“Il complesso di Giano”, Capitolo 4

Pubblicato il 28 Giugno 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 4

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Si svegliò con in testa il solito superfluo pensiero delle otto del mattino. Dare un calcio a un sasso e trovare la fortuna. A volte penso che ogni sasso che colpisco in realtà lo allontano soltanto. La fortuna? La fortuna, ma che ce ne facciamo poi? Dove la incontriamo? Al di qua del lancio o al di là, dopo averla inseguita? Tutte stupidaggini. Si chiese se tutti gli avvenimenti dei giorni precedenti non avessero alterato la sua capacità di ragionamento, facendola uscire di senno.Si rispose di sì.

Andare con un mago in un’altra dimensione non era stata una buona idea, per una che da quasi quarant’anni cercava con discreto insuccesso di essere normale. Le venne da ridere.Rideva in parte perché non aveva capitoe in parte perché aveva capito.

“Mamma, oggi posso andare a scuola senza grembiule?” domandò Ludovico.

“Matusei lo tesso che parla di notte con gli stregoni?” gli chiese a sua volta Norma.

Per una volta suo figlio non aggiunse commenti. Casa, scuola, casa, come sempre, anche adesso che era diventata si fa per dire un’eroina.

Andò a rispondere al telefono, che non stava suonando. Alzò la cornetta. “Pronto?”

“Sì, ciao Norma, sono io.” Era Mattia. “Come stai?”

“Bene.”

“Ieri sera mi sei sembrata un po’ strana.”

“No, guarda, quello era solo un pallido esempio di stranezza. Nel corso della notte sono assai peggiorata.” Lui accolse il commento come una battuta. Il che non era affatto.

“Posso venire a trovarvi domani sera?”

“Mi spiace, caro, ma devo andare nell’ottava dimensione. Ti chiamo quando torno.”

Mattia rimase basito.

“Scherzavo, Mattia,” si corresse. “Ho molto lavoro arretrato. Ti chiamo nei prossimi giorni.”

“Allora ci sentiamo, tesoro.”

“Ciao.” Norma riagganciò. Tesoro a chi, scusa?

Spesa.

Quando uscì dal supermercato pioveva. Anche adesso che era diventata si fa per dire un’eroina (doveva ripeterselo altrimenti tendeva a dimenticarlo) pioveva lo stesso quasi ogni volta cheusciva dal supermercato carica di sacchetti. Non dominava le intemperie, non cavalcava gli eventi. Se è per questo non riusciva nemmeno a bloccare l’ombrello con la spalla in modo di non bagnarsi.

Arrivò a casa fradicia. C’era Maddalena.

“Ciao, mamma, sei andata a fare la spesa?”

“No, torno da una veglia sacra in Nepal. Il pane, il latte e tutto il resto li ho trovati in una grotta.”

“Mangiato un serpente velenoso, stamattina?”

“Scusa, Madda, sono un po’ nervosa.”

Avrebbe volutoaddormentarsie non pensare più a quella storia dei controllori.Ma doveva pulire e lustrare il gabinetto era sempre una buona occasione per riflettere sui massimi sistemi del bidè.

Dico agli altri di percorrere la strada, ma sono la prima a non farlo se non mi va. Dicoche il bello non è raggiungere la meta, ma percorrere la stradasapendo che sono tuttescemenze, mai applicate alla mia vita. Vedo la gente della mia età che va avanti e io sempre qui testarda a sperare, senza invidia, senza rancore. Senza risultato. Il valore non vale niente. Comunque in qualche modo ce la farò.

Si trascinò per casa tutto il giorno. Sconfiggere lo sporco che avanzala rassicurava, vedere la casa brillare la faceva sentire meglio. Di solito, ma non quel giorno. Non vedeva l’ora di andare a recuperarei bambini a scuola. Forse il grande avrebbe potuto aiutarla.

“Non sai da che parte iniziare, vero, mamma?” Le domandò Ludovico mentre entravano in gelateria.

“Proprio così.”Confessò lei. Ecco, il suo consigliere ora era un bambino di otto anni.

“Doveva toccare a me.” Ludovico era preoccupato.

“Sei troppo piccolo, amore mio. Non puoi.” Anche lui pensava che lei fosse inadatta. E aveva anche ragione.

Continuò a trascinarsi pertutta la sera, mentre una delle sue altre personalità sbrigava ulteriori faccende domestiche e culinarie. Alle undici decise che era arrivato il momento. Prese la pagina della risonanza magnetica, la toccò, le macchie si trasferirono sulla mano come da copione (ma dove l’avevano copiato un copione così?) e si trovò di nuovo nella stanza della volta precedente.

