“Primo giorno di pensione” (1)
Le 7. Suona la sveglia. E’ lunedì mattina.
Non è giorno di lavoro, oggi. No. E’ il mio primo giorno di pensione. Proprio così. Finalmente libero, fuori dal carcere aziendale.
Li ho salutati tutti giovedì: la festa, i pasticcini, i sorrisi, qualche lacrimuccia, il sorriso di cartone dei capi, il regalo dei colleghi, la patacca della azienda. Il campionario delle frasi di circostanza dei superiori lo direi completo, nulla è mancato.
Vieni a trovarci quando vuoi, ci mancherai, come faremo senza di te, sei stato un pilastro per questo ufficio, un punto di riferimento, beato te, adesso cominci a vivere, tu viaggetti, noi qui chiusi a sudare…. Perché siamo così ipocriti nel recitare, stupidi, sapendo di recitare e di essere percepiti come recitanti?
Solo il collega più giovane (si fa per dire, ha 50 anni), il più introverso, enigmatico e sfuggente, si è congedato da me sussurrandomi qualcosa di apparentemente incomprensibile in quel momento: Gino, io ti dico solo una cosa, esci da qui e non voltarti più. Starai male i primi giorni, ma poi migliorerà, vedrai. Non voltarti, non voltarti.
Mi sembrava una nota stonata, fuori luogo: per la considerazione che avevo per lui, me la lasciai scivolare via. Ma l’avrei capita dopo: non in quel momento, troppo compreso com’ero nel dispiacere per quanto stava accadendo. Separarmi da quei muri, separarmi da coloro con cui avevo condiviso per anni ogni respiro, ogni silenzio, la stessa polvere, le stesse idiozie dei capi. Mi sembrava di cogliere negli occhi dei colleghi quel che sentivo nel profondo del mio animo. Le loro frasi avevano in me una risonanza diversa, le immaginavo in presa diretta con il loro sentimento. Che era anche il mio. Nel loro “vienici a trovare qualche volta” sentivo la voglia di un cordone ombelicale più sottile, ma ancora capace di funzionare.
Mi guardo allo specchio. Non trovo nulla di nuovo, le ciglia sono sempre lì, sotto le rughe della fronte, come se dovessero sostenere chissà quale peso. Corro per prepararmi la colazione, come sempre. Ma il sempre non è più sempre. Oggi sono a casa, a casa. La mia destinazione ora è un’altra. Allora più lentamente? No, no, assolutamente. Devo prepararmi per le 8.30, quando cominciano. Lo so che mi chiameranno. Non sono riuscito per tempo a passare tutte le consegne, non so neanche chi prenderà il mio posto. Mi son fatto su chiavetta le copie di una serie di file, così quando mi chiamano saranno contenti, non gli farò perdere tempo. Proprio domani c’è una scadenza importante, e non si può lasciar correre. E così la mia colazione corre con la velocità di sempre, devo accendere il pc, ordinare quei file, fare qualche aggiornamento, così quando il telefono squilla… Accendo il pc, è più lento del solito, mi segnala un paio di errori. Accidenti, proprio adesso! Fuori la giornata promette bene, una di quelle giornate di preannuncio di primavera. Il sole filtra insistente dalle finestre, stampando sulla parete con perentoria nitidezza i fori delle tapparelle. Mi spiace, ma il telefono squillerà, non posso. Il pc sembra essersi ripreso, scarico sulla tastiera con la mia solita foga i comandi, preparo i file già aperti: la scadenza di domani. Per un po’ avranno bisogno di me ancora, certamente. Domani mattina faccio una capatina, piccola piccola… lo so, me lo chiederanno. Guardo distrattamente il moncherino di brioche abbandonato accanto alla tazza ancora fumante, il barattolo della martellata ancora chiuso. Ecco, sono le 8.30. Prendo il telefono e lo posiziono accanto al mouse. Lascio quel che resta della colazione abbandonato a se stesso: non posso rispondere al telefono con la bocca piena, non è bello.
Il tempo scorre. Niente. Guardo il telefono: è tranquillo, pacifico. Sta lì, come se dormisse il miglior sonno della sua vita.
8.45. Niente. E’ lunedì penso, si saranno fermati alla macchina del caffè a commentare il primo giorno senza di me, mi invidieranno, me lo immagino. La tazza ha smesso di fumare, e il moncherino è sempre lì. Lo finisco o non lo finisco? Se loro si stanno sorseggiando il caffè, perché io devo star qui così? Arraffo quel che fu della brioche, e la ingurgito velocemente. Prendo la tazza, un unico sorso per tutto il suo contenuto. E un colpo di tosse suggella la prova.
9.15. Niente. Ma che cosa stanno facendo? Per quella cosa là sono indietro, io glielo avevo detto. Adesso li chiamo. Prendo il telefono, lo agito nell’aria come se fosse lui responsabile dell’inazione dei miei colleghi e.. no! un momento! Sono ex-colleghi, ex-colleghi, ex!.
