Tremila miliardi contro la crisi

Pubblicato il 26 Settembre 2011 in da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Tremila miliardi contro la crisi. Piano dei grandi per l’euro. Ma restano dubbi e divisioni”. Si tratta del “nuovo maxipiano”, già esaminato e discusso giovedì scorso dai ministri del G20 a Washington. “Ma restano dubbi e divisioni”, spiega il quotidiano milanese. Il Corriere dà anche la notizia del voto, giovedì prossimo, da parte del Parlamento tedesco, sugli aiuti. La Cancelliera Merkel si dice fiduciosa.

La Repubblica: “Berlusconi: non mi dimetto, questo è uno stato di polizia. Il premier attacca i pm. Alemanno: basta cerchio magico nel Pdl. Bersani: pronti al governo d’emergenza”. A centro pagina la notizia sul piano da 3 mila miliardi “per salvare l’euro dal contagio”. Di spalla il quotidiano romano si sofferma sulla “svolta” in Arabia Saudita: “Sì alle donne in politica. Potranno votare e essere elette”. Il commento è di Renzo Guolo: “Primavera anche a Riad”.

La Stampa: “Lascio se non mi sfiduciano”. “Torna l’idea del condono. Oggi in Aula il ddl sulle intercettazioni. Bersani: pronti per un governo di emergenza. Berlusconi: in settimana il decreto per la crescita con 27 misure”. A centro pagina la “svolta in Arabia, le donne potranno votare”.

Il Giornale: “Fini torna a Montecarlo. Il leader Fli nega ancora lo scandalo della casa. ‘Calunnie e documenti falsi’. Ma la Procura ha certificato che è tutto vero”. E poi: “Berlusconi non molla:’Subito una legge per sviluppo e intercettazioni'”. A centro pagina, con foto della presidente di Confindustria Marcegaglia: “Emma vuole tassarci il bancomat. La ricetta Marcegaglia? Patrimoniale e imposta sui prelievi di contante. Le geniali proposte di Confindustria”.

L’Unità dedica la foto-notizia di prima pagina alla marcia Perugia Assisi: “La forza della pace”. Di spalla il quotidiano offre un “colloquio” con Abu Mazen, dopo il suo discorso all’Onu: “Impossibile negoziare con Netanyahu”, il titolo.

Fondo

Nel fine settimana si sono tenuti il vertice del G20 e quello del Fondo Monetario Internazionale. E’ stato il settimanale britannico Sunday Times a diffondere le voci di un nuovo megapiano europeo da 3000 miliardi di Euro per superare la crisi europea del debito sovrano, anche a seguito degli accorati appelli del segretario al tesoro Usa Geithner, che aveva parlato del pericolo di “default a cascata” nei Paesi dell’eurozona. Il Corriere della Sera parla di una “fragile intesa” sul ‘muro’ anticontagio all’interno dell’Unione Europea. Ma sottolinea che i termini sono sfuggenti e che comunque non potranno essere resi pubblici fino a che il Bundestag non ratificherà l’accordo europeo del 21 luglio. Sembra certo che i Paesi europei interverranno con strumenti straordinari. Già sabato diverse fonti, anche della Bce, parlavano di un nuovo strumento esterno allo European Financial Stability Facility. il fondo salva stati istituito a maggio scorso, che potrebbe ricevere una dotazione di 200 miliardi di Euro, da moltiplicare poi per 5. Ma lo stesso Fondo Monetario ha dubbi e sottolinea che è necessario anche un intervento massiccio della Banca centrale europea. Qui emerge la perplessità del ministro delle finanze tedesco Schauble: “i tedeschi sono disposti a collaborare alla creazione del grande muro finanziario a protezione delle banche e dei Paesi più a rischio, a patto che la Bce venga lasciata fuori”. Anche perché, dal punto di vista normativo, il Fondo salva-Stati non può finanziare entità diverse dai governi.
Il Sole 24 Ore ricorda che giovedì e venerdì il Parlamento tedesco dovrà pronunciarsi sulla riforma del Fondo Salva Stati, che ne allarga strumenti e competenze, consentendogli di acquistare titoli di Stato di Paesi in difficoltà. Fino ad ora soltanto sette Paesi hanno dato il via libera alle nuove regole per il Fondo: lo hanno approvato, tra gli altri, la Francia, l’Italia e la Grecia; devono ancora farlo, Germania, Olanda, Austria, Portogallo, Finlandia tra gli altri.
La Germania è il cuore del problema, anche per le incognite legate alla coalizione con i liberali. D’altra parte l’ampiamento dello strumento decretato dai Paesi dell’Ue è stato deciso lo scorso luglio, quando la crisi del debito sovrano non aveva ancora assunto i contorni attuali. Per parte sua la Banca centrale europea non vede l’ora che il nuovo fondo parta, per liberarsi del compito ingrato di dover far pesare sul suo bilancio gli acquisti di titoli spagnoli e italiani, funzione destinata a nuovo fondo.

