“Il complesso di Giano”, Capitolo 12
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“L’agire nella sua forma più nobile spesso è una lotta all’ultimo sangue contro una credenza, che è qualcosa insieme di trasparente come una convinzione e di solido come un mobile di legno.” Norma scrisse la frase sul tablet, molto soddisfatta del pensiero, anche se a dire il vero non era un granché. Poi immaginò se stessa combattere contro la credenza della cucina e si vide mentre si arrendeva alla superiorità dell’avversario e all’insensatezza del combattimento, cadendo colpita da un’anta.
“Ciao Norma. Credo di aver trovato la seconda spada di Murukai.” Era CK.
“Io invece ho scoperto dov’è nascosto il nostro siciliano in persona.”
“Ottimo, ma ora seguimi.”
Norma obbedì.
Erano su una specie di astronave dal cui deflettore si vedeva una gigantesca stazione spaziale a forma di sfera.
“È precisa alla Morte Nera di Guerre Stellari.” Norma si guardò intorno. “Non ci posso credere. Sei anche Obi Uan Kenobi, vero?”
“Tu guardi troppa roba americana, Norma.” sbuffò CK. “Ho accompagnato in giro per i mondi molti altri controllori, non sei la prima persona con cui vengo qui. Ma non siamo venuti per una rimpatriata nella fantascienza della tua infanzia. Seguimi.”
Scesero sulla stazione e trovarono una massa di cadaveri: stavolta su di essi non c’era una goccia di sangue. Avevano l’aspetto di involucri semivuoti buttati per terra.
Non riconobbe in loro nessun attore hollywoodiano, anzi quei poveracci erano grinzosi come piccoli alieni immaginati da un bambino. Suo figlio minore li disegnava così e così si vedevano in qualche pellicola. Non era un caso, probabilmente. In un angolo, vicino ai defunti, c’era la spada di Murukai.
“Ma c’è qualcosa, oltre a noi, che sia ancora vivo, in questo derelitto set di vecchi film che è l’universo?” si chiese Norma.
“Cerchiamo di capire com’è arrivata qui la spada del robot che hai rubato.”
Per quanto ancora avrebbe dovuto scontare quell’innocuo furtarello? “A che serve visto che ho trovato l’indirizzo del cattivo? Pensa che bastava chiedere alle forze dell’ordine e si scopriva tutto.”
“Effettivamente hai ragione. Torniamo.”
Aveva visto i suoi eroi imbruttiti e defunti, non aveva risolto niente, in questo girare a vuoto che era la sua indagine fin dagli esordi. Ora, grazie all’intervento e alla fiducia dimostrata da Gabriele, poteva partire alla ricerca di risposte. Meglio dormirci sopra, va. Norma mise in tasca la spadina di Murukai. Sarebbe stata il suo amuleto.
Dalla visione dello spazio alla preparazione delle valigie al sonno fu un piccolo passo. Norma si svegliò male come aveva dormito, ma era sveglia e quindi ancora viva, così poteva prendere un’aspirina.
Svegliò i bambini e li posizionò davanti alla colazione. La mattina avevano sempre una verve da pupazzi inanimati.
“Oggi niente scuola: andiamo dall’uomo che ha fatto tanto male a Essem.”
“Che lo ha ucciso.” precisò Ludovico.
“Con cosa andiamo?” chiese Samuele sorridendo. Il salto della scuola li galvanizzava sempre.
“Con l’aereo.”
Cercò di non chiedersi se restava abbastanza tempo, ma la pena incrinava i pensieri nascosti e tutti li percepirono. Nessuno aveva voglia di parlare.
Squillò il telefono. “Siete pronti tu e i bambini? Tra mezz’ora sono lì.” disse Gabriele.
“E tu come fai a sapere che andiamo tutti?” chiese Norma, che prima aveva deciso di partire sola e poi aveva fatto le valigie per i bambini. Era troppo rischioso lasciarli soli e soprattutto c’era bisogno di loro. Sì, senza di loro non credeva che ce l’avrebbe fatta. Le cose stavano così e si vergognava di esporli al pericolo anziché proteggerli. Sì, era giusto che venisse anche Gabriele. Lui li avrebbe protetti.
“Così ci controlliamo a vicenda. Non possiamo lasciare qui i bambini. È più prudente, anche se le mie azioni degli ultimi giorni mi dovrebbero sconsigliare di pronunciare in pubblico la parola prudenza.” spiegò Gabriele. “Ho già prenotato il volo. Dobbiamo sbrigarci.”
Ah, sì, l’aereo. Norma si era dimenticata quel piccolo particolare. Meno male che c’era Gabriele. “Durante il viaggio studieremo un piano farraginoso.” disse Norma. Prima di uscire avvisò Maddalena, che non stava bene e non ebbe nulla da eccepire.
Alle undici e mezzo erano in volo per la Sicilia.
I bambini erano dietro il suo sedile con Gabriele a guardare il panorama, mentre lei affrontava quel tragitto sospeso – odiava gli aerei – con lo spirito lieve di una discesa all’inferno.
Mentre barcollava verso i bagni, incrociò lo sguardo dell’essere insettiforme che aveva visto qualche giorno prima sul treno. Le venne una mezza sincope.
