Più di qualsiasi altra opera precedente, questo film tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Kessel, si presenta formalmente con una struttura binaria, ossia elaborato su dualismi la cui correlazione determina lo sviluppo narrativo. Tale struttura deriva dall’estetica surrealista dell’autore che qui trova una delle sue forme di espressione più compiute.
Doppia è la personalità della protagonista, Séverine (Catherine Deneuve), moglie frigida e inibita del medico Pierre Sérizy (Jean Sorel), donna irreprensibile e conservatrice, colta e ricca esponente della ricca borghesia parigina, ma prostituta in un bordello di lusso sotto falso nome. Doppia è l’espressione della sua personalità che si estrinseca mediante sogni (o sogni a occhi aperti) che sullo schermo sono rappresentati nella stessa forma della realtà. Doppia e complementare anche la rappresentazione di alcuni personaggi come, per esempio, il dualismo tra Pierre, l’integerrimo marito, e Husson (Michel Piccoli), l’amico libertino. Non a caso Séverine che, nella realtà ama l’uno quanto detesta l’altro, nel sogno li colloca sul medesimo pano, quasi assimilati l’uno all’altro, in ogni caso alleati e complici nelle “punizioni” che essi le infliggono. Alla radice di tutto sta un trauma infantile della donna che viene rappresentato in flashback mentre sale per la prima volta le scale della “maison”. Flashback a sua volta ripartito in forma binaria mediante due diverse scene, giustapposte e correlate: le attenzioni morbose di un uomo e il rifiuto della prima comunione. Sessualità e cattolicesimo, ancora una volta, come poli contrapposti e distinti il cui cortocircuito scatena l’azione drammaturgica. E condiziona per sempre la psicologia del personaggio, anche nell’età adulta, determinandone i comportamenti.
Per tornare alla rappresentazione di realtà e sogno, si può dire che essi si integrano e si compongono in una realtà superiore (o surrealtà) che li integra dialetticamente e la cui interazione genera il significato dell’opera. Dunque: sessualità e cattolicesimo, realtà e sogno, tema freudiano del “doppio” sviluppato e messo in scena secondo l’estetica surrealista… Tutti questi fattori determinano una sostanziale ambiguità del narrato che trova la sua espressione più compiuta nelle sequenza del duca necrofilo (Georges Marchal). La sequenza parrebbe appartenere alla realtà ossia essere un incontro occasionale maturato durante l’attività clandestina di Séverine, dalle 14 alle 17 del pomeriggio, ma alcune battute del dialogo e la presenza del cocchio, elemento caratterizzante le sequenze oniriche, inducono piuttosto a collocare la sequenza nell’ambito dell’inconscio della protagonista. D’altra parte proprio l’ambiguità è lo strumento compositivo utilizzato dal regista per arrivare al senso più denso e profondo della vicenda narrata. Uno strumento compositivo, questo, utilizzato in larghissima misura proprio nei film dell’ultima fase creativa dell’autore. Si pensi, per esempio, alle costruzioni formali della Via lattea (1969) del Fascino discreto della borghesia (1972) e del Fantasma della libertà (1975).
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