Nel 1960 Luchino Visconti gira un potente dramma sull’emigrazione al nord di una povera famiglia di contadini lucani. Il cinema italiano è in quel periodo in fermento. Fellini con La dolce vita e Antonioni con L’avventura hanno ottenuto il gradimento di pubblico e di critica. Con Rocco e i suoi fratelli il regista milanese torna dietro la macchina da presa e lo fa sfidando un clima sociale carico di tensioni che esploderanno in luglio con i morti di Reggio Emilia – cinque operai iscritti al Pci uccisi dalla polizia -, il tentato golpe del capo del governo Tambroni e la rivolta dei ragazzi dalle “magliette a strisce” scesi nelle piazze italiane contro le camionette della Celere.
Il film racconta, come in una tragedia greca, la sofferenza di una famiglia meridionale costretta a lasciare la sua terra per cercare fortuna nella metropoli. I Parondi, una madre e i suoi quattro figli (il quinto, che li ha preceduti, è già perfettamente integrato), si trovano di fronte a una realtà fatta di sacrifici, ma anche di consumismo e di benessere. Il successo può essere a portata di mano anche praticando uno sport fatto di sudore, allenamenti massacranti e dolore fisico. È la boxe praticata in particolare dai ragazzi proletari abituati a guadagnarsi duramente la vita. Tra nebbia, gelo, case popolari umide e fatiscenti Simone, Rocco, Luca e Ciro avranno destini diversi scegliendo tra malvagità e bontà.
Tratto dai racconti di Giovanni Testori Il ponte della Ghisolfa (1958), il film, tre Nastri d’argento nel 1961 e il Premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia con un incasso record di un miliardo e seicento milioni di lire, non passerà inosservato ai milanesi già dall’inizio della lavorazione con attori e comparse all’uscita del Velodromo Vigorelli, il circuito di ciclismo su pista cittadino, tra macchine da presa e grossi riflettori piazzati in più punti. Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Katina Paxinou, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa sono i protagonisti di questa toccante storia di una disgregazione familiare in pieno boom economico.
Alla fine di febbraio la troupe è al lavoro. Il 12 marzo Visconti è sofferente per una improvvisa laringite acuta che lo ha reso afono. La produzione è sospesa per due giorni. Il 14 marzo si riprende con un freddo polare dalle parti di viale Argonne, al n. 2 di Via Dalmazio Birago, nel cosiddetto Villaggio Crespi, casermoni grigi e spogli, dove è ambientato lo scantinato nel quale trovano alloggio i cinque immigrati.
Pochi giorni dopo al Giambellino, quartiere caro a Giorgio Gaber, la lavorazione riprende tra tram in movimento, piccoli bar squallidi, ragazzetti di periferia, pugili dilettanti, biliardi e jukebox. Il 7 aprile sono state già effettuate le sequenze del Ponte della Ghisolfa, sul Duomo e alla stazione Centrale. Gli interpreti vanno e vengono da Roma e Parigi (il film è una delle tante coproduzioni italo-francesi del periodo). La lavorazione non è una passeggiata per tutta la troupe. Delon, che appena è libero dagli impegni sta con la fidanzata Romy Schneider giunta dalla capitale francese, lavora senza sosta, ma è consapevole della fortuna a lui capitata. Il personaggio di Rocco è il migliore di tutta la sua all’epoca breve carriera.
L’8, il 9 e il 10 aprile sono previste le riprese all’Idroscalo, il “mare di Milano”, luogo dove avviene il delitto di Nadia (Girardot), la prostituta di cui si è innamorato Rocco (Delon) uccisa dal fratello Simone (Salvatori). Lo specchio d’acqua e la zona limitrofa sono sotto la giurisdizione di tre Comuni, Milano, Linate e Segrate, nonché dell’Aeronautica Militare che gestisce il vicino aeroporto. Alcuni interventi sono effettuati dalla produzione per evitare difficoltà ai velivoli in decollo o atterraggio. Quando tutto sembra risolto l’Amministrazione Provinciale democristiana, guidata dall’avvocato Adrio Casati, delibera di non concedere l’autorizzazione per le riprese.
Esaminato il copione, la Giunta ha ritenuto lesivo della moralità il contenuto delle sequenze. Una cosa ridicola poiché di notte l’Idroscalo è invaso da centinaia di auto con i vetri appannati pieni di coppie in cerca di intimità! Alcuni benpensanti scrivono lettere ai giornali per denunciare Visconti, nato a Milano da famiglia nobile, che sta rappresentando cinematograficamente la sua città come immorale, viziosa e perversa e non come una comunità operosa, generosa ed efficiente. Così l’accoltellamento di Nadia verrà realizzato sul lago di Fogliano nei pressi di Latina adattato con qualche accorgimento per diventare simile alla località originaria.
Il 4 giugno finalmente la lavorazione è terminata. Il regista torna a Roma per iniziare il montaggio. Le polemiche però non sono finite perché il 24 giugno scoppia un’altra “grana”. Il critico Morando Morandini scrive sul settimanale «Tempo» che Pafundi, il cognome della famiglia scelto inizialmente in quanto tipicamente lucano, corrisponde a quello di un vescovo, di un alto magistrato e di un generale. Per evitare altre difficoltà si decide così di cambiare Pafundi in Parondi.
La pellicola è presentata il 5 ottobre in anteprima al cinema Capitol, già noto per lo scandalo della Dolce vita avvenuto il 1° febbraio precedente (vedi Storia del cinema a Milano/8). Per Rocco i magistrati Trombi e Spagnuolo decidono di fare oscurare durante la proiezione alcune inquadrature della sequenza dell’Idroscalo. Una cosa ridicola, ma nella storia del cinema si è visto anche questo.
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