Le aperture
Il Corriere della Sera: “Tensione nel governo sul lavoro”. “Ncd: sarà battaglia. Renzi: parole da campagna elettorale”. E, sulla riforma del Senato, “i 5 Stelle con i ribelli Pd”. In prima anche una lettera del ministro delle riforme Boschi: “A un passo dall’ultimo miglio per uscire dalla palude”.
A centro pagina: “Salvataggio Alitalia, la frenata di Etihad per lo scoglio dei debiti”.
La Repubblica: “Scontro sul lavoro. Renzi: basta attacchi da soloni milionari”, “Fiducia sul decreto occupazione. Ncd: sarà battaglia”, “Senato, il leader pd alla minoranza: cercate visibilità”, “Il governo apre gli archivi sui misteri delle stragi”.
La foto a centro pagina è per la protesta delle Femen contro la leader del Front National Marine Le Pen. Le attiviste hanno una svastica sul seno.
Il Sole 24 Ore: “Fiducia sul decreto lavoro, scontro rinviato in Senato”. “Oggi il voto alla Camera. Da Ncd-Sc solo una tregua: ‘su contratti e apprendistato troppe rigidità’”. Anche sul quotidiano di Confindustria si parla dello “stallo” nella trattativa su Alitalia.
Il Giornale: “La Cgil ordina, Renzi obbedisce”. “Il governo mette la fiducia sul decreto occupazione, cambiato dalla sinistra Pd su richiesta del sindacato. Alfano supera il ridicolo: non mi piace, ma lo voto”. E poi: “Berlusconi oggi firma le regole per i servizi sociali. E domani va in tv”.
L’Unità: “Lavoro, Renzi ferma Alfano”, dive si scrive che “Ncd si piega: diremo sì, ma al Senato sarà battaglia”. Sulle riforme istituzionali da segnalare una intervista a Vannino Chiti: “Non ritiro il mio testo, niente paletti alla Costituzione”. In prima anche: “Via i segreti sulle stragi. Il premier declassifica tutti gli atti riservati degli archivi: saranno pubblici per piazza Fontana, Brescia Italicus, Ustica, stazione di Bologna”
La Stampa: “Tagli, le Regioni in rivolta”, “Domani riunione dei presidenti: no a nuovi sacrifici, la Sanità già all’osso”, “Decreto lavoro, Renzo deve mettere la fiducia. Ma Alfano: lo cambieremo”.
A centro pagina, una foto da Washington per una battaglia degli ambientalisti: “Cowboy e indiani contro l’oleodotto”.
Il Fatto: “Alitalia in ginocchio dagli arabi. Il prezzo: 3 mila licenziamenti”.
A centro pagina: “Altro che Partita del Cuore: Renzo gioca, rissa sugli spalti”, “Confermata (per ora) la diretta Rai per il premier in campo a sei giorni dalle elezioni”.
Lavoro, conti pubblici
Sul Corriere Enrico Marro scrive che sul decreto lavoro le modifiche oggi al voto di fiducia sono state fatte in commissione lavoro della Camera, “presieduta dall’ex ministro Cesare Damiano, dell’ala sinistra del Pd, contraria a Matteo Renzi, ala che egemonizza la stessa commissione. Non è stato difficile quindi per Damiano far passare modifiche importanti, con via libera, va detto, dello stesso governo, che ha fatto buon viso a cattivo gioco. Modifiche continue che lasciano nell’incertezza le aziende”. Oltre alle proroghe dei contratti a termine “scese da 8 a 5, con la specifica che il tetto vale come limite massimo complessivo nei 36 mesi”, “il testo uscito dalla commissione prevede che nel caso in cui l’azienda superi il limite di legge del 20% di contratti a termine sul totale dei dipendenti, scatti la sanzione dell’assunzione a tempo indeterminato. Infine, si rafforza il diritto di precedenza nelle assunzioni per le donne con contratto a termine in maternità”.
