Il cinema di Luis Buñuel – Analisi critica di “L’âge d’or”

Pubblicato il 5 Novembre 2021 in Humaniter Cinema
Luis Buñuel

Sul piano formale, questo film presenta una struttura tripartita con un prologo, uno sviluppo centrale e un epilogo. Prologo ed epilogo, della durata di circa 4 minuti ciascuno, appaiono completamente slegati rispetto alla storia centrale e ne costituiscono una sorta di cornice. A sua volta la storia (il tentativo sempre frustrato dei due personaggi principali di amarsi) può essere suddivisa in due parti: la cerimonia pubblica e il ricevimento privato. Già da questo sommario esame la seconda opera di Buñuel, più ancora della prima, denota un accuratissimo processo di composizione estetica ed è quanto mai lontana dagli automatismi cari all’avanguardia surrealista nelle sue espressioni pittoriche e letterarie. Il regista lavora seguendo il metodo che gli sarà abituale fino alla fine della sua attività creativa: una sceneggiatura di ferro, ma anche grande duttilità nella messa in scena in base alle esigenze della migliore resa formale. «L’essenziale in un film è l’interesse tenuto vivo da una buna progressione, che non lasci un attimo di respiro agli spettatori. Si può discutere il contenuto di un film, la sua estetica (se ce l’ha), lo stile, la tendenza morale… Ma non deve mai annoiare» scrive al proposito Buñuel nelle sue memorie.

 

Vaticano in affitto

Luis Buñuel
La croce con gli scalpi

Per altro verso, come nel precedente, anche in questo film l’attenzione dell’autore è rivolta, più che alla definizione dei personaggi e alla narrazione, agli elementi che la ostacolano, la contrappuntano o la contraddicono. È, ancora, il ricorso estetico alla figura retorica della metonimia, che abbiamo già visto utilizzata in Un chien andalou, esasperata dall’uso surrealista dell’oggetto che non è mai quello che appare a prima vista. Esemplare, a questo proposito, la sequenza che descrive la città appena fondata. Con una tecnica simile al collage pittorico il regista usa immagini anodine, materiale “povero” e insignificante, per comporre un ritratto urbano metafisico, inquietante e perturbante. In quella città, infatti, distinti signori escono da un caffè impolverati dalla testa ai pedi, prendono a calci un violino sul marciapiede, passeggiano nei giardini con pietre sul capo mentre alle finestre del Vaticano appare un avviso di locazione. Ancor più emblematica e complessa la sequenza del ricevimento durante il quale uno schiaffo alla padrona di casa crea più scompiglio di un incendio nelle cucine o, ancora peggio, di un infanticidio. L’apice narrativo si raggiunge nella sequenza del giardino con i due amanti continuamente frustrati nella loro passione sia da motivi esterni (la telefonata del ministro, l’attacco dell’orchestra…) sia da pulsioni interiori messe in scena mediante dialoghi fuori campo, allucinazioni visive o rêverie (sogni a occhi aperti).

Luis Buñuel
Il prologo con gli scorpioni

Immagini e suono

Anche la colonna sonora risponde allo stesso criterio. Benché sia uno dei primissimi film “parlati” della storia del cinema L’âge d’or presenta una straordinaria complessità di elaborazione nell’uso di parole e musica e nel loro rapporto con l’immagine. Il principale criterio utilizzato da Buñuel è il confronto dialettico o il contrappunto. Nel prologo, all’asettica descrizione documentaristica degli scorpioni sottende il romantico brano La Grotta di Fingal di Mendelssohn mentre alle sequenze con i “banditi” fa da sottofondo la Quinta sinfonia di Beethoven. Lo sbarco dei “maiorchini” avviene sull’eco di una trascrizione per archi del mottetto di Mozart Ave verum corpus, perfetta antifrasi dei vescovi ischeletriti. Il collage visivo della città di Roma si completa in un collage sonoro che ha per base la Sinfonia Italiana di Mendelssohn interrotta, durante la scena del violino preso a calci, da alcune battute del Concerto n 5 per violino e orchestra di Beethoven. Il ricevimento ha per colonna sonora la sinfonia Incompiuta di Schubert interrotta e ripresa in relazione allo sviluppo del narrato. L’incontro degli amanti in giardino avviene sulle note dell’amatissima Morte di Isotta di Wagner per concludersi con l’inserimento dei tamburi della Settimana Santa di Calanda in un corto circuito semantico ad altissima differenza di potenziale. In stretto stile surrealista.

