Le aperture
Il Corriere della Sera: “Si vota, ma senza l’articolo 18. Ecco l’emendamento sul lavoro: incentivi per i contratti a tempo indeterminato. Oggi la fiducia. Renzi: non temo agguati. Il tema controverso dei licenziamenti rinviato ai decreti attuativi”. “Purché non sia un Fornero bis”, il titolo dell’editoriale di Dario Di Vico.
A centro pagina, con foto, un reportage da Kobane: “Nella città assediata, mille donne contro il Califfato”.
E poi: “Per l’udienza al Quirinale sì dei Pm ai boss”, al processo per la presunta trattativa Stato-mafia.
Accanto: “‘Vanno fermate le nozze gay. Scontro su Alfano. Tensione nel governo”.
A fondo pagina: “Indagato il capo della Procura di Milano. Bruti e il fascicolo dimenticato in cassaforte. Brescia ipotizza l’omissione di atti d’ufficio”.
La Repubblica: “Renzi: sgravi per chi assume. Fiducia, oggi battaglia in Aula. Allarme Fmi: gelata Ue, crolla la produzione tedesca. L’Italia cresce meno di tutti. Manovra da 24 miliardi, trattativa con banche e imprese sul Tfr in busta paga”.
Di spalla: “Alfano: no alle nozze gay. Ma i sindaci si ribellano”.
Sul processo per la trattativa: “La Procura: i boss possono assistere alla testimonianza di Napolitano”.
In taglio basso continua l’inchiesta di Carlo Bonini ed Emilio Randacio sulle indagini Eni, in relazione ai verbali dell’ex manager Armanna: “Eni, l’accusatore ai Pm: ‘Tangenti anche ai politici'”.
La Stampa: “Incentivi sui nuovi contratti. Sgravi per agevolare i rapporti a tutele crescenti a scapito di quelli a termine. La manovra sale a 24 miliardi. Jobs Act, oggi voto di fiducia. Renzi: non temo imboscate dal Pd”.
A centro pagina: “Ebola, la donna che spaventa l’Europa. L’infermiera di Madrid potrebbe aver diffuso il morbo. Roma promuove una task force”.
Il Sole 24 Ore “Jobs Act alla prova fiducia. Art 18, si rinvia ai decreti. Stasera il voto al Senato. Il premier: non temo agguati dal Pd. Sindacati divisi: Cisl e Uil aprono, gelo Cgil”. “Squinzi: bene Renzi, oggi chiuda la riforma del lavoro”. Di spalla: “Consulta, l’ira del Colle. ‘Amarezza per i miei appelli inascoltati’. E poi: “Boss presenti all’audizone di Napolitano, ok dai Pm”.
A centro pagina: “Bundesbank: no al piano Bce. Weidmann contro Draghi sugli acquisti di Abs e titoli di Stato. ‘Si diventa ostaggio della politica’”. “Crolla la produzione industriale tedesca: -4 per cento ad agosto”.
Il Fatto quotidiano: “Renzi spacca i sindacati ma va giù nei sondaggi. Jobs Act, il premier convince Cisl e Uil e liquida la Camusso: ‘Padoan è più preoccupato per Juve Roma che per le vostre obiezioni”. “Dubbi dei tecnisi del Senato sul maxiemendamento”. “Il consenso del rottamatore vacilla: -9 per cento in tre mesi”.
In prima anche il processo per la presunta trattativa tra Stato e mafia: “Sì dei Pm a Riina sul Colle. Mancino: ‘Vengo anch’io'”. “Trattativa, domani la corte decide”.
A centro pagina: “Pacchia RaiExpo, 2 sedi, 58 dipendenti per non fare nulla”.
Il Giornale: “Napolitano non conta più”. “Schiaffo dai pm: i boss di mafia possono assistere al suo interrogatorio. La politica lo ignora. Il suo potere è svanito”. “Il tramonto del Presidente”. E poi: “Lavoro, Renzi ottiene il sì del Pd alla fiducia. Sul nulla”.
A centro pagina: “‘Basta matrimoni gay’. Bufera su Alfano. Il ministro vieta la trascrizione delle nozze celebrate all’estero. Rivolta dei sindaci”.