“Cosa dicevo? È una discesa agli inferi, con tanto di diavolo come accompagnatore.” Pensò Norma, ma pensò anche che se lui era lì significava che stavano percorrendo la strada giusta. Giusta per cosa non lo sapeva, ma la sua anima spaventata fu percorsa da un brivido. Temeva per i suoi bambini. Belzebù era sei file di sedili dietro i suoi figli e loro erano diretti a casa del suo padrone. Di questo era certa.
Per il resto del viaggio Norma cercò di comprendere il messaggio custodito sul fondo degli occhi del suo demonio personale. Il suo istinto le suggeriva che qualcosa in un barlume dell’iride di Belzebù era cambiato rispetto a quando l’aveva visto in treno. C’era un’impercettibile soddisfazione, o perché il male si era ammorbidito o perché il male aveva già vinto.
Una volta sbarcati affittarono una macchina. Norma accese il cellulare e trovò un sms di Maddalena che chiedeva di avvisarla quando arrivavano.
Prima di affrontare il cosiddetto destino, Norma scrisse a Maddalena una frase stretta com’era il suo cuore in quel frangente. “A destinazione. TVB.”
Poi chiese a Gabriele il numero del diavolo e lo compose con grande lentezza. Il diavolo ha un numero di telefono, non è strano?
“Se non te la senti chiamo io.” propose Gabriele.
“No, faccio io.”
Telefonò e colui che tutti loro stavano cercando rispose al primo squillo. Era lui, senza dubbio. Tutti loro ne erano certi. Lo sapevano e basta.
“Buongiorno, Norma.” esordì. Sapeva il suo nome. Ovvio.
“Sto venendo a prenderti.”
“Ti aspetto. Vieni sola.”
“Contaci.”
“Tanto so che verrà anche lo stregone.”
Sì, il diavolo è furbo.
Il navigatore satellitare li guidò fino alla Valle dei Templi, dove Norma fece scendere Gabriele e i bambini e li salutò per andare. Quel sito era intriso del concetto di sacro e lei non si stupiva che il nemico avesse lì vicino il suo rifugio. I gradini dell’inferno non sono poi così distanti da quelli del paradiso, sempre che non siano proprio gli stessi.
“Aiuta la mamma, CK.” si raccomandò Samuele.
“Ho vissuto ottomila anni apposta per questo.”
“È tutto pronto. Se non mi chiami tra un’ora, io e i miei colleghi facciamo irruzione. Se vuoi che ti accompagni, vengo con te. Lasciamo i bambini con CK.”
“Devo andare sola, hai sentito. Tienili tu. Lasciami tre ore.” Tanto cosa possono fare due pattuglie di carabinieri di fronte a immensi poteri demoniaci?
“No, Norma. Sono troppe.”
“Sì, Gabriele. Bisogna fare così. Fidati.”
Bisognava fare così, lo sapevano anche i bambini. Non ci furono baci e abbracci disperati. In un mondo dove il male saluta con garbo meglio non mettersi a piangere e urlare. Gabriele raccolse l’anima da terra e si allontanò.
“Cosa succederà?” Chiese Norma.
“Non lo so, ma credo che anche il nostro amico deviato sia confuso.” Rispose CK.
Uno che sta facendo implodere l’universo con perfida premeditazione può essere confuso?
Dieci minuti di passeggiata e Norma vide il Diavolo o chi per esso al cancello bianco di una casa bianca. Al suo fianco stava Belzebù.
“Benvenuta, Norma.” allungò la mano per stringergliela.
Norma non capiva e non si fidava.
“Spiegami come fai a sapere il mio nome. Allora è vero che mi spii da tempo.”
“Certo, anch’io sono un controllore. Prego, accomodatevi.”
“Perché vuoi distruggere l’universo?” I convenevoli dell’assassino di Essem la irritavano.
“Non lo so, sono confuso.”
Accidenti, CK aveva ragione.
“CK capisce gli esseri umani, anche se non è umano.” Ovviamente leggeva nel pensiero anche lui.
“E tu sei umano?”
“Sì. Mi interessano il bene e il male. Cosa c’è di più umano di questo argomento? Ma perché stiamo qui a parlare in piedi? Ti va un tè?”
Norma pensava che tutto quello che aveva visto, unito alla prospettiva della fine dell’universo, era un po’ troppo per concludersi a poche centinaia di chilometri da casa sua in modo così sottotono. La cosa la lasciava un po’ interdetta, ma lei era abituata a sentirsi persa. Credeva di dover affrontare il male assoluto e la fine del mondo e invece il malvagio del malvagi le offriva un tè.
Mentre si accomodavano sotto un magnifico pergolato, lui raccontava cose che dissonavano con i profumi e i colori della primavera mediterranea. “Ho cercato di distruggere l’universo, lo confesso. Il suo equilibrio è così fragile ma è davvero difficile spezzarlo, credimi. Infine è stato lui a spezzarmi. Anzi, sei stata tu.”
Ma cosa mai poteva rompere di universale una che incontrava difficoltà anche nell’aprire le scatolette del tonno? Norma si chiese se non avesse sbagliato persona. Non le risultava che, durante lo scontro finale, i cattivi offrissero ai buoni la merenda.
(segue)
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