Sono queste le modifiche osteggiate da Ncd, sulle quali ieri Poletti ha tentato una mediazione. Ha proposto di attenuare la sanzione sui contratti a termine oltre il 20% dei dipendenti (multa anziché obbligo di assunzione), di rendere facoltativa la formazione pubblica e di rafforzare il richiamo alla necessità di introdurre il contratto di inserimento a tutele crescenti (che lo stesso governo propone, ma nel disegno di legge delega che accompagna il decreto). Damiano, però, ha chiesto di aggiungervi anche la riduzione da 5 a 4 del tetto alle proroghe e l’accordo è saltato”. È probabile, scrive il quotidiano, “che al Senato, dove il presidente della commissione Lavoro è Maurizio Sacconi, anche lui ex ministro ma di Ncd e dove il Pd non è così forte, il testo recepisca i cambiamenti suggeriti da Poletti ieri”.
Sul Sole 24 Ore Alberto Orioli scrive tra l’altro: “È importante che il contratto a termine abbia mantenuto la durata di 36 mesi senza indicazione della causale anche se ha dovuto “cedere” tre possibilità di proroga (ridotte da 8 a 5). È un forte appesantimento l’obbligo di trasformazione in rapporto di lavoro full time in caso di superamento del 20% di contratti a tempo sul totale dell’organico. È figlio di una visione negativa dell’impresa e ha come unico risultato quello di ridurre il potenziale reale d’impiego (perché l’azienda teme i vincoli sproporzionati e crea meno ingaggi). Meglio sarebbe stato seguire la strada, indicata dallo stesso Poletti, di una eventuale sanzione amministrativa. Ma in queste settimane sopra le righe il buonsenso non ha cittadinanza”.
“Lavoro, Renzi frena Alfano, ‘Ho risparmiato la sanità non cambio il decreto’”, titola La Repubblica, che riferisce dello sconforto del ministro Lavoro, a lungo dirigente della Legacoop per le scene viste a Montecitorio: “Quando c’erano differenze così piccole l’accordo si chiudeva subito. Qui invece si sono irrigiditi tutti e senza motivo”, diceva ieri. Ma, sottolinea il quotidiano, la ragione sta nella scadenza delle prossime elezioni europee del 25 maggio. In privato pare che il presidente del Consiglio abbia definito “cinema elettorale” quello messo su dal Nuovo Centrodestra. Secondo La Repubblica il punto di vista di Renzi sarebbe questo: se l’Ncd ha incassato lo stop a qualsiasi taglio sulla Sanità , potendolo sventolare in campagna elettorale come un successo del ministro Beatrice Lorenzin, stavolta dovrà digerire il decreto così come uscito da Montecitorio. Anche se il premier sa di non dover umiliare un partner essenziale come il Nuovo centrodestra, tanto più che a Palazzo Madama, dove la formazione di Alfano preannuncia battaglia, i numeri della Commissione Lavoro sono a rischio, perché solo 8 membri su 25 sono del Pd. Allo stesso tempo, l’intenzione si Renzi è di rafforzare il rapporto con la minoranza del suo partito, proprio a partire dalle modifiche apportate al decreto Lavoro: non a caso ieri il leader della sinistra interna, Gianni Cuperlo, ha esaltato il compromesso raggiunto “unitariamente”, aggiungendo che “nel Paese la fiducia verso il governo sta crescendo e questo conta tantissimo”. Alle pagine seguenti l’attenzione si sposta proprio sul percorso che il decreto dovrà affrontare al Senato: è probabile che una nuova mediazione, per via dei numeri ristretti del Pd, si incardini sul tema dell’apprendistato, perché il testo varato dalla Commissione Lavoro della Camera rischia di essere bocciato da Bruxelles. Stabilisce infatti che in mancanza di un progetto formativo da parte delle Regioni entro 45 giorni dal contratto, l’imprenditore possa fare a meno della formazione. Ma questo snaturerebbe il contratto, perché la formazione esterna prevede significativi sgravi contributivi.
La Stampa: “Fiducia sul decreto, ma Ncd non molla: modifiche in Senato”. Il “retroscena” della pagina di fianco si sofferma sul “fantasma della Cgil su Renzi” che ha imposto “lo stop alla mediazione”: in Commissione Lavoro alla Camera sono “decisivi gli 11 membri su 21 del Pd che vengono dal sindacato”. A partire dall’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, che ne è il presidente. “Al momento decisivo è come se, nel cuore del Parlamento, si fosse materializzata la Cgil”, scrive il quotidiano.