Jobs Act, fiducia, Pd, sindacati
Il Corriere della Sera riassume così nel titolo gli orientamenti del governo: “Tutte le nuove misure (senza articolo 18). Rinviata alle norme attuative la parte sui licenziamenti. Limite ai demansionamenti. Spuntano incentivi per il contratto unico con l’obiettivo di superare i rapporti precari”. “Quello a tempo indeterminato e a tutele crescenti sarà il tipo di contratto ‘privilegiato in termini di oneri diretti e indiretti’. Per questo sarà possibile incentivarlo, sotto forma di taglio dei contributi o dell’Irap da quantificare successivamente con le norme attuative, in modo da renderlo più vantaggioso rispetto ai contratti a termine che altrimenti non avrebbero rivali, specie dopo la liberalizzazione di pochi mesi fa” E con l’obiettivo finale di arrivare al «superamento delle tipologie contrattuali più precarizzanti'”. “Dal pacchetto resta però fuori ogni riferimento alle nuove regole sui licenziamenti e all’articolo 18. La questione sarà confinata ad un semplice discorso che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti farà in Aula Dichiarazioni spontanee, nessuna votazione a seguire. Come indicato nel documento votato nella direzione del Pd, il ministro si impegnerà a mantenere il reintegro nel posto di lavoro per i licenziamenti disciplinari, quelli addebitati al comportamento del dipendente, che dovessero essere giudicati ingiustificati dalla magistratura. Ma solo in alcuni casi limite e comunque rimandando i dettagli al 2015, quando il Jobs act sarà stato approvato anche alla Camera e il governo scriverà i decreti attuativi”.
La Stampa: “Sgravi sui nuovi contratti per favorire le assunzioni”, “più costoso il tempo determinato e saranno superati i cocopro”. Nessun riferimento dunque all’articolo 18 né alle nuove norme sulla rappresentanza sindacale e alla contrattazione aziendale. Vengono invece confermate le aperture alla minoranza Pd sul demansionamento che – scrive La Stampa – dovrà essere regolato dai contratti collettivi ed aziendali, prevedendo criteri più oggettivi e salari invariati. Nel “retroscena” de La Repubblica si racconta che “sminuzzata l’opposizione interna, divisi i sindacati, Matteo Renzi parte oggi per MIlano sicuro che a Roma tutto andrà liscio. ‘Non penso che ci siano rischi. Saranno pochissimi quelli che non diranno sì. E’ chiaro che se il Senato non vota la fiducia, io faccio subito le valigie. Ma visti i numeri di Palazzo Mada, è una ipotesi dell’irrealtà”.
A pagina 2: “Renzi, non temo agguati’.”. E le parole di Bersani: “‘Saremo leali'”, “la minoranza Pd si divide, Civati si appella al Colle”.
Il quotidiano intervista il senatore “dissidente” pd Corradino Mineo: “Scelte insopportabili, pronto a non votare e a lasciare il Senato”.
Su Il Corriere della Sera si legge che “finiti nel cul de sac della fiducia, i dissidenti non hanno via d’uscita”. Per “senso di responsabilià verso il Paese, i senatori ‘democrat’ dell’ala sinistra salveranno il governo e manderanno in soffitta l’articolo 18”.
Pippo Civati ha scritto una lettera-appello al Capo dello Stato contro la “prassi deprecabile” di porre la fiducia su materie “delicate” come il lavoro. “Il deputato che non votò la fiduciaa Renzi fa sapere che alcuni senatori non parteciperanno al voto”. Gli indiziati sono Felice Casson, Walter Tocci, Corradino Mineo, Letizia Ricchiuti (peraltro su Casson si è aperto un caso perché tutto il gruppo Pd ha votato no alla richiesta di utilizzo delle intercettazioni del senatore Azzollini, del Nuovo centrodestra, bocciando così la proposta dello stesso Casson che, da relatore, si era detto favorevole. E per questo si è autosospeso dal gruppo”.
La Repubblica, legando la decisione di Renzi sulla fiducia sulla questione Jobs Act e l’appuntamento di Milano, titola: “Il premier: ‘Ora abbiamo le carte in regola’. Ma Palazzo Chigi valuta il rischio infrazione Ue”. Il quotidiano scrive che l’Italia con il Def ha scelto di non rispettare il percorso stabilito dai trattati, tenendo fede al 3 per cento del rapporto deficit pil ma allontanando il pareggio di bilancio di due anni. E poiché anche il debito pubblico continua a correre, lo spettro di una procedura di infrazione oscura l’orizzonte italiano.
Anche su Il Corriere: “Il giorno del vertice Ue. Con il Jobs Act sul tavolo”. E il retroscena alla pagina successiva: “Una mossa per evitare la troika”, “il capo del Governo e la fiducia per scongiurare il commissariamento dell’Italia. Padoan: se all’Ue non bastasse quello che offriamo non riusciremmo a risalire la china”.
