Sceneggiatura Armando Iannucci, David Scheider, Ian Martin, Peter Fellows Cast Steve Buscemi (Nikita Khrushev) Simon Russell Beale (Lavrentij Berija) Paddy Considine (Andreij Andreev) Rupert Friend (Vasili Dzugasvilij) Jason Isaacs (Georgij Zhukov) Michael Palin (Vjaceslav Molotov) Andrea Riseborough (Svetlana) Jeffrey Tambor (Georgij Malenkov) Olga Kurylenko (Marija Yudina) genere storico produzione GB, F, Usa 2017 durata 103 min
Contrariamente a quanto può apparire (e a quanto hanno spacciato i vari distributori e uffici stampa) questo non è un film comico. Anche perché o ti chiami Charlie Chaplin e giri Il grande dittatore (1940) quando l’uomo che dileggi sullo schermo è all’apice del potere e i suoi stivali schiacciano il suolo dell’intera Europa, oppure ti chiami Iannucci e la butti in caciara 65 anni dopo i fatti raccontati. Sì, perché caciara è il termine esatto per questo film senza capo né coda desunto da un Graphic Novel che, forse, aveva intendimenti più seri. Caciara per il voluto tourbillon di situazioni dalle quali, per altro verso, in 100 e passa minuti di film non scaturisce un solo sorriso. Che sia una cosa seria, allora? Neppure. A cominciare dal cast che annovera attori britannici molto televisivi (come principalmente televisivo è il regista) di seconda o terza fila assidui soprattutto a musical e commedie. Fatta eccezione per l’italoamericano Buscemi. Che a sua volta non è proprio una stella di prima grandezza. E poi, appunto, lo stile. Ironizzare sulle famose “purghe” mentre si mostra la soldataglia sguinzagliata a deportare e ammazzare a colpi di pistola alla tempia non è una gran pensata. E comunque non fa ridere. Che ci sia allora da ridere con le riunioni del Politburo? Peggio che andar di notte. Le malefatte di Berija, capo dell’Nkvd e della sua spietata milizia, sono note anche ai più digiuni della materia e qui il pur bravo Simon Russell Beale mostra tutti i limiti di un personaggio troppo realmente crudele per essere grottesco e troppo evanescente per essere luciferino. Realtà che, declinata per i vari soggetti, accomuna tutti i personaggi in scena. Figurine Liebig che non fanno ridere per quanto comiche e non fanno piangere per quanto tragiche. Su su fino al “piccolo padre” in persona: macchietta delle macchiette a sua volta buttato in caciara. Persino l’attacco, con il concerto radiofonico ripetuto per timore delle “purghe” non fa ridere benché l’argomento si presti e gli attori si diano un gran daffare, ammiccando peraltro allo spettatore oltre ogni limite consentito.
E allora perché vederlo?
Perché purtroppo anche nel XXI secolo uomini forti e dittatori continuano a “fare tendenza”
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