Sceneggiatura Matteo Garrone, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso Cast Marcello Fonte (Marcello) Edoardo Pesce (Simone) Alida Baldari Calabria (Alida) Nunzia Schiano (la madre) Adamo Dionisi (Franco) Mirko Frezza (pusher) Francesco Acquaroli (Francesco) Gianluca Gobbi (ristoratore) Aniello Arena (Commissario) genere drammatico produzione Italia, Francia 2018 durata 102 min.
Sappiamo di essere in assoluta minoranza, ma, ancora una volta, davanti a un film di Matteo Garrone elogiato dai recensori a edicole unificate, ci sorge spontanea la domanda: di quali misteriosi poteri dispone il 50enne regista romano per avere tutta e sempre la critica dalla sua parte? È successo con il mediocre Gomorra (2008), spinto certo dal clamoroso successo del libro di Saviano, ma è riaccaduto anche con l’impresentabile Il racconto dei racconti (2015) per non parlare dei precedenti L’imbalsamatore (2002) e Primo amore (2004). Come se bastasse sfrucugliare tra le storiacce più truci della cronaca per garantirsi il capolavoro. Dunque, stessa musica anche per Dogman di cui qualcuno ha persino scritto che la violenza, in questo film, è solo psicologica. Così come qualcun altro ha sostenuto che il famigerato caso del Canaro della Magliana c’entra poco o nulla. Certo, Garrone lavora sulla materia e di due soggetti molto simili tra loro (il vero Canaro e la sua “vittima”) ne estrae l’amicizia malata e drogata tra Marcello e Simone.
Il mite, il buono, il succube Marcello e il violento, il brutale, il canagliesco Simone. Fatto salvo che l’ira dei miti è peggiore di ogni altra. In ogni caso, tutto senza un perché. Come ogni singola scena è priva di un “di cui” che la spieghi e la giustifichi nel contesto drammaturgico dell’opera. Ma il punto è proprio quello: Dogman è privo di una vera e propria drammaturgia. Che è come dire di una partitura musicale che è priva di armonia (sia pure dissonante). Come si faccia, poi, a premiare (Cannes, Nastri ecc.) come miglior interprete un attore (Fonte) che non recita, ma impersona e propone semplicemente se stesso, è un altro dei misteri della fede cinematografica che non trovano spiegazione razionale. Qualcosa da salvare? Sì, la location. L’incredibile (perché vera!) frazione Villaggio Coppola di Castel Volturno: un monumento all’abusivismo e al degrado delle coste italiane. Che sarebbe da radere al suolo.
E allora perché vederlo?
Già: perché vederlo?
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