CK la stava aspettando. “Benvenuta, Norma.”

“Ciao, CK. Non ho imparato a viaggiare, se vuoi saperlo. Ma ci sto provando.”

“Ora provo a toccare un punto delle macchie e vediamo.”

“Vengo con te.”

“E come fai, scusa?”

“Posso provare anch’io. Ono?”

“Perché uno come te non sa viaggiare?”

“Perché vuoi sempre sapere tutto?”

“Scusa se chiedo, ma sai, non è che in tutto questo intraveda una qualche logica.” Normala logica in vita sua l’aveva usata molte meno volte della vaporiera che lessa i cibi rendendoli amorfi e sciapi. Anche lei si sentiva un pollo cotto al vapore, amorfo e sciapo.

“La vostra logica l’avete inventata voi umani. Ma ce ne sono altre.” Disse CK. “Scoprirai che non si può controllare tutto e sempre.”

“Ma dai? Dimmi un po’: dove le trovi queste belle frasine?”

“Andiamo.” tagliò cortoCK.

“Andiamo.”

Chiuse gli occhi, si concentrò come poteva, toccò una macchiolina che aveva sul polpastrello del mignolo e si fermò ad accarezzarla, facendosi un leggero solletico. Le venne da ridere.

Un attimo o un infinito tempo avanti o forse primao forse eratuttola stessa cosa, comunque si trovò in un campo. Era il tramonto e l’unica persona in piedi accanto a lei era CK. Tutti gli altri presenti erano sdraiati, anzi per essere precisi erano morti. Rimase inorridita.

“CK?”Pronunciare il nome di una persona viva, o in qualche modo viva, la fece sentire meglio. Aveva già visto la morte, ma mai in quella quantità industriale. Non capiva dov’era né chi erano quei poveretti. L’unica cosa che comprendeva era il sangue, che era rosso. I morti sembravano esseriumani.

“Sembrano terrestri, questi soldati, no?”

“Chi ti dice che sono soldati?” le domandò CK.

“Non so, sembra che ci sia stata una battaglia.”

“Nehai mai vista una?”

“E dove, scusa?” Non riusciva a parlare. Sentiva solo l’odore del sangue, che le faceva paura più dell’avanzare della notte. “Che posto è questo? A cosa serve stare qui? E se arriva qualche malintenzionato?Andiamocene. Voglio tornare nella mia sala, non me ne frega più niente di salvare il mondo.”

Intanto il sangue colava ed era caldo e lei lo sentiva viscido sotto le suole di gomma delle scarpe da tennis. “Cammino tra i morti, porca miseria. Cammino tra i morti.”

“Qui non c’è più nulla da salvare, Norma. Tutto è già accaduto.”

Norma non stava ascoltando. Era spaventata perché si era accorta che non c’era stata nessuna battaglia. Quei poveracci tutti piene di ferite e dissanguati non avevano armi. Non avevano armature. I più, sebbene sfigurati dalle ferite, sembravano non averenemmeno l’età, se esiste un’età, per combattere.

Camminava di fianco alla sua guida in silenzio, finché non arrivò a una specie di fossato poco profondo posto aconfine della morte. Al di là era tutto prato.

“Voglio tornare indietro,” disse Norma. “Subito.”

“Ma, Norma, questi viaggi ci servono per capire. Non possiamo andarcene senza avere nemmeno idea di dove siamo stati.”

“Non voglio più guardare. Andiamocene.” S’impuntò.

“Ma, insomma, ora che ce l’hai fatta, cosa, cosa…”

“Io vado.”

“Non potrai fare finta di non avere visto.”

“Invecesì.” Norma brancò la mano di CK, se la mise sotto il braccio e la tenne stretta, mentre si grattava disperatamente il palmo pensando al suo salotto, ai suoi figli, alla sua vita.

In un attimo furono indietro.

“E adesso?”chiese CK.

“Adesso sappiamo che lì non ci voglio andare più. Non sono fatta per questo. No.”

“Quello che hai visto arriveràqua, se ti arrendi. Vuoi vedere i tuoi figli ridotticome i bambini che hai appena visto?”

“Mi sembra di essere caduta in uno di quei telefilm in cui basta non essere protagonisti e si muore subito, porca miseria. È mai possibile che tu siasempre così negativo? Non ci credo che era vero, quello che abbiamo visto. E non ci siamo nemmeno stati, dove siamo stati, lo sai meglio di me. Non ci credo, CK. È solo che sono un po’ esaurita e, sai che c’è?, mene vado a dormire.” Norma si voltò e andò nella sua stanza, dove si addormentò di colpo.

