Il cinema di Luis Buñuel – Storia, storie e utopie: 1929-38

Pubblicato il 21 Novembre 2021 in Humaniter Cinema
Luis Buñuel

I dieci anni che vanno dal 1929 al 1938, ossia tra la realizzazione del suo primo film, Un chien andalou, e la partenza per l’esilio americano, hanno un’importanza fondamentale nella vicenda umana e artistica di Luis Buñuel.

Nella storia della Spagna moderna questo decennio è il più tormentato: compreso tra la fine della dittatura di Miguel Primo de Rivera (28 gennaio 1930) e l’inizio di quella franchista a conclusione della sanguinosissima Guerra Civile (1936-39). Di mezzo: la proclamazione della Seconda Repubblica e la deposizione di re Alfonso XIII di Borbone, l’affermazione delle sinistre in due diverse elezioni (1931 e 1936) e la rivincita delle destre alle elezioni del 1933, seguite dal cosiddetto bienio negro, caratterizzato da un’accesissima conflittualità sociale, scioperi e repressioni sanguinose.

Buñuel aveva lasciato la Spagna nel 1925 e si era stabilito a Parigi. Da molto tempo desiderava andarsene dal suo paese, chiuso e arretrato, e immergersi nel fervore culturale delle avanguardie europee. A Parigi aveva maturato due scelte decisive: nel 1926 la decisione di abbandonare la carriera letteraria per dedicarsi al cinema e, nel 29, proprio in seguito alla realizzazione di Un chien andalou, l’adesione al surrealismo il movimento d’avanguardia fondato nel 1924 dallo scrittore André Breton e da altri artisti.

Luis Buñuel
Buñuel nel labirinto delle tartarughe

Riflessioni sulla storia

Nell’ottobre del 1930 Buñuel si trasferisce a Hollywood con un contratto della Metro Goldwin Mayer che l’ha scritturato in seguito al successo di Un chien andalou. Al suo rientro in Francia elabora alcuni soggetti con gli amici Pierre Unik e George Sadoul. Costoro però, in questi stessi mesi, sono espulsi dal gruppo surrealista per la loro adesione al Partito Comunista Francese. La stessa sorte tocca a un altro suo grande amico, il poeta Louis Aragon. Da questo momento anche Buñuel comincia a distaccarsi gradualmente dal gruppo. A raffreddare i rapporti contribuisce anche la crescente stima di Breton per Salvador Dalí con cui egli aveva rotto i rapporti d’amicizia in modo burrascoso l’estate precedente a causa di Gala (Elena Dimitrievna Diakonova), nuova compagna e quindi moglie, musa e, soprattutto, manager del pittore catalano.

Tutte queste esperienze devono aver fatto riflettere Buñuel sul senso e sul destino delle utopie nel momento in cui esse vengono a confrontarsi e calarsi nella storia. Qualcosa di simile doveva già essergli accaduto, da ragazzo, a Madrid, nei confronti dell’utopia cristiana cui aveva aderito da fanciullo con cieca irruenza, come era nel suo carattere. E il surrealismo, per le sue prese di posizioni in campo politico, etico e morale, era a tutti gli effetti un’utopia più che un movimento artistico.

Utopia è anche il marxismo verso il quale si orientano ora i suoi amici e al quale anch’egli aderisce, nel 1932, probabilmente proprio in seguito alla vittoria repubblicana nelle elezioni spagnole. Dal mutato clima politico che si è instaurato in patria derivano anche, tra il 1931 e il 1934, i ritorni sempre più frequenti e prolungati in Spagna.

Un documentarista impegnato

Buñuel
Ramón Acín, l’amico produttore di Las Hurdes

Questo nuovo impegno politico di Buñuel sta certamente alla base del suo interessamento per lo studio di Maurice Legendre sulla realtà antropologica delle Hurdes, arretratissima regione rurale dell’Estremadura spagnola, in stretta relazione con i progetti di riforma sociale elaborati dal governo Azaña, prima fra tutte la riforma agraria. Con il suo terzo film, il documentario Las Hurdes-Terra senza pane, Buñuel intende porsi dialetticamente a confronto con la storia del suo paese quando essa conosce la svolta più radicale degli ultimi quattro secoli: la fine della monarchia e della dittatura e la presa del potere da parte delle classi subalterne. Nel momento in cui, attraverso il suo film, individua nella religione e nel capitalismo le due principali forme di oppressione storiche, Buñuel obbliga però i realizzatori dell’utopia socialista a confrontarsi con una sfida ancora più difficile: l’emancipazione dalla schiavitù del bisogno. Tema centrale del film è infatti la “questione sociale”, il problema dei problemi per tutte le ideologie novecentesche.

La notte della Repubblica

Dopo essersi sposato nel 1934 con Jeanne Rucar e la nascita del primo figlio, Jean-Louis, Buñuel rientra definitivamente in Spagna e lavora prima come supervisore al doppiaggio della Warner, poi come produttore indipendente per la Filmófono, una piccola casa di produzione gestita in società con l’amico Ricardo María Urgoiti. Intanto gli eventi politici si susseguono in maniera drammatica e convulsa. Il 29 ottobre del ‘33 viene fondata la Falange Armata, spina dorsale del movimento franchista, e nel ‘34 cominciano i primi scontri tra fazioni opposte finché, nel febbraio del ‘36, la nuova vittoria elettorale delle sinistre, scatena la reazione dei fascisti che, sostenuti apertamente da Italia e Germania, sbarcano dal Marocco e, il 18 luglio, con il pronunciamiento del generalissimo Francisco Franco danno inizio alla Guerra Civile. Il 19 agosto, in un oliveto nei pressi di Viznar, a una decina di km da Granada, Federico Garcia Lorca viene fucilato dai falangisti.