Luis Buñuel
Lya Lys, la protagonista femminile

Un linguaggio nuovo

Come Un chien andalou anche questa seconda opera di Buñuel è fortemente tesa alla creazione di un nuovo linguaggio. Articolato secondo i dettami del Secondo manifesto del Surrealismo di cui il regista e Salvador Dalì erano stati tra i firmatari. Con in più una fortissima valenza sociale di contestazione e opposizione alla borghesia, al clericalismo e al capitalismo. Arma della rivolta, non la lotta operaia o l’utopia socialista, ma, ben più eversiva, la pulsione sessuale, l’amour fou (amore folle), unico e totalizzante, di fronte al quale ogni altro impegno, persino quelli umanitari, passa in secondo piano. Nonostante questo, però, Buñuel non rinuncia al suo radicale pessimismo sui destini dell’uomo e lo dimostra, per esempio, nel raccogliticcio gruppo dei banditi incapaci non solo di un’efficace azione militare, ma persino di reggersi in piedi.

Luis Buñuel
La vie secrete (Magritte_1928)

Il tema dell’affermazione del potere borghese si palesa nell’arco delle due cerimonie, quella pubblica e quella privata. All’interno di questa doppia ritualità il regista sparge eloquenti tracce di un’altra ritualità, quella ecclesiastica. Ecco perciò l’omaggio alle reliquie dei vescovi sulla scogliera di Cap Creus, località nei pressi di Cadaquès, cara a Dalì, ma anche l’ostensorio che viaggia a bordo della lussuosa limousine di una coppia di invitati al ricevimento, il prete violinista e quelli che attraversano correndo un ponticello. La ritualità cattolica deflagra nella sequenza finale con il doppio, blasfemo oltraggio ai simboli più sacri del cristianesimo: l’identificazione di Gesù con lo scellerato duca di Blangis, protagonista delle 120 giornate di Sodoma di De Sade, e la croce-totem con appesi degli scalpi.

 

Monologo interiore

A intralciare, a opporsi e contraddire le diverse ritualità interviene, come detto, la pulsione sessuale che tuttavia conosce a sua volta un costante processo di disgregazione e demitizzazione. I due amanti infatti non arriveranno al compimento del loro desiderio. Nel momento in cui Buñuel descrive l’amour fou come l’unica forza in grado di emancipare l’uomo dalle sue secolari servitù ne circoscrive il raggio d’azione configurandolo come utopia irrealizzabile. Tra gli esempi esteticamente più complessi ed elaborati di questo processo, nonché tra i più riusciti sul piano formale, è la lunga sequenza caratterizzata dal monologo interiore a distanza tra i due personaggi principali. Con l’uomo scortato da due poliziotti per le strade della città e la sua amante nelle stanze del proprio lussuoso appartamento. Anche qui un uso straniante ed estremamente avanzato per i tempi di contrappunto audiovisivo e di reciproco rafforzamento tra immagine e suono realizzato in maniera antinaturalistica. Il che non vuol dire in senso astratto o disancorato dalla realtà. Anzi ben radicato nell’oggettività formale dell’immagine cinematografica proposta nella sua pura evidenza e senza alcun mascheramento tecnico quali, per esempio, le dissolvenze, gli sfumati, le deformazioni largamente usati invece nel cinema commerciale per ottenere questi stessi effetti.

Luis Buñuel
L’uomo sandwich, L’age d’or

Riferimenti formali

Anche in questo film, come nel precedente, ma in misura molto minore, non mancano riferimenti all’opera letteraria di Buñuel, realizzata negli anni precedenti, né ad altri autori, cinematografici e non. I vescovi scheletriti sono un chiaro riferimento alla categoria dei putrefactoselaborata dal regista e dai suoi inseparabili amici (Bello, Lorca e Dalì) all’epoca della Residencia, ma anche un riferimento formale al quadro seicentesco Finis Gloriae Mundi(La fine della gloria del mondo) di Juan Valdés Leal che ritroveremo citato quasi alla lettera nel film La via lattea(1969). Nel suo dramma teatrale Amleto Buñuel scrive: «In una confortevole bara giace Mitridate, decomposto ed episcopale». Un’influenza di Magritte si può leggere nel Falso specchioche non riflette l’immagine della ragazza che vi è di fronte e nell’abito femminile che, buttato dal protagonista su una poltrona, vi si adagia come se fosse indossato da qualcuno. Anche per il violino fracassato esistono due antecedenti. Uno, letterario, nel testo di Ramòn Gòmez de la Serna El sepelio de Stradivarius(Il funerale di Stradivari), un altro, cinematografico, nel film di Buster Keaton Steamboat Bill jr(Bill del vaporetto) del 1928. Il volto sanguinante dell’uomo al culmine della tensione erotica, oltre che un antesignano diretto nell’analoga situazione presente in Un chien andalou(1929) trova una singolare coincidenza nel film del 1925 di Georg Wilhelm Pabs dal titolo Via senza gioia. Infine un’ultima suggestione visiva da un altro autore espressionista tedesco: Joe May e il suo Asfaltodel 1929. Si tratta della breve sequenza con l’uomo-sandwich che si allontana dalla mdp. Forse, nel film di May, Buñuel era stato colpito dalla scritta sui cartelloni portati a spalla recanti la pubblicità di un locale in Passage Jouffroy, la galleria parigina art déco dove sorge l’Hotel Ronceray legato alle memorie familiari del regista che ritornerà anche in Quell’oscuro oggetto del desiderio(1977), l’ultima opera del regista.