Intervistato da La Repubblica, il premio Nobel per l’economia Michael Spence dice: “Obama ha ragione: se cade l’Euro sarà recessione globale. Aggiungo: pesantissima”. Dice che la situazione in Europa è peggiore di quella americana: “Pensi alla paralisi delle banche che non si prestano più, per crisi di fiducia, i soldi l’un l’altra. In America almeno questo lo abbiamo superato”. Spence dice che la Fed sta avendo un ruolo fondamentale e che quando la Bce accetta di farsi guidare da essa escono misure favorevoli, come l’apertura di fornitura di dollari alle banche europee”. La Bce dovrà procedere, continuando ad acquistare titoli di Stato, senza dimostrarsi vittima dei veti politici della Germania.

Ratzinger

Si conclude la visita di Papa Ratzinger nella sua Germania, accompagnata dalle smentite di sue dimissioni ad aprile. Alle ultime dichiarazioni del Papa sono dedicati gli articoli del Corriere della Sera e de L’Unità: “La strigliata di Ratzinger: “Agnostici fedeli a Dio più dei cattolici tiepidi”, sintetizza  L’Unità. Il Corriere: “‘Agnostici più vicini a Dio dei fedeli di routine”. Spiegando le parole del Papa, l’Unità ricorda che ha ringraziato le la loro generosa azione sociale gli operatori cattolici tedeschi, ed ha parallelamente messo in discussione il modello di una chiesa potente, perfettamente organizzata e ricca di mezzi. Dice il Papa che non si risponde alla crisi di credibilità della Chiesa “adattando i suoi uffici e le sue strutture al tempo presente”. Il Papa si è spinto a giudicare come positivi gli impulsi alla secolarizzazione che “espropriando la Chiesa dei suoi beni e cancellando i suoi privilegi, hanno portato ad una sua profonda liberazione terrena”. Dopo aver condannato i “cattolici tiepidi”, ha messo in guardia anche dall’impegno sociale fine a se stesso. Lo ha associato ad una “Chiesa che si accomoda in questo modo, diventa autosufficente e si adatta ai suoi criteri”, finendo per dare “all’organizzazione e all’istituzionalizzazione una importanza maggiore che non è la sua chiamata all’apertura”: “La carità” è cosa diversa dall’assistenza sociale. E la frase sugli agnostici: “Gli agnostici che a motivo della questione su Dio non trovano pace e le persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desideri di un cuore puro, sono più vicini al regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede”.
Al tema è dedicata anche l’analisi di Gian Enrico Rusconi su La Stampa, che esordisce così: “Basta la simpatia comunicativa per rimettere in moto la fede, per rilanciare un solido dialogo ecumenico, per ricominciare un dialogo con il mondo laico che da tempo si è interrotto?”. Secondo Rusconi, al di là del successo mediatico, il viaggio in Germania nella sostanza lascia le cose come stanno: “Rimane infatti l’immobilismo teologico, l’immobilismo dottrinale sui grandi temi dell’etica personale, sessuale e familiare, che sono quelli che toccano in profondità milioni di credenti”. Rusconi sottolinea che tra le autorità tedesche che hanno ricevuto cordialmente il Papa c’è il capo dello Stato, cattolico, divorziato e risposato; o il sindaco di Berlino, cattolico, gay dichiarato; e la cancelliera, figlia di un pastore evangelico, divorziata e risposata. Tutti sono sinceramente aperti verso la religione, “cui riconoscono un decisivo ruolo pubblico – proprio come dice Ratzinger – salvo dissentire su questioni che il Pontefice ritiene cruciali”. In Germania, oltre a semplici cittadini, c’è un forte gruppo di teologi che da tempo espone le proprie obiezioni su questioni che vanno dal celibato alla posizione della donna nella Chiesa o all’eucarestia dei divorziati. Ma la crisi della Chiesa nel mondo occidentale, secondo Ratzinger, richiede un “rinnovamento della fede”, non “modifiche strutturali o dottrinali”.