Metto giù il telefono. Lentamente. Io sono qui e loro sono là. Io sono fuori. Gino là al più è un ricordo, pretesto per una battuta, una chiacchiera al caffè, innocuo parafulmine se qualcosa non funziona. Loro sono là. Guardo il telefono, e poi lo schermo del pc, con tutti quei dati, ordinati, in fila, su fondo bianco….Che cosa mi sta succedendo? Vado alla finestra, sollevo le tapparelle, apro la finestra e lascio che la tiepida aria mattutina inondi i miei polmoni. Profondamente. Sono le 9,35. Apro un altro pacchetto delle brioche confezionate. La mangio lentamente. Respiro profondamente ancora. Guardo le piantine della mia finestra. Pronte a languire alle carezze dei primi raggi di sole. Mi sto perdendo qualcosa? Respiro profondo.
Ripenso alle enigmatiche parole del collega sfuggente: e se avesse ragione? Torno sul pc, cancello tutti i file che avevo copiato. Tutti. E lo spengo.
C’è una sola scadenza ora: la mia, quella che mi do, per decidere che cosa fare della mia vita. Respiro profondo. Devo sbrigarmi, ho tante cose da fare: tutto quello che deciderò di fare. Da ora in poi. Senza voltarmi.
Non passano 10 minuti e squilla il telefonino. Eccoli! Una vocina mi dice di non rispondere. Non devo voltarmi. No! Pronto? Chi parla? Ciao Gino, sento. Riconosco la voce, è del mio dirimpettaio di scrivania (forse lo era..). Come va? Dove sei? Con una giornata così una fuga sul lago di Iseo te la sarai concessa senz’altro! Sarnico, Iseo…Non dirmi che sei a casa! Non ci credo. Sono imbarazzato: che cosa gli rispondo? Procedo con una tiepida bugia, o lascio che la verità faccia il suo corso? Quale Gino ora ha da essere più vero? Dipende da me, solo da me. La bugia non è nelle parole, ma nel giocare fra le diverse immagini di Gino, cui io contribuisco. Sto decidendo che Gino non si volterà più, mai più. E che non si pente di aver cancellato file, e che non chiederà della scadenza, e che non avrà un residuale “amaro in bocca” perché non gli hanno chiesto niente riguardo la scadenza. Lui è proiettato sul lago, quella luce e quei colori sono una occasione di felicità. Non la scadenza! Si, rispondo, hai azzeccato! Stavo per uscire per andare proprio lì (mezza bugia…). E come ci si sente il primo giorno? Senza più scadenze, file da aggiornare, fornitori, clienti, capi, carte e ancora carte….Bene, gli rispondo, bene. E inciampo: per la scadenza di domani tutto a posto? Una risata fragorosa assorda il mio orecchio. Gino, non cambierai mai! Nessuno sa niente, i capi se la smazzeranno loro. Adesso non hanno più Gino che gli risolve tutto. E mi raccomando, se ti chiamano, non farti trovare! Non meritano. Ti lascio allora, Gino, vai piano, e goditi il sole su Montisola. Anzi, noleggia la bici come abbiamo fatto qualche anno fa, ti ricordi? E’ stato proprio un bel giro. Uno di questi giorni vengo a trovarti….Davvero. Adesso ti lascio. Sento una pausa e un coro di saluti dalla stanza dove ero, riconosco ogni eco e ogni voce. Ho un momento di commozione. Certo fammi sapere quando. Grazie per avermi chiamato.
Confuso, molto confuso. Un moto di commozione come un fiotto spunta fra i miei pensieri. Lascio qualcosa di mio in mano d’altri, e chissà che cosa ne faranno….ripenso alla risata. E se fosse per dire che in realtà io non contavo così come credevo? Torno alla finestra: il sole è caldo, la luce scolpisce i colori, ogni contorno è netto. Il cielo di un azzurro intenso, perfettamente omogeneo. Almeno a me stesso posso smetterla di raccontare delle bugie? Non è vero che sono contento. No. Però vado al lago. Forse là troverò un po’ di conforto e di distrazione. Prendo le quattro carte che mi ero portato dall’ufficio e le straccio in pezzi sempre più piccoli. E poi ne faccio un piccolo rogo sul balcone.
Adesso mi sento meglio. Partenza.
Brave Gino, lascia le scartoffie dell’ufficio e dedicati alla scrittura.
Ho letto con molto pathos, e anche con ammirazione il tuo scritto. Complimenti
Angela
Grazie Angela per il complimento! Spero che l’ammirazione di cui parli sia benzina sufficiente per percorrere tutte le puntate. Il mio pensionamento mi ha riservato molte sorprese, belle e meno belle, e vorrei tanto lo fossero anche per coloro che mi leggono.
Gino