sceneggiatura Taylor Sheridan cast Jeremy Renner (Cory Lambert) Elizabeth Olsen (Jane Banner) Graham Greene (Ben Shoyo) Hugh Dillon (Curtis) Gil Birmingham (Martin Hanson) Martin Sensmeier (Chip Hanson) Althea Sam (Annie Hanson) genere thriller prod Usa, 2017 durata 103 min.
Per legge, negli Stati Uniti tutto ciò che di losco accade nelle riserve indiane è di competenza federale. Dunque, quando il trapper Cory Lambert trova il corpo di una giovane nativa esanime nella neve della Wind River Reservation, ecco che arriva una giovane agente con la patacca dell’Fbi, priva però non solo di esperienza specifica, ma persino degli indumenti adatti al clima rigido della zona. Siamo in Wyoming, dove a volte bisogna percorrere 30km per farne 8 stante il terreno accidentato e le avverse condizioni meteo. Ma di cosa è morta la ragazza? E perché Cory è tanto colpito da quello che potrebbe essere un banale incidente di montagna, ma forse nasconde una violenza? L’inchiesta stenta a decollare, ma non la suspense per lo spettatore che scopre, man mano, piccoli segreti e grandi interessi che legano i personaggi a filo doppio tra loro e tutti all’aspra natura delle Montagne Rocciose. Con Cory sempre un passo avanti, grazie alla sua esperienza nell’outdoor, e sempre più riluttante a scendere dove la verità e i ricordi personali stridono e si combattono a vicenda. Il plot regge talmente bene che si perdona anche qualche sbavatura nello script come lo stereotipato rapporto padre-figlio tra i due nativi Martin e Chip, il redde rationem tipo Ok Corral 
tra le baracche della compagnia di trivellazioni e la morte dell’ultimo assassino. L’importante, in film come questi, è che i personaggi siano credibili e che si dia loro il volto più appropriato. Che il ritmo avanzi con cadenza regolare e l’assetto drammaturgico faccia sentire lo spettatore quasi come un demiurgo che tira i fili della storia. Tutti obiettivi centrati dal regista-sceneggiatore e dalla sua equipe tecnica. A cominciare dal casting per finire con la non facile resa fotografica in condizioni e terreni impervi. Tra bufere di neve e giornate di sole smagliante. Jeremy Renner è in stato di grazia nella tuta termica e dietro il mirino telescopico del cacciatore nordico, coadiuvato da un buon numero di comprimari di lusso, a partire da Graham Greene, sempre più ieratico. Sufficienza risicata invece per Elizabeth Olsen nei panni della poliziotta federale. D’accordo che doveva fare la depistata, ma qualche smorfia e sbattimento di ciglia in meno le avrebbero solo giovato.
E allora perché vederlo?
Perché gli scenari del Grande Nord sono la quinta perfetta di un delitto imperfetto.
Cos’è l’uomo quando intorno a lui è solo “silenzio e neve, neve e silenzio” quando non esiste “società”?
Cos’è l’uomo quando tra le persone i rapporti veri, profondi possono esistere solo e in quanto si condivide il medesimo, identico problema?
Queste le domande di fondo cui il film dà risposta.
Nella riserva indiana di Wind River del “silenzio e neve, neve e silenzio”, metafora dell’uomo abbandonato non a se stesso, ma con se stesso, il gelo non è solo tutto intorno. E’ nello spirito.
L’uomo non è rispetto per gli altri è soddisfacimento di istinti, anche i più biechi. Non esiste giustizia, solo legge del taglione, una “legge giusta”, condivisa persino dall’autorità costituita.
I sentimenti positivi non hanno spazio, se nascono vengono uccisi, vivono solo sentimenti genitoriali purché basati sulla perdita dell’oggetto amato: “Solo se accetterai il dolore di averla persa potrai ricordare tua figlia, altrimenti la perderai per sempre.”
Di quest’essere umano abbandonato con se stesso il regista ne dà persino una dimostrazione plastica in un duello con “Stallo alla Messicana” dove tutti possono uccidere e tutti essere uccisi, confronto illusoriamente risolto dall’autorità costituita e che si conclude solo con la morte che arriva da lontano.
Gelida come può essere sull’incrocio di un telescopio.Nella neve, nel silenzio.
Il bianco eccessivo usato dal regista per quasi tutto il film, i mezzi di trasporto inusuali, lo stesso modo in cui si può morire portano il freddo nell’intimo dello spettatore. Scelta accurata, equilibrata e indovinata.
Jeremy Renner interpreta alla perfezione il ruolo dell’uomo scisso – al contempo cecchino glaciale e padre amorevole – Elizabeth Olsen quello dell’investigatrice FBI entrata in un mondo con altre dimensioni, in una vicenda che le sconvolgerà la vita, persona che si renderà conto che tutti i casi risolti, tutti i cadaveri visti non l’hanno ancora resa una donna preparata alla vita.
Un film per scoprire se stessi, purché disponibili a non fermarsi al primo pensiero inconfessabile.
Grazie per aver voluto condividere con noi un parere, un pensiero e una serie di emozioni