Obama

“Obama alla riconquista del voto nero”: così titola La Stampa spiegando come il presidente cerchi di recuperare il calo di consensi, che mette a rischio la sua rielezione, perché potrebbero mancare voti determinanti nel 2012. Deputati afro-americani come Emanuel Cleaver,  nell’ultimo mese, lo hanno accusato di aver dimenticato la comunità nera nella legge sugli stimoli per l’economia, “anche se fra noi c’è una disoccupazione del 16.7 per cento, ovvero ben superiore alla media nazionale del 9.1 per cento”. “Se Bill Clinton  – aggiunge – avesse fatto qualcosa del genere, avremmo marciato sulla Casa Bianca”. Se venisse a mancare il voto afro-americano Obama potrebbe perdere Stati considerati in bilico, come Virginia, North Carolina e Florida. Il Presidente, nel fine settimana, ha preso parte quindi all’assemblea dei parlamentari afro-americani eletti al Congresso. E li ha strigliati: “Basta lamentele e piagnistei, è ora di mettersi in marcia”.

Palestina

L’Unità intervista il Presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Ricorda che “un anno fa il Presidente Obama aveva sostenuto sempre dalla tribuna dell’Onu che era ottimista sul fatto che un anno dopo lo Stato di Palestina potesse essere una realtà”. Dice che Netanyahu è il leader israeliano “più inflessibile” tra tutti quelli con cui ha trattato, che i palestinesi “non possono negoziare qualsiasi proposta che non sia basata sui confini del 1967 e non garantisce un congelamento degli insediamenti in Cisgiordania”. Se l’Assemblea dell’Onu dovesse rispondere negativamente alla richiesta di piena adesione della Palestina come 194° stato membro, Abu Mazen lascia intendere che chiederebbero di elevare lo status della delegazione palestinese a Stato osservatore. Questo permetterebbe di accedere ad organismi come la Corte Penale Internazione, dove potrebbero denunciare l’occupazione israeliana.

