“Sto lavorando alla sceneggiatura del mio prossimo film: Caprichos, su un’idea di Ramòn”. Così Luis Buñuel scrive all’amico Pepìn Bello dalla Normandia il 1° agosto del 1928 e Ramòn è, naturalmente, lo scrittore Gòmez de la Serna. Il soggetto è meglio conosciuto come El mundo por diez céntimos (Il mondo per dieci centesimi) e si struttura come un insieme di storie eterogenee legate tra loro dall’inquadratura ricorrente di un uomo che legge un giornale il cui costo, 10 centesimi appunto, giustifica il titolo. In questo soggetto è facile cogliere la struttura narrativa che il regista utilizzerà in seguito, anche dopo molti anni, in film come La via lattea (1969) e Il fascino discreto della borghesia (1972), ma il principio estetico della libera concatenazione di elementi eterogenei ai fini di comporre un nuovo significato che travalica il senso di partenza è anche un pilastro della poetica surrealista. Lo stesso principio che aveva prodotto la scrittura automatica o la creazione dei cosiddetti cadavres exquis (lett. cadaveri squisiti).
Meccanismi psichici
Con scrittura automatica si definiscono quei testi elaborati dagli scrittori surrealisti in stato di semi incoscienza o attraverso alterazioni della dinamica psichica indotti artificialmente come il dormiveglia e i sogni a occhi aperti, ossia non filtrati dal controllo razionale. I cadaveri squisiti sono invece testi, solitamente brevi, elaborati collettivamente scrivendo a turno, su un medesimo foglio, ma all’insaputa uno dell’altro, parole a caso scelte secondo la sequenza sostantivo-aggettivo-verbo-sostantivo-aggettivo. Dalle prime due parole della prima composizione (Un cadavere squisito berrà il vino nuovo) era nato il nome utilizzato per questo tipo di “letteratura”. Lo scopo di queste sperimentazioni ha sostanzialmente il fine di sottrarre al controllo razionale i meccanismi di composizione poetica e ottenere una poesia superiore al puro dato della realtà. Una poesia, appunto sur-realista. Un altro sistema è quello di ritagliare le parole da un articolo di giornale, inserire i ritagli in un contenitore ed estrarli per ricomporli a caso. Nelle arti figurative lo stesso principio si applica nei collage o utilizzando oggetti di uso comune decontestualizzati e riadattati a una nuova funzionalità, priva di scopo pratico. Per esempio il ferro da stiro sulla cui piastra sono applicati dei chiodi a cui viene dato il titolo di Regalo (Man Ray) o il celeberrimo orinale da parete collocato orizzontalmente e ribattezzato Fontana (Marcel Duchamp).
Numi tutelari
Analogamente, anche la fruizione delle opere di altri autori obbedisce a tali principi. Nella letteratura del passato i surrealisti cercano dei precursori sulla stessa falsariga. Per esempio Isidore Ducasse, detto il Conte di Lautréamont, una cui frase viene scelta come archètipo della bellezza convulsa: «Bello! Come l’incontro fortuito di una macchina da cucire e un ombrello su un tavolo di anatomia». Al cinema i surrealisti frequentano le sale per non più di dieci minuti passando da una proiezione a un’altra per ricomporre idealmente nel loro pensiero un film immaginario che sia la sintesi degli spezzoni visti mentre sul piano estetico privilegiano il cinema popolare, sia francese sia americano, con particolare predilezione per i comici (Chaplin, Keaton, Ridolini…) e per le serie poliziesche tipo Fantomas.
Le contraddizioni del reale
Per tornare a Buñuel e al suo progetto, la scelta della lettura di un giornale come filo conduttore del racconto sottolinea, da un lato, un “realismo” che deriva dalla frequentazione della letteratura spagnola dell’800 e, in particolare, dai romanzi di Benito Pérez Galdòs (1843-1920), il Verga iberico, dall’altro la cifra particolare di quello che sarà il surrealismo buñueliano. Per il regista la messa in scena sotto forma di metafora dei sogni e dei meccanismi psichici servirà principalmente a portare a galla le contraddizioni della realtà. L’estetica surrealista in lui assumerà la valenza dialettica di incontro-scontro tra il concreto e il possibile. Per Buñuel, come per André Breton (1898-1966), capo del movimento e “gran sacerdote” dell’ortodossia surrealista, l’opera d’arte deve essere vera, non reale.
Voci dissonanti
Nella stessa lettera a Bello, Buñuel dice anche all’amico di aver ricevuto dalla madre 25mila pesetas, destinate alla realizzazione del film. Cifra ragguardevole, ma non sufficiente però per un progetto così ambizioso e complesso. Nella stessa primavera-estate 1928 sulla rivista La Gaceta Literaria escono testi poetici e brevi prose che si aggiungono a una raccolta iniziata tre anni prima e intitolata Un perro andaluz (lett. Un cane andaluso). Testi il cui stile e la cui forma sono marcatamente antilorchiani. Nel luglio dello stesso anno infatti Federico Garcìa Lorca pubblica per le edizioni della Revista de Ocidente il suo canzoniere dal titolo Primer romancero gitano, libro che lo consacra tra i maggiori poeti di Spagna e che è accolto con consensi pressoché unanimi. Ma con due voci dissonanti: quelle di Luis Buñuel e Salvador Dalì, i vecchi amici inseparabili della Residencia de Estudiantes.
La “nefasta influenza del Garcìa”
I primi di settembre Dalì scrive a Lorca una lettera in cui avanza severe critiche al Romancero tra cui quelle di creare una poesia convenzionale, legata a schemi del passato «Incapace di emozionarci e di soddisfare i nostri desideri attuali […] Una illustrazione dei luoghi comuni più stereotipati e conformisti» [le lettere di Dalì a Lorca sono state pubblicate anche in Italia, da Rosellina Archinto, 1989]. A suggerire tali critiche sta, con ogni probabilità, lo stesso Buñuel che, a Parigi da due anni e mezzo, ha potuto verificare quanto fosse diversa la temperie artistica della capitale francese rispetto alla Spagna. È quello che lui chiama, in altre lettere a Bello, «il successo facile di Barcellona», riferendosi alle prime mostre dell’amico pittore che vuole sottrarre alla «nefasta influenza del Garcìa» inducendolo a raggiungerlo nella Ville Lumière.
Distanziamento estetico
Per quanto riguarda i testi di Un perro andaluz, in essi si nota un sottile ma costante riferimento al senso della morte, in contrasto con il tentativo di esorcizzarla messo in atto da Lorca nel suo Romancero attraverso il colorito vitalismo della cultura gitana. Antifrasi di forma e contenuto. Il ricercato, coloristico “cantastorie gitano”, ispirato al poeta barocco Luis de Gòngora, contrapposto al prosaico, concreto, chiaroscurato “cane andaluso”. E proprio il titolo scelto per il film, dopo averne scartati molti tra cui il bodleriano Vietato affacciarsi all’interno, rimanda alla polemica antilorchiana. Non perché Buñuel disprezzasse l’amico al punto da paragonarlo a un animale (cosa che il permaloso Lorca aveva inteso), ma proprio per rimarcare il distanziamento dal punto di vista estetico. Nel passare dalla pagina scritta al film, Buñuel si rende anche conto che il linguaggio cinematografico è il solo che gli consente di recidere in modo netto, con un colpo di rasoio, i condizionamenti della pagina scritta, le convenzioni e le tradizioni letterarie. Allo stesso modo Dalì tenta attraverso il cinema di superare i limiti e gli accademismi della pittura. E di capire fin dove gli sarà possibile arrivare con la tavolozza.
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