Ingmar Bergman (1918-2007) è stato senza alcun dubbio uno dei registi più innovatori della storia del cinema. Figlio di un austero pastore protestante, riceva un’educazione intrisa di senso del sacro e di presenza del divino nei destini dell’uomo che il giovane trasforma ben presto in una personale rivolta contro la figura paterna e l’idea stessa di assoluto a favore di una più laica coscienza dei limiti umani, dell’inutilità del sacrificio, della sostanziale fragilità dell’essere che si estrinseca innanzitutto nel più ancestrale dei luoghi dello spirito: il focolare domestico. Autore longevo, prolifico e curioso delle novità tecnologiche che il cinema e gli altri audiovisivi andavano sviluppando negli anni della sua attività, Bergman ha realizzato una quarantina di film oltre a una serie impressionante di regie teatrali, liriche e televisive. Con una notevole continuità creativa, ma con frequenti battute d’arresto e imbarazzanti involuzioni accanto a capolavori che hanno segnato come pietre miliari il cammino della “settima arte”. Tra questi ultimi si contano certamente titoli come Il settimo sigillo (1957), Il posto delle fragole (1957) Il volto (1958), Luci d’inverno (1963), Persona (1966) e, appunto, due titoli degli anni ‘70: Sussurri e grida e Sinfonia d’autunno.
Bergman è stato il cineasta di riferimento per molti autori delle generazione successive tra cui l’inglese Peter Greenaway e i francesi Olivier Assayas e François Truffaut che gli rende omaggio in I 400 colpi (1959), quando il protagonista ruba dalla bacheca di una sala cinematografica una foto di Monica e il desiderio. «Il film più originale del più originale dei registi», scrisse in quegli stessi anni Jean-Luc Godard, anch’egli soggiogato dal modo in cui la macchina da presa di Bergman esplora il volto e il corpo della giovane Harriet Andersson nel film citato.
Da Bergmn sono stati influenzati anche Eric Rohmer, Woody Allen, Andrej Tarkowskij, Krzysztof Kieslowski e Wim Wenders.
«Bergman – scrive Luciano De Giusti – è stato uno dei più lucidi e implacabili esploratori della condizione umana nelle sue diverse stagioni, dalla vulnerabilità dell’infanzia ai febbricitanti amori della giovinezza, dai conflittuali rapporti di coppia nell’età matura ai risentiti rimpianti di quella senile. Ha raccontato come pochi il gelo della solitudine, i morsi del desiderio, i labirinti della mente che deraglia dalla norma e sprofonda nell’abisso della follia, l’angoscia di chi avverte su di sé l’alito scuro della morte. Lo spettatore si è visto porgere questi temi e motivi in una luce talvolta così forte da oscurare un poco l’itinerario estetico di un regista che ha precorso la modernità, l’ha attraversata, se ne impregnato e ne è fuoriescito approdando, nelle ultime opere, alla più classica delle forme».
Film come sogno, film come musica. Nessun’altra arte come il cinema va direttamente ai nostri sentimenti, allo spazio crepuscolare nel profondo della nostra anima. Ingmar Bergman
Reduce da un insuccesso commerciale al passaggio del decennio (L’adultera, 1970), il maestro svedese ritrova il consenso di pubblico e critica con il film successivo, girato nel 1972: Sussurri e grida (Viskningar och rop). In esso rielabora ancora una volta uno dei temi più cari alla sua poetica: le dinamiche familiari. Dinamiche complesse e problematiche che, sotto una patina perbenista e borghese, celano conflitti, rancori, pusillanimità e violenze talvolta sedimentate per anni, attraverso le varie fasi della vita. Dall’infanzia alla maturità. A scatenare tali conflitti interviene, qui, una situazione particolare ossia la malattia incurabile di una delle protagoniste. Accanto a lei, nel lento scorrere delle sue ultime ore, si ritrovano le sue due sorelle con i rispettivi mariti e il medico curante. Personaggio subalterno per ruolo, ma non nella dinamica drammaturgica, la governante. Dramma domestico, circoscritto anche fisicamente all’interno della lussuosa, ma fredda abitazione di famiglia della malata, con pochi personaggi in scena, lunghi dialoghi e altrettanto significativi silenzi, il film mostra un linguaggio innovativo sia attraverso l’uso dei flash-back sia delle dominanti cromatiche in fotografia (affidata a Sven Nykvist) che superano perciò il naturalismo della narrazione. Per portarci ai significati più riposti della trama che sono appunto quelli accennati sopra.
Molto simile a Sussurri e grida per tematica e ambientazione, anche Sinfonia d’autunno (Höstsonaten, 1978) arriva dopo una prova lambiccata e imbarazzante come L’uovo del serpente (1977), ma le analogie si arrestano alla scelta del kammerspiel (lett.: dramma da camera) come forma espositiva, alla presenza in scena di una persona malata e alla focalizzazione della trama sui rapporti familiari. Per il resto i due film divergono molto sia nella caratterizzazione dei personaggi sia nella dinamica dei loro rapporti. Qui si tratta di una madre e due figlie: la prima, pianista di fama, è sicura di sé, disinvolta, egocentrica ed egoista. Tanto quanto una delle figlie (l’altra è inferma psichica) è insicura, debole e succube rispetto a ciò che la circonda. L’incontro-scontro tra le due donne avviene nell’arco di poche ore, ma basta per esibire tutto il repertorio dei peggiori sentimenti che possono caratterizzare i rapporti tra genitori e figli, anche se questi sono ormai maturi.
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