Il Fatto: “La guerra finta di Ncd sull’inutile decreto lavoro”, “Gli alfaniani minacciano di non votare il testo, poi il governo mette la fiducia e ci ripensano: ‘Battaglia in Senato’. Mediazione fallita col Pd”.
Da La Repubblica segnaliamo una lettera al direttore del ministro Pier Carlo Padoan, in risposta ad un invito di Eugenio Scalfari a fornire chiarimenti sul programma di finanza pubblica: “la disciplina fiscale perseguita dai governi italiani negli ultimi anni -scrive Padoan- ha condotto a risultati sostanziali e nessuno può negare che i cittadini italiani abbiano sopportato un sacrificio enorme. L’effetto di questi sacrifici sui conti pubblici è l’avanzo primario più elevato nell’Unione, insieme a quello della Germania. Grazie a questi risultati, che vanno preservati, oggi il Paese è finalmente capace di rimuovere quegli ostacoli alla crescita che ne hanno bloccato per lunghi ani le potenzialità”.
Sul Corriere della Sera, Dario Di Vico torna a scrivere delle vertenze sindacali sulle aperture festive e paarla di un centro commerciale a La Spezia, per sofferrmarsi sulle “due culture del lavoro” a sinistra, quella della Cgil e quella delle di Lega Coop. Su Il Giornale: “La Coop sfida la Cgil: fa lavorare i crumiri nel giorno dello sciopero”. Dove si ricostruisce la vicenda già raccontata dal Secolo XIX.
Bondi per Renzi, Berlusconi no
Su La Stampa i lettori troveranno una lettera al direttore di Sandro Bondi, ex ministro della Cultura del governo Berlusconi e tra i fondatori di Forza Italia: “Fi ha fallito, sosteniamo Renzi”. Secondo Bondi “la sinistra di Renzi si colloca oltre la tradizionale socialdemocrazia europea, ed è più simile alla sinistra liberal americana di Obama e al nuovo Labour party di Blair. Si potrebbe dire che Blair sta alla Thatcher così come Renzo sta a Berlusconi. Con la differenza che Berlusconi non ha potuto portare a compimento una vera e propria rivoluzione liberale e una necessaria modernizzazione dell’Italia come invece ha fatto la Thatcher in Gran Bretagna, sia nella sfera economica che in quella dei diritti civili”. Il centrodestra dovrà quindi, soprattutto dopo le elezioni europee, “quale tipo di opposizione condurre al governo Renzi :contrastare il suo impeto riformatore e modernizzatore oppure incalzarlo e sostenerlo in un’opera di cambiamento dal cui fallimento nessuno beneficerebbe”.
Il Giornale, che informa che domani Berlusconi sarà a Porta a Porta, scrive invece che “continua, intanto, la lenta ma inesorabile presa di distanze dal governo Renzi e dalla sua politica che il Cavaliere non ha mancato di definire ‘deludente’. Soprattutto sul fronte fiscale, è stato il ragionamento che ha fatto il leader di Forza Italia al telefono con un parlamentare, ‘mi aspettavo molto di più’”.
Riforme
Oggi L’Unità intervista il senatore Pd Chiti, che risponde alla richiesta del ministro Boschi di ritirare la sua proposta di legge sul Senato elettivo: “Non ritiro il mio testo, la Carta non è dei governi”, dice.
Il ministro Boschi scrive oggi al Corriere, (“tre passi per uscira dalla palude”) e dice: “siamo veramente a un passo da un risultato storico. Fare questo ultimo miglio e’ fondamentale anche per dare una risposta al gesto di generosita’ del Presidente Napolitano”. Oltre che di titolo V e di abolizione del Cnel, il ministro parla della riforma del Senato: “Una maggioranza schiacciante ha dato la disponibilita’ a individuare nel Senato un luogo alto di confronto sulle relazioni con l’Europa e con i territori, incentrando la composizione dell’Aula su rappresentanti di Regioni e Comuni, integrati da personalita’ individuate dal Presidente della Repubblica, senza alcuna indennita’”. Su questo punto “si e’ aperta un dura polemica”. E “insistere per l’elezione diretta di una piccola parte dei senatori assume le caratteristiche piu’ di un tentativo di bloccare la riforma che non l’affermazione di un valore imprescindibile. Il fatto che la proposta venga da parte della minoranza interna del Pd e’ poi particolarmente stupefacente, essendo proprio la minoranza Pd quella che ha chiesto e ottenuto alla Camera di eliminare dall’Italicum ogni riferimento alla legge elettorale del Senato proprio in forza dell’assunto per il quale il Senato non sarebbe mai stato elettivo”.