Luis Buñuel
Buster Keaton, Steamboat Bill jrm (1928)

L’Etna e il Cinegiornale Luce

Sempre a proposito dell’uso straniante dell’immagine, un caso emblematico è la sequenza della fondazione di Roma per la quale Buñuel utilizza alcuni spezzoni di film girati da altri cineasti per scopi diversi rispetto ai quali vengono utilizzati qui. In termine tecnico si tratta di materiale di repertorio. Tra questi ultimi figurano brevi inquadrature di una colata lavica e la distruzione di alcune case da parte del magma precedute dalla didascalia Parfois, le dimanche…(A volte, di domenica…). Le scene di distruzione sono intercalate dalle effusioni amorose dei due protagonisti abbracciati in una pozza di fango. Ebbene: da sempre la critica ha giustamente letto tali sequenze come una metafora della forza della passione paragonata a quella di un vulcano. Ma Buñuel non si limita a questo. Le riprese del magma sono state estrapolate da alcuni Cinegiornali Luce che documentavano l’eruzione dell’Etna avvenuta nel 1928 nel corso della quale era andato distrutto il paese di Mascali. Immagini, dunque, già ben note a tutti gli spettatori che dovevano averle viste un paio d’anni prima associate a quella che è tutt’ora considerata la più devastante eruzione del vulcano siciliano degli ultimi tre secoli. Dire genericamente “L’amore è più forte di un vulcano in eruzione” è di certo meno impattante che affermare: “L’amore è più forte di quellaeruzione per la quale avete già provato tanto orrore e sgomento”.

Luis Buñuel
Gaston Modot, il protagonista

Il perché di un titolo

Per quanto riguarda il titolo, da principio la scelta dell’autore era caduta su una frase estrapolata dal Manifestodi Engels e Marx: Nelle acque gelide del calcolo egoista. Forse per la consapevolezza che in quelle acque gelide sarebbe caduta la sua incandescente pietra dello scandalo. Altra ipotesi scartata: La bestia andaluzaper il semplice motivo che la polemica antilorchiana non aveva più ragion d’essere. Dopo il film d’esordio ne erano sostanzialmente caduti tutti i presupposti e ormai Buñuel aveva intrapreso un proprio percorso espressivo abbandonando la letteratura per il cinema. In compenso Salvador Dalì era entusiasta del quadro neoclassico di Ingres intitolato appunto L’età dell’orodi cui il pittore scrive nelle sue memorie: «Mi pareva il più bel quadro del mondo». Nell’accettare la proposta (insieme a qualche altro piccolo suggerimento di sceneggiatura) dell’ormai ex amico, il regista pensa però più verosimilmente a un passo del Don Chisciottedi Cervantes (parte I, cap. XI) in cui il cavaliere dalla triste figura tiene un discorso ad alcuni pastori sull’età dell’oro dell’umanità: «Avventurosa età e avventurosi secoli quelli cui gli antichi dettero il nome di età dell’oro, non già perché l’oro, che in questa nostra età di ferro tanto si apprezza, si ottenesse, in quel tempo fortunato, senza alcuna fatica, ma perché allora, quelli che ci vivevano ignoravano queste due parole: il tuoe ilmio». Brano che Buñuel riprenderà quasi alla lettera nel suo ultimo, incompiuto, film messicano: Simòn del desierto(1965). Dunque la disputa sul “tuo” e sul “mio” come causa prima di corruzione dell’umanità. Quel “tuo” e quel “mio” che sono alla base della società capitalistica e borghese contro cui si leva, unica voce realmente dissonante, la Rivoluzione Surrealista.

 

Luis Buñuel
L’uomo sandwich Asfalto J.May 1929

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