Due intere pagine de Il Sole 24 Ore sono dedicate alla riforma del lavoro: “Incentivi sui contratti a tutele crescenti. Oggi al Senato la fiducia sul maxiemendamento del governo. Nessun riferimento all’articolo 18”. E le parole del presidente di Confindustria Squinzi: “Renzi è un buon politico. Oggi chiuda la riforma del lavoro”, “Tfr in busta paga se a costo zero per le imprese ed esteso anche alle aziende pubbliche”. Poi le stime sull’Italia del Fondo Monetario iInternazionale, così riassunte: “Fmi: bene il Jobs Act, la dualità è un problema”. Si riferiscono così le parole del capo economista del Fmi Olivier Blanchard: “Il dualismo del mercato del lavoro rappresenta un serissimo problema. Perché crea due calssi di cittadini”, “mi sembra che una forma di contratto unico sarebbe la via da seguire”.
Il Fatto: “Su Jobs Act e Tfr si incrina il gradimento di Matteo”, “L’esecutivo perde nove punti in tre mesi. Oggi il provvedimento cercherà la fiducia al Senato. La Ragioneria ha già espresso dubbi sulle coperture”.
La pagina 2 del quotidiano focalizza l’attenzione sul rapporto con i sindacati, dopo l’incontro di ieri a Palazzo Chigi: “Renzi scherza coi sindacati e riesce pure a spaccarli”.
Su La Repubblica: “Cgil da sola in trincea. Camusso: ‘Noi in piazza e non finirà certo lì”. Il “retroscena” spiega che quella di ieri non è stata “certo la giornata della ripresa della concertazione”, ma “qualcosa è successo”, Renzi ha scelto “la via del dialogo sul modello europeo” con i sindacati”. E – aggiunge il quotidiano – “la Cisl, che oggi eleggerà Annamaria Furlan segretario generale al posto di Raffaele Bonanni”, ha visto nell’incontro “gli elementi di una svolta nei rapporti tra il governo e le organizzazioni sindcali”. Diversa la linea della Cgil: ieri Camusso in conferenza stampa ha “marcato le differenze con Cisl e Uil” ribadendo: “‘Nessuno può dire che si è aperta una stagione di contrattazione. Non c’è stato nessun passo in avanti'”.
Su Il Giornale: “Oggi si voterà sul nulla. Il testo è ancora vuoto”, “nell’emendamento spunta il reintegro per i licenziamenti disciplinari. L’idea per il Tfr: nelle buste paga senza costi aggiuntivi per le imprese”. Il quotidiano parla poi, sul fronte sindacale, di “concertazione a metà”: “Anche la Cisl e la Uil si convincono. Contro il Jobs Act la Cgil resta sola”.
Per quel che riguarda il Pd il quotidiano parla di “resa del Pd sull’articolo 18: sì alla fiducia con il naso turato”, “la minoranza anti-Renzi rinuncia anche alle ultime modifiche. Civati furioso con Bersani e D’Alema: hanno cercato a tutti i costi un alibi per votare la riforma”. Civati racconta a Il Giornale: “Bastava fare un documento con 40 firme di senatori Pd che davano l’aut-aut, e Renzi avrebbe dovuto ascoltarci”. “Anche a costo di far cadere il governo, perché – secondo Civati – è chiaro che non si sarebbe andati ad elezioni anticipate prima della legge di stabilità e in pieno semestre europeo. Napolitano avrebbe rinviato Renzi alle Camere e noi avremmo potuto ridiscutere l’intero programma di governo”.
Su La Stampa: “Venti dissidenti M5S pronti a sostenere il premier se introdurrà il reddito minimo”.
E per quel che riguarda il centrodestra, ancora su Il Giornale, attenzione per le “mosse del Cavaliere”: “‘Sul lavoro annunci di destra ma è una riforma di sinistra’, Berlusconi conferma il voto contrario di Forza Italia al Jobs Act. In Calabria strappo con l’Ncd,. Forza Italia formalizza la candiatura della Ferro (si tratta di Wanda Ferro, candidata alla presidenza della Regione).
Infine segnaliamo da La Stampa che le prime tre pagine del quotidiano hanno un dossier sull’emergenza occupazione focalizzato sulla proposta della Fondazione Hume. Ad illustrarlo è Luca Ricolfi: “Con il Job Italia 300 mila posti di lavoro in più”, “riduzione delle imposte pagate dalle aziende sui contratti”. Un articolo illustra il meccanismo che permetterebbe ai lavoratori di percepire l’80 per cento del costo aziendale anziché il 50 per cento come succede oggi. Si tratterebbe in sintesi di permettere alle imprese che aumentano l’occupazione di usare, limitatamente ai posti di lavoro addizionali e per un massimo di 4 anni, uno speciale contratto full time nel quale il lavoratore riceve in busta paga l’80 per cento di costo aziendale, mentre il restante 20 per cento affluisce allo Stato sotto forma di Irpef e contributi sociali. Le nuove tasse che si riscutono grazie ai posti di lavoro che altrimenti non sarebbero mai nati basterebbero a compensare il gettito perso per i minori contributi.
