Quando nel 1947, con il benestare del Pci che contribuiva anche al finanziamento della pellicola, Luchino Visconti si prepara a girare La terra trema chiama come aiuto registi due giovani sconosciuti digiuni di cinema: Franco Zeffirelli e Francesco Rosi rispettivamente di 24 e 25 anni. Rosi proviene da una famiglia borghese napoletana e fino a quel momento si è interessato di letteratura e teatro con altri giovani amici partenopei tra cui Raffaele La Capria, Achille Millo, Giuseppe Patroni Griffi e Giorgio Napolitano. L’esperienza sul set viscontiano è determinante perché Rosi rimanga nel mondo del cinema e accanto al regista milanese come aiuto e sceneggiatore anche per i successivi Bellissima (1951) e Senso (1953). Quest’ultimo film, in particolare, che segna il passaggio dal Neorealismo al Realismo Storico, e l’amicizia con gli intellettuali di sinistra contribuiscono a formare in Rosi una forte coscienza civile che emerge nei film che firma come regista: La sfida (1958), sulla malavita napoletana, I magliari (1959), ambientato tra gli immigrati italiani in Germania, per tornare poi in Sicilia con Salvatore Giuliano (1962) che mette in scena gli ultimi giorni del celebre bandito, ma ricostruisce anche gli intrecci tra politica e malavita organizzata a partire dalla strage di Portella della Ginestra (1950). Del 1963 è un altro film di denuncia del malaffare negli anni del boom economico: Le mani sulla città, capolavoro ambientato nella sua Napoli preda della speculazione edilizia.
Anche quando analizza momenti storici della vita nazionale più distanti nei fatti, Rosi non rinuncia a riflettere sull’attualità sia pur da una prospettiva più meditata. È il caso di Uomini contro (1970), antiretorica narrazione della ben poco eroica epopea della Prima Guerra Mondiale, tratto dal romanzo Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu. Film che gli procura una denuncia penale per vilipendio delle forze armate. In questa pellicola dirige per la prima volta un giovane attore con cui si lega d’amicizia e che chiama poi a interpretare i tre successivi: Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano (1973) e Cristo si è fermato a Eboli (1979) dal romanzo di Carlo Levi. L’attore è Gian Maria Volontè (1933-1994). Allo stesso decennio appartiene anche Cadaveri Eccellenti (1976) dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia.
Negli anni successivi all’attività sul set cinematografico (Tre fratelli, 1981, Cronaca di una morte annunciata, 1987 da Garcia Marquez, Dimenticare Palermo, 1990 e La tregua, 1997, da Primo Levi) si alterna con sempre maggiore frequenza quella di regista teatrale, con particolare predilezione per i testi di Eduardo De Filippo, e regista di opere liriche. Una di queste, la Carmen di Bizet, viene anche trasposta sul grande schermo nel 1984. Muore a 92 anni nel 2015.
Un esempio di cinema-verità
Unendo scene ricostruite sul set, elementi documentaristici e il proprio coinvolgimento diretto nella messa in scena, con Il caso Mattei Francesco Rosi realizza in Italia una delle prime opere del genere che sarà poi chiamato docufiction. Con tale parola si designa quella particolare forma cinematografica che ricostruisce fatti realmente accaduti con l’ausilio sia di documenti originali sia con la ricostruzione scenica di situazioni immaginarie interpretate da attori. L’insieme contribuisce a determinare un quadro plausibile e realistico dell’argomento trattato anche se molto spesso l’autore segue una tesi ben precisa, magari non suffragata appieno da riscontri oggettivi. La morte violenta di Enrico Mattei, presidente di Eni e Agip, in seguito all’esplosione in volo del suo aereo privato nel 1962, è uno dei primi casi ancora irrisolti avvenuti nel nostro paese in cui uomini dello stato hanno perso la vita a causa dell’intreccio tra politica, affari e malavita organizzata. Girato dieci anni dopo i fatti narrati, pur con tutti i limiti di una conoscenza ancora molto parziale dei reali interessi in gioco, il film di Rosi resta un punto fermo del cinema-verità e di denuncia del decennio dei ‘70.
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