E’ una vera e propria leggenda la storia di La rosa di Bagdad, il lungometraggio di Anton Gino Domeneghini a disegni animati realizzato in Technicolor tra mille difficoltà produttive e dopo ben sette anni di lavorazione. Pubblicitario tra i più famosi in attività a Milano, Domeneghini già prima della Seconda Guerra Mondiale mette insieme un centinaio tra tecnici e disegnatori per questa pellicola che vuole essere tecnicamente e graficamente all’avanguardia. A causa dei bombardamenti è costretto però a trasferire tutta la produzione nella sua villa di campagna a Bornato, in Franciacorta, provincia di Brescia,
Milano non potendo competere nel cinema di fiction con i grandi teatri di posa di Cinecittà vede in La rosa di Bagdad l’occasione giusta per far crescere un settore artistico che richiede uno staff di disegnatori, animatori, grafici, operatori di cinepresa specializzati. Questa favola orientale scritta dal regista, splendida nel colore, nella musica e legata alle solide tradizioni scenografiche del nostro teatro lirico, racconta la storia dell’affascinante principessa Zeila, figlia del califfo di Bagdad ormai prossima al matrimonio e innamorata di Amin, il suo giovane insegnante di musica. I loro progetti matrimoniali sono però contrastati dal perfido visir Jafar che vorrebbe impossessarsi del regno sposando la ragazza.
La produzione torna in città nel 1945, dopo la Liberazione, ma sarà necessario girare nuovamente molte sequenze rovinate dagli eventi bellici nei più moderni studi di Londra. Voluto all’origine anche dal regime fascista per fare concorrenza al potente Walt Disney, il film è un’opera di alto livello professionale con i suoi 2000 metri di pellicola per un totale di circa 52.000 disegni. Un lavoro immane e molto costoso il cui recupero economico risulta da subito praticamente impossibile.
Il lungometraggio, uscito nelle sale il 22 dicembre 1949, ottiene incassi modesti. Sfuma così il sogno di imporre un modello di cinema d’animazione italiano capace di competere con Hollywood. La versione inglese curata dallo stesso autore nel 1952 sarà doppiata dalla giovanissima Julie Andrews che canta la canzone The singing Princess. Nel 1998 questo film sarà scelto dal Comune di Milano come pellicola da restaurare secondo l’iniziativa lanciata dall’allora ministro della Cultura Walter Veltroni.
Domeneghini non è il solo a osare in questo campo. Già nel 1942 Antonio Rubino firma Nel paese dei ranocchi, film sperimentale che va alla Mostra di Venezia di quell’anno. Cinque anni più tardi, nel 1947, i fratelli Nino e Toni Pagot presentano in laguna il cortometraggio Lalla, piccola Lalla originale nel colore e nelle invenzioni sceniche. La Pagot Film, una realtà produttiva meneghina eccellente, realizza nel 1949 I Fratelli Dinamite presentato con La Rosa di Bagdad a Venezia. Iniziata nel 1942 con il titolo Tolomeo, l’opera dei Pagot è il vero primo film d’animazione italiano in Technicolor essendo stato iscritto alla Siae nel 1947 (a Rosa lo sarà solo nel 1949). Incentrato sui terribili fratelli Din, Don, Dan raccolti su di un’isola e affidati alle cure della zia Cloe con l’intento vano di civilizzarli, il lungometraggio moderno e anarchico nella struttura non sarà apprezzato dal pubblico e per molti anni scomparirà dalla scena.
Nino e Toni Pagot, Anton Gino Domenighini, Emilio Raineri e Luigi Turolla fondatori dello “Studio Tris”, i fratelli Gino e Roberto Gavioli (titolari negli anni Sessanta e Settanta della “Gamma Film”, il più grande studio d’animazione) e Osvaldo Piccardo, comprendono che l’unica strada utile per poter dedicarsi alla difficile arte del film animato è la pubblicità, un mercato che a Milano è solido e attivo finanziariamente. Già prima della guerra in città le agenzie pubblicitarie, quelle delle réclames come sono chiamate in francese, hanno numerosi clienti che vogliono valorizzare i loro prodotti. Cartellonisti, grafici, inventori di slogan popolari possono coprire gli alti costi del film animato. I Gavioli nella loro cantina di via Dolomiti con rudimentali apparecchi sfornano i primi cortometraggi a colori: La pentola meravigliosa, La lunga calza verde e tanti altri titoli attingendo da Disney, Lantz e Prévert. A sua volta la Pagot nei suoi stabilimenti ha ormai decine di collaboratori e produce a ritmo continuo i suoi apprezzati shorts.
Un’intera generazione di registi – Bruno Bozzetto, Emanuele Luzzati, Giulio Gianini, Guido Manuli, Osvaldo Cavandoli, Manfredi Manfredi, Cioni Carpi – si impone anche fuori dei confini nazionali. In particolare Bruno Bozzetto, nato a Milano nel 1938, si dedica al cinema da giovanissimo. Nel 1958 con Tapum! La storia delle armi, una pellicola in 16 mm, vince diversi premi e nel ’60 con Un Oscar per il signor Rossi inventa il personaggio del famoso isterico ometto che diventerà leggendario. Nel 1965 è la volta del suo capolavoro West and Soda, suo primo lungometraggio d’animazione seguito da Vip, mio fratello superuomo (1968). Con Allegro non troppo (1977), nel frattempo titolare di un’avviata società che opera nel cartoon, miscela ispirandosi a Fantasia di Disney brani musicali con la presenza sullo schermo dal comico Maurizio Nichetti.
Il 3 febbraio 1957 appare per la prima volta sul piccolo schermo Carosello, la mitica trasmissione pubblicitaria seguita da intere generazioni di bambini che per punizione in caso di disubbidienza sono minacciati dai genitori con la terribile frase: “Stasera a letto senza Carosello!” La rubrica, chiusa il 1° gennaio 1977, ha rappresentato la sintesi perfetta tra pubblicità e animazione. Milano è ormai un modello produttivo legato alla televisione e al cartoon con il suo patrimonio di artisti e tecnici di valore in grado di competere con le grandi produzioni straniere.
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