Palermo
Domani la Corte d’Assise di Palermo dovrà stabilire chi e come potrà assistere alla testimonianza del Capo dello Stato presso la Sala del Quirinale, il 28 ottobre, nell’ambito del processo per la cosiddetta trattativa Stato-mafia. Ieri intanto la Procura di Palermo ha detto sì alla presenza in Aula, sia pure con il metodo della videoconferenza, dei boss mafiosi Totò Riina e Leoluca Bagarella.
La Stampa: “La Procura: i boss potranno ascoltare il teste Napolitano”. “Palermo, dai Pm sì alla richiesta di Riina e Bagarella. ‘Udienza a rischio di nullità’. Oggi decide la Corte”.
La Repubblica: “Udienza di Napolitano, dai Pm sì ai boss”. Il quotidiano intervista il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che a Palermo coordina il pool trattativa. Spiega: “Abbiamo il massimo e assoluto rispetto per il Presidente della Repubblica”, “ma c’è il concreto rischio che la mancata partecipazione degli imputati alla udienza al processo al Quirinale possa costituire una nullità insanabile del processo”. Teresi ricorda che nella memoria inviata alla Corte d’Assise viene citato l’articolo della Convenzione per i diritti dell’uomo, che prevede il diritto di un imputato a partecipare alle udienze del suo processo. Però, ricorda il cronista, il Presidente della Corte d’Assise aveva già stabilito con una ordinanza che all’udienza del Quirinale dovessero esserci solo gli avvocati e non gli imputati. Teresi: “L’ordinanza è corretta, richiama l’articolo 502 del codice di procedura penale, che prevede l’esame del testimone a domicilio. Nell’ultimo comma si dice che il giudice, quando ne è fatta richiesta, ammette l’intervento personale dell’imputato interessato all’esame. E all’epoca, nessuno degli imputati ne aveva fatto richiesta. Dunque il giudizio della corte era sospeso. Poi si sono fatti avanti non solo Riina e Bagarella ma anche Mancino (l’ex ministro dell’Interno ed ex presidente del Senato Nicola Mancino ndr) e abbiamo dovuto affrontare una questione di diritto che riguarda tutti gli imputati, non importa il loro cognome”.
Sul quotidiano una analisi di Gianluigi Pellegrino sottolinea come la Costituzione e il codice di procedura penale parlino chiaro, prevedendo che gli imputati hanno pieno diritto di assistere alle testimonianze che il processo raccoglie, pena la sua insanabile nullità. “Istituzioni forti non dovrebbero temere mai l’applicazione delle regole. Nei confronti di tutti”, conclude Pellegrino.
Su La Stampa Francesco La Licata scrive che è stata violata la decenza senza alcuna utilità sul piano giudiziario: “Il capo dello Stato si trova oggi nella scomoda posizione di dover lanciare un messaggio di rispetto verso la magistratura, ma ad un prezzo certamente alto, quale sarebbe il dover condividere uno spazio processuale con i capi dell’Antistato.
Sul Corriere il Quirinalista Marzio Breda sottolinea che l’entourage di Napolitano non commenta in alcun modo questo nuovo passaggio del processo trattativa, con le richieste dei boss mafiosi. Ovvio che però appaia come “l’estremo e coerente capitolo di una sfida lanciata qualche anno fa dai Pm siciliani e da loro non considerata non ancora conclusa”. Il quotidiano scrive che la decisione ultima di quelle clamorose richieste di partecipazione all’udienza da parte dei boss spetta alla Corte d’Assise e al suo presidente, Alfredo Montalto, ed è ovvio che sul Colle si confidi in una scelta tale da preservare il prestigio e la dignità dello Stato: “I rischi dell’impatto simbolico di una simile udienza sono infatti altissimi, estremi”, ossia ‘l’ingresso’ sia pure solo in videoconferenza, di due boss al Quirinale, con la possibilità di interagire direttamente con il padrone di casa”.
Sul Sole 24 Ore un brevissimo editoriale in prima è intitolato “Dignità”: il riferimento è alla dignità delle istituzioni in un Paese. “In Italia stiamo facendo da anni rapidi passi in direzione contraria”.
Il Fatto: “Boss al Quirinale, sì dei Pm. E Mancino: ‘Vengo anch’io'”. Dove si legge che se il Presidente della Corte d’Assise accoglierà le richieste dei due boss “si esporrà” alle “ire di Napolitano” che potrebbe persino (…) ritirare la sua disponibilità a testimoniare. Se deciderà invece di accontentare il Capo dello