Il Venerdì Santo, a fine mattina, la folla si raduna sulla piazza principale, di fronte alla chiesa. E aspettano tutti nel silenzio più totale, con il tamburo appeso al collo. Se per caso un impaziente si lascia sfuggire qualche colpo di bacchetta, l’intera folla lo zittisce.
A mezzogiorno, al primo rintocco della chiesa, un rumore immenso, come il rombo di un tuono gigantesco, colpisce e schiaccia il villaggio. Tutti i tamburi si mettono a suonare contemporaneamente. Un’emozione indefinibile, che presto diventa una specie di ebbrezza, s’impadronisce dei suonatori. Passano così due ore, poi si forma una processione detta El Pregón (pregón è il banditore pubblico), e questa processione lascia la piazza principale per fare il giro del paese. Gli ultimi non hanno ancora lasciato la piazza, così fitta è la folla, che già i primi ricompaiono dall’altra parte.
Nella processione si vedono soldati romani con barbe finte (chiamati putuntones, parola che pronunciata ricorda il ritmo del tamburo), centurioni, un generale sempre romano e un altro personaggio di nome Longino, chiuso in un’armatura medievale. Quest’ultimo, che in teoria difende il corpo di Cristo dai profanatori, a un certo punto si batte in duello con il generale romano. La folla dei tamburi circonda i due combattenti. Il generale romano, girando su se stesso, indica di essere morto e Longino sigilla il sepolcro sul quale deve vegliare.
Cristo è rappresentato da una statua che giace in una teca di vetro.
Durante l’intera cerimonia si cantilena il testo della Passione, testo in cui ricorreva più volte l’espressione “sciagurati ebrei”, poi cancellata da Giovanni XXIII.
Verso le cinque tutto è consumato. Per un attimo, allora, silenzio. E i tamburi ricominciano a battere per fermarsi solo l’indomani mattina.
Il loro rullio ubbidisce a cinque o sei ritmi diversi. Quando due gruppi, ciascuno con il suo ritmo preciso, arrivano all’angolo di una via, si fermano facendosi fronte e allora si assiste a una vera e propria battaglia di ritmi, che può durare un’ora o più. Alla fine il gruppo più debole muore in quello più forte.
Fenomeno straordinario, potente, cosmico, riguardante il nostro inconscio collettivo, i tamburi fanno tremare la terra sotto i piedi. Basta appoggiare una mano contro il muro di una casa per sentirla vibrare. La natura si mette all’unisono col ritmo dei tamburi, che va avanti per tutta la notte. Se qualcuno si addormenta, ravvolto nei battiti, si sveglia di colpo quando quei battiti si allontanano lasciandolo solo.
Sul finire della notte la pelle dei tamburi è tutta macchiata di sangue. A forza di battere, le mani si feriscono a sanguinano. Pure, si tratta di durissime mani contadine.
Il sabato mattina alcuni vanno a commemorare l’ascesa al Calvario su una collina, vicino al villaggio, dove c’è una Via Crucis. Gli altri continuano a battere sui loro tamburi. Alle sette ci si ritrova tutti per la processione detta del Entierro. Al primo rintocco di mezzogiorno, tutto si ferma fino all’anno seguente.
Luis Bunuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli
Ruta del Tambor y del Bombo
Tra i riti e le usanze particolari della Settimana Santa di cui è ricca la Spagna (famosa in tutto il mondo, per esempio, quella di Siviglia) nove paesi della Bassa Aragona, compresi in un’area non molto estesa, ne condividono una, forse meno nota ma non meno suggestiva, che dal 1970 è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Si tratta di processioni accompagnate dal suono di tamburi e grancasse tanto che i nove villaggi sono collegati, anche a fini turistici, da uno specifico percorso chiamato Ruta del Tambor y del Bombo (Strada del Tamburo e della Grancassa). I nove paesi sono: Albalate del Arzobispo, Alcañiz, Alcorisa, Andorra, Híjar,La Puebla de Híjar, Urrea de Gaén, Samper de Calanda e, naturalmente, Calanda. Ogni villaggio presenta varianti locali, ma in comune a tutti c’è appunto il rullare ininterrotto per 24 ore di tamburi e grancasse il cui suono simboleggia il tuono e il terremoto che, secondo i Vangeli, accompagnarono l’agonia e la morte di Gesù sul Calvario nonché lo squarciarsi del velo nel Tempio di Gerusalemme. Come in tutta la Spagna anche in questi paesi sono attive specifiche confraternite con stendardi e apparati portati a spalla raffiguranti i vari episodi della Passione. In tutti i paesi compaiono anche dei figuranti abbigliati in costumi storici che rappresentano i personaggi delle Sacre Scritture. L’origine dell’usanza si fa risalire al XVII secolo. In qualche caso, tra cui Calanda, la tradizione era andata affievolendosi nel tempo, ma fu riportata in auge da alcuni sacerdoti locali nel corso dell’Ottocento. Diverso è invece il colore della tunica e del copricapo che i confratelli e i suonatori indossano nel corso dei riti. Nero, blu e viola sono i colori principali, con alcuni accessori, come fazzoletti, cinti, fasce o altro, di colore diverso per ciascun paese. Il colore di Calanda è il viola (morado, in spagnolo). Nella sola Calanda è diverso anche il periodo in cui i tamburi rullano (la cosiddetta Rompida de la hora): da mezzogiorno del Venerdì Santo alla stessa ora del giorno successivo, il Sabato Santo. Gli strumenti sono suonati da cuadrillas, ossia gruppi di suonatori che eseguono lo stesso ritmo. Per formare una cuadrilla occorrono almeno sei persone: cinque tamburi. di dimensione ossia di timbro diverso, e una grancassa. Si calcola che nell’insieme dei nove paesi non siano meno di 16mila le persone che suonano un tamburo o una grancassa nel corso della settimana pasquale. In ogni villaggio ci sono botteghe artigiane e laboratori per la costruzione e la manutenzione degli strumenti. A Calanda la bottega più celebre è stata quella di Tomás Gascón (1923-2010) a motivo anche della sua lunga amicizia con il regista.
Destituita di ogni fondamento è invece la diceria locale secondo cui i Buñuel possedevano delle bacchette di tamburo ricavate nelle stampelle di Miguel Pellicer (vedi §-Il miracolo di Calanda), donate alla chiesa del Pilar del villaggio come ex voto. Alla famiglia apparteneva invece uno dei grandi gruppi scultorei in legno portati in processione durante la Settimana Santa andato distrutto durante la Guerra Civile.
Calanda, altro caso unico, ospita due diversi monumenti al tamburo. Il primo, inaugurato nel 1974, riporta una mappa schematica della “Ruta” con i nove paesi e una croce nascente da un tamburo. Costruito da maestranze edili locali in cemento e piastrelle di ceramica. Il secondo è stato inaugurato nel 2018, opera dello scultore calandino José Lamiel, e raffigura un adulto e un bambino rivestiti della tipica tunica con un tamburo e una grancassa su un basamento in cui è incisa la parola “tradizione”. Simbolo della continuità dell’usanza tra generazioni diverse.
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