Arabia Saudita

Il re saudita Abdullah, aprendo la nuova legislatura del consiglio della shura (una sorta di Camera con potere esclusivamente consultivo, composta da 150 membri di nomina reale), ha tenuto un discorso di cui – sottolinea La Repubblica – è stata diffusa soltanto una sintesi riguardante l’elettorato femminile. Ha detto Abdullah: “Poiché ci rifiutiamo di emarginare le donne in tutti quei ruoli conformi con la sharia, abbiamo deciso, dopo deliberazioni con i nostri anziani ulema (gli esponenti religiosi che fanno parte del consiglio) e con altri, di coinvolgere le donne nella shura come membri, a partire dalla prossima sessione. Le donne potranno concorrere come candidate alle elezioni municipali, ed avranno persino diritto di voto. La tornata elettorale avrà luogo tra 4 anni e, sottolinea il quotidiano, anche le elezioni amministrative sono una operazione largamente di facciata, visto che soltanto il cinquanta per cento dei consiglieri viene eletto, l’altro cinquanta essendo nominato dalla corona.
Legge la decisione di re Abdullah, su La Repubblica, Renzo Guolo, che sottolinea come essa sia frutto della battaglia modernizzante delle donen più giovani e istruite della vastissima famiglia reale e di quelle dei ceti che vi ruotano attorno., Donne che discutono in rete, appartengono alla nuova elite mondiale globalizzata, abituate a viaggiare. L’apertura tende a prevenire e svuotare le contestazioni che potrebbero arrivare da settori, pur minoritari, che chiedono maggior democrazia. Insomma, concedere il diritto alle donne viene considerato il male minore rispetto alla possibilità di un contagio esterno. Il quotidiano intervista una docente dell’università di Ryad, Hatoon Ajwad Al Fassi: dice che “è una conquista fondamentale, perché è un primo passo per ottenere tutto il resto”. Di parere opposto una docente di antropologia al King’s college di Londra, la saudita Madawi Al Rasheed che, in una intervista a La Stampa, considera il discorso del re “un diversivo tattico”, per distogliere l’attenzione mediatica internazionale dalla repressione in corso. Dice che c’è una leadership vecchia e senza ricambio, e che non esistono elezioni parlamentari: ricorda come Amnesty abbia denunciato il grande afflusso di dissidenti nelle carceri saudite: “la gente vuole una monarchia costituzionale, protesta come in Egitto, e finisce automaticamente in prigione”. Perché Ryad giustifica la discriminazione nei confronti delle donne con il rigore islamico, mentre altri Paesi musulmani come il Pakistan hanno avuto donne premier? “Il Corano non c’entra”, dice Madawi al Rasheed. Il governo saudita si è servito fino ad ora della secondarietà della donna per provare ai conservatori di casa propria e al mondo islamico quanto pio fosse. Ma nel momento in cui altri Paesi musulmani, dalla Tunisia alla Turchia, dimostrano la possibile svolta modernista, deve aggiustare il tiro.
L’Unità intervista Emma Bonino, secondo cui “si tratta di una apertura importante”, dovuta tanto alle primavere arabe che alla mobilitazione delle donne e degli intellettuali sauditi, che è stata molto forte nel Paese. Ricorda che “le donne hanno dato vita ad una sorta di disobbedienza civile sul diritto a guidare”, e anche se non sono state molte a sfidare i divieti, mettendosi al volante con il velo, sono riuscite a creare un consenso intorno tramite i blog e internet, in un Paese molto “internettato”, e dove proprio le donne, costrette a uscire poco, vivono molto sul web. Ricorda la Bonino che nei giorni scorsi 60 intellettuali sauditi hanno invitato sui siti al boicottaggio delle prossime elezioni municipali, se non si fossero svolte a suffragio universale. Il Corriere intervista la giornalista saudita Iman Al Qathani, che racconta come già girino battute del tipo: “Ok, le eleggiamo, ma poi come ci vanno al Majlis se non possono guidare. E se devono andare in missione all’estero, si porteranno dietro il marito?”. Dice che i riformisti chiedono una assemblea eletta, riforma del potere giuridico, libertà per i prigionieri politici, pari diritti per uomini e donne, sciiti e sunniti: nell’est gli sciiti sono stati gli unici a protestare, senza risultati. TRa i sunniti nessuno scende in piazza, perché esiste un rapporto speciale di lealtà tra le nostre tribù e il sovrano”.

Politica

Intervistato da La Repubblica, il presidente della Regione Lombardia Formigoni dice che “bisogna accelerare il cammino delle riforme”, e precisa che occorre farlo “già in questi giorni, nelle prossime due o tre settimane”. Per Formigoni le parole d’ordine sono imprese, famiglia ed enti locali, “che devono avere indietro le risorse che la manovra gli ha tagliato, mettendo in ginocchio il trasporto pubblico locale e i servizi sociali”. C’è il rischio che si vadaa a votare nel 2012, potrebbe essere la Lega a chiedere le elezioni anticipate, bisogna accelerare sulle primarie. A proposito delle affermazioni di Gianni Alemanno, che aveva detto “basta con le Minetti”, Formigoni dice: “Basta con i deputati e i senatori nominati dall’alto”. 

da RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini