, devono sentirsi più sicuri e protetti. Sì, è vero, sono una custode Ice. E ne sono fiera”.
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