Chiti viene citato anche dal Corriere: “’Servono equilibri fra le istituzioni e i poteri. Non si può avere per la Camera una legge ipermaggioritaria come è l’Italicum, competenze centralizzate, come nella proposta del governo del nuovo Titolo V, e indebolire le funzioni di garanzia del Senato. Si rischia di impoverire la nostra democrazia’”. E, scrive il quotidiano, “ora la proposta di Chiti trova anche il favore del Movimento 5 Stelle: ‘Con una serie di miglioramenti, siamo pronti a sostenerlo’”, ha detto il capogruppo a Palazzo Madama, Maurizio Buccarella.
Sul tema della elezione diretta “si è formato così un asse trasversale che va da Forza Italia (dove Lucio Malan ricorre a una nota citazione fantozziana per far sapere che non voterà il testo del governo) a Sel, e passando anche per alcuni componenti di Scelta civica. E anche il Nuovo centrodestra si associa”.
Luciano Violante viene intervistato dallo stesso quotidiano (“Il Senato non può essere un dopolavoro”) e dice di non essere favorevole alla elezione diretta, ma suggerisce diverse modifiche, a partire dalla “necessità di introdurre un meccanismo di bilanciamento rispetto alla Camera”, eletta “con un sistema ultra-maggioritario”.
La Repubblica, tornando ad occuparsi della riforma del Senato caldeggiata dal governo, riassume nei titoli: “Sul Senato elettivo l’ira del premier: ‘Cercano visibilità’”. E si spiega che l’idea del Senato elettivo caldeggiata dal senatore Pd Vannino Chiti ed altri Pd di Palazzo Madama “prende piede, raccoglie consensi, sembra diventare maggioritaria” perché “una bella fetta di Forza Italia, 33 senatori, ha un progetto analogo, i grillini, con qualche aggiustamento, sono pronti a votare i testi della minoranza Pd. Hanno anche pronto un progetto che prevede una composizione mista”. Insomma, il progetto Renzo potrebbe “finire in minoranza”, scrive il quotidiano. Ma il presidente del Consiglio e il ministro Boschi sono certi che il Senato darà il via libera prima delle elezioni europee: “alcuni senatori sono alla ricerca di visibilità, è comprensibile, ma la politica è un’altra cosa”, ha detto Renzi aggiungendo che “la politica è finalmente risolvere i problemi come abolire il bicameralismo perfetto”.
Internazionale
La Repubblica riferisce del viaggio del vicepresidente Usa a Kiev: “Biden minaccia Mosca: ‘Ritiri le sue truppe dai confini con l’Ucraina’”. Il ministro della Difesa di Kiev ha dichiarato che un aereo militare Antonov-30 è stato colpito da diversi proiettili durante un volo di osservazione a Slovyansk, città nelle mani degli insorti filorussi. E sabato prossimo il premier ucraino sarà ricevuto dal Papa. Il quotidiano riproduce un reportage di Neil Macfaquhar con copyright New York Times: “Banche e tribunali in tilt, nella Crimea dei russi adesso regna il caos”. E sulla pagina di fianco un’intervista a Tetyana Chernovol, giornalista ed attivista di Maidan che subì un violento pestaggio nella lotte di Natale. Crede che la Russia possa invadere l’Ucraina orientale? “Sì, e non solo quella orientale purtroppo. Ho coperto la seconda guerra in Cecenia e ho visto quello di cui è capace Putin”. “Putin è un pericolo, armiamo i volontari per proteggere il Paese”, dice, invitando l’Occidente a fornire aiuti militari.
Maurizio Molinari, corrispondente de La Stampa a Gerusalemme, racconta la storia un docente palestinese, ex guerrigliero di Al Fatah, che ha accompagnato i suoi studenti per una visita ad Auschwitz e che ora è accusato di tradimento. La reazione è stata talmente violenta che è costretto a vivere blindato in casa, a Gerusalemme Est.