Il giorno dopo si svegliò tutto sommato serena e le macchie sulla mano le notò solo mentre si lavava la faccia e mentre intingeva il biscotto nel caffelatte.Con il tempo imparerò a considerarle un fungo della pelle. Magari se ne andranno da sole.

“Mamma, hai una faccia stravolta. Hai dormitobene?”

Allora si vedeva che aveva passato una nottataccia. Ma non si era appena dettache si sentiva serena?

“Sì, benissimo. Perché?”

Arrivò in cucina Ludovico esi sdraiò per terra.

“Cosa vuoi stamattina? Latte o tè?” Quello ogni giorno si svegliava di umore diverso e bisognava prenderlo per il suo verso, se si voleva sopravvivere fino al cancello della scuola.

“Sono offeso con te, mamma.”

Ecco, ci mancava solo questo.

“Come mai, amore mio?” Aveva detto prima latte e invece doveva prima offrire il tè? Benedetto moccioso.

“Devi smetterla di scappare, mamma. Tu non hai coraggio. E laggiù potrebbe esserci qualcosa di importante.”

Norma non riuscì nemmeno ad accusare il colpo. Restò lì istupidita e zitta.

Ma non è possibile! Anche questo sapeva! Quello stregone me la paga. Farmi fare una figuraccia con un bambino di terza elementare!Pensò.

“Non è colpa sua, sei tu che sei scappata.”

“Allora, vuoi il latte o il tè? Il tè o il latte?” Norma era stizzita perché non sopportava che Ludovico le leggesse nel pensiero. Mamma mia, chissà quante volte l’avràfatto, prima.

“No, ho imparato da poco. Il tè.”

Arrivò anche Samuele. Colazione, scuola.

Uscirono in silenzio.

Si faceva schifo. Non che l’impressione che aveva di sé fosse del tutto nuova, ma farsi schifo davanti a suo figlio che le leggeva nel pensiero peggiorava la fitta, che non le dava tregua. Non era più una fitta. Era il suo stato di fatto, la sua sensazione primigenia e prevalente.

Davanti al cancello della scuola capitolò.

“Va bene, Ludovico, ci torno. Ci torno. Vado a casa e ci torno. Soddisfatto?”

Lui la guardò senza dire nulla. Un fondamento della sua educazione era non dire mai una cosa che non si aveva intenzione di fare. Uno dei suoi vanti maggiori – uno dei pochi – era che se diceva che faceva una cosa poi la faceva. Invece aveva appena detto una cosa che non voleva fare. Tornare in quel postaccio schifoso. Che se lo scordassero pure tutti, maghi e bambini compresi. No, non se ne parlava nemmeno. Ecco. Infatti Ludovico non rispose. La guardò muto. Eh, certo, le leggeva nel pensiero.Quel topolino in grembiulino nero si allontanò abbacchiato e lei si sentì una persona orribile.

Sono sempre stata un tipo controverso. E questa mia controversione mi ha fatto fare tanti sbagli, ma in ciò mai è stata contemplata la fuga codarda. Ma nonsono mai stata cosìverminosa. Be’, sì, insomma, qualche volta magari sì.

Percorse tutta la via rimandando la decisione, tergiversò passando da qualche negozio ma poi, davanti alla porta di casa, fu costretta a prenderla.

Non ho niente da perdere, a parte tutto. Ok, vado.

CK la aspettava seduto in poltrona.

“Avete vinto. Sono pronta.”

Una grattata di mano ed era tornata in quel prato orribile. Anche senza guardare sapeva che era lì, per via dell’odore del sangue.

Ma non era assurdo e trovarsi in una situazione del genere? Sì, ma in quanti luoghi al mondo uno torna dalle commissioni del mattinoe sitrova una strage?In molti, a dire il vero.No, non era così strano. Il concetto di normalità di Norma stava cambiando in fretta. Normalità è una parola insensata.

Guardò ed era ancora tutto come l’aveva lasciato. Grondante e muto, afflitto da silenzio e puzza. E adesso?

“Cerchiamo diosservare meglio. Vediamo se troviamo qualcosa di utile.” disse CK.

“Ma che bella idea! Decomposizione e morte, stamattina.” In qualche modo doveva esorcizzare quello schifo e anche il senso di colpa di percepire ciò che vedeva come schifo. E poi dicono che viaggiare aiuti a prendere le distanze e a dare il giusto peso alle cose. A lei viaggiare in quel momento non faceva quell’effetto, anzi. Però, insieme alla nausea, salì in Norma una nuova consapevolezza. Attraverso quel prato coperto di morti era entrato in lei l’atomo della ribellione.

 (segue)

 

 

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