FILM IN DVD: “La corte”, di Christian Vincent

Pubblicato il 1 Marzo 2017 in
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sceneggiatura Christian Vincent cast Fabrice Luchini (Michel Racine) Sidse Babet Knudsen (Ditte Lorensen-Coteret) Eva Lallier (Anne Lorensen-Coteret) Corinne Masiero (Marie-Jeanne Metzer) Michael Abiteboul (avv. Jourd’hui) Serge Flamenbaum (Serge Debruyne) Simon Ferranre (Simon Orvieto) Victor Pontecorvo (Martial Beclin) Sophie-Marie Larrouy (Coralie Marciano) genere commedia durata 98′

Film giudiziario? No, commedia sentimentale. Perché anche tra gli austeri banchi di un tribunale può sbocciare l’amore. O meglio: risbocciare dopo anni di letargo. Per uno strano gioco del destino il rigido (e un po’ legnoso) Michel Racine, presidente di corte d’assise di una piccola città del nord della Francia, ritrova nel collegio dei giudici popolari di un processo per infanticidio la dottoressa che anni prima l’aveva assistito durante una degenza in ospedale e di cui si era perdutamente invaghito. Racine è un tipo metodico, pignoletto, freddino e, a prima vista, l’esatto opposto di uno che si esalta facilmente e che si lascia prendere dal sentimentalismo. Eppure la non più giovanissima signora, separata e con una figlia teenager, risveglia in lui qualcosa che difficilmente si sarebbe immaginato sotto lo scarlatto e l’ermellino della sua toga. E così il film vira, impercettibilmente, ma inesorabilmente, dalla storia di degrado e violenza che ha portato un giovane padre alla sbarra degli imputati, all’analisi psicologica dell’alto magistrato e di alcuni suoi giudici popolari. Francesi di seconda e terza generazione, melting pot di un paese multiculturale, multietnico, ma tutt’altro che omogeneo. Significativo, al proposito, il battibecco sul ruolo della donna e l’emancipazione femminile tra una giovane musulmana e un suo anziano conterraneo. Ma torniamo al filone principale. Così come è determinato a scoprire la verità tra i faldoni del processo, il freddo Racine sembra essere altrettanto determinato a tessere una relazione con la sua amata. Al punto da tampinarla come e più di un’adolescente ai primi amori. Sempre in punta di forchetta, per altro verso, perché lo stile dell’uomo è quello. Ma la lunga dichiarazione d’amore al tavolino di un bar è un piccolo capolavoro di eloquenza e sincerità. E se la signora, sulle prime, sembra piuttosto restia a dare corda all’attempato corteggiatore, presto capisce che non è mai troppo tardi per una piccola felicità inattesa. Film di attori, dunque, dove le capacità interpretative sono seconde solo al perfetto meccanismo della sceneggiatura. E tra gli interpreti spicca decisamente Fabrice Luchini che, invecchiando, si comporta sempre di più come i vini di qualità: migliora. Da scialbo giovane galante dei film di Rohmer degli anni ’70-80 negli ultimi tempi è diventato l’interprete per eccellenza di personaggi stravaganti, ma non per questo bislacchi. Anziani depositari di un sapere che va ben al di là dei libri di scuola o dei codici di procedura penale. Dall’intellettuale-panettiere di Gemma Bovery, all’attore in disarmo di Molière in bicicletta a questo magistrato double face, l’attore di origine italiana ha compiuto autentici miracoli di camaleontismo come solo i grandi interpreti sanno e possono fare. Giustamente riconosciuti con la coppa Volpi a Venezia proprio per questo film.

E allora perché vederlo?

Per capire che anche i magistrati hanno un cuore

 

 

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