Nel settembre del ‘36 Buñuel lascia la Fimófono e torna a Parigi con un incarico diplomatico all’ambasciata della Repubblica Spagnola. Ben presto però le sorti della guerra volgono al peggio per i repubblicani. Il 26 aprile del 1937 aerei tedeschi radono al suolo il villaggio basco di Guernica, preludio alla caduta di Bilbao, e nella primavera del ‘38 i franchisti lanciano un’offensiva in Aragona che, nel giro di pochi mesi, taglia in due il territorio controllato dal governo legittimo. Il 16 settembre del ‘38 Buñuel si imbarca con la famiglia per gli Stati Uniti. Il 28 marzo del 1939, Madrid cade in mano ai falangisti e la Guerra Civile si conclude. Il 3 settembre di quello stesso anno, con l’invasione tedesca della Polonia, inizia la Seconda Guerra Mondiale. L’utopia che sembrava realizzabile è soffocata nel sangue e la storia le dà il definitivo scacco mostrando il suo volto più tragico: una repubblica democratica che muore fra l’indifferenza di tutte le nazioni e gli occhi privi di sguardo degli abitanti di Las Hurdes.

Buñuel
Buñuel nel labirinto delle tartarughe

Perché nascono le utopie

L’esperienza di questi anni ha certo avuto un influsso decisivo sulla poetica buñueliana. In un’intervista rilasciata a Mario Foglietti per la Rai, nel 1970, il regista afferma: «Il dubbio sta alla base dei miei film […] Quanto al mio pessimismo sul destino dell’uomo, in effetti, è totale». Poetica del dubbio, dunque, e radicale pessimismo sono le fondamenta dell’estetica (surrealista) buñueliana. Il dubbio sta all’opposto del dogma, della certezza assoluta, ed è figlio del caso («Il caso è il gran maestro di tutte le scelte, la necessità non viene che in un secondo momento», ha scritto il regista nelle sue memorie). Se si prescinde dal principio di un Essere Supremo, un Demiurgo o una qualche divinità che determina e orienta la storia, bisogna ammettere che quest’ultima segue un corso casuale e che l’uomo non è in grado di prevederne, determinarne o governarne gli effetti. L’uomo è però consapevole di vivere in una condizione di oppressione e di schiavitù e per superare tale condizione si crea delle utopie. Quando però tenta di calarle nella storia, le utopie falliscono e falliscono in primo luogo perché il tentativo di attuarle le trasforma in una fede. La fede è infatti l’esatto opposto del dubbio così come l’agire secondo un fine è il contrario del caso. Da qui, da queste antinomie ampiamente sperimentate nella propria vicenda personale e nella storia recente del suo paese, Buñuel deriva il suo pessimismo radicale: dalla constatazione del perenne scacco (échec, in francese, è la parola usata nelle memorie) che la storia dà a tutte le utopie nel momento in cui esse si trasformano in fedi. Così è stato per il cristianesimo, per il comunismo e anche per il surrealismo, quantomeno nella sua valenza etica.

La liberazione dell’inconscio

Molti esegeti hanno letto l’umorismo e l’ironia che caratterizzano le opere di Buñuel come antidoti al pessimismo. Niente di più errato perché nei suoi film umorismo e ironia rafforzano il pessimismo mediante il paradosso. In termini filosofici il paradosso è un ragionamento che contiene in sé una contraddizione dalla quale si evince una realtà o una verità diverse da quelle che appaiono. Mediante tale artificio narrativo – basti pensare all’uso del sogno nei film dell’ultimo periodo francese – Buñuel riesce a rendere palesi quelle contraddizioni tra essere e dover essere, tra desiderio e frustrazione che la ragione cela e reprime nelle sue sovrastrutture: il rito, le convenzioni, il mimetismo sociale. C’è più Sade che Freud in questa ermeneutica giacché la liberazione dell’inconscio porta sì allo scacco della storia, ma porta anche un’insopprimibile nostalgia della purezza originale. Ed è proprio questa nostalgia della purezza originale che per Buñuel, come per Sade, rappresenta la vera e autentica matrice di tutte le utopie.

Una strada piena di ombre

Dunque, in sintesi, nelle storie narrate da Buñuel l’ambiguità dell’essere e lo scacco della storia definiscono un contesto esistenziale generato dal dubbio. La forma più compiuta e palese di questo processo, in scala storica come in scala individuale, Buñuel lo individua nella storia della Chiesa: massima forma di repressione sviluppata nel corso della storia a partire da un originario messaggio di totale liberazione, la liberazione dal male e dal peccato. Del cristianesimo c’è traccia in tutti i suoi film, sotto forma di citazioni bibliche, oggetti legati al culto, situazioni, personaggi e uomini di chiesa, incluso anche un pastore protestante. Una storia di violenza e follia che non termina, come ipotizzava Marx, nella fine della religione in virtù della rivoluzione proletaria, ma nella santa alleanza tra clero e borghesia che insieme scrivono, ancora una volta, sul libro della storia la parola fine alle utopie. La storia diventa così il teatro in cui tutti recitano un copione insensato, interpretano un ruolo non loro, si muovono lungo tracce indecifrabili che non li portano in nessun luogo. Come camminare su una strada deserta da un nulla verso un altro nulla. La metafora del cammino senza meta presente nel Fascino discreto della borghesia ha nello stesso film un tragico e ancor più enigmatico corrispettivo in un’altra sequenza che si può leggere come metafora ancor più generale della condizione umana: la sequenza del sogno del sergente, con la città dei morti in cui il giovane vaga, solo e disperato «Lungo una strada piena di ombre dove nessuno mi risponde».

Buñuel
Buñuel nel labirinto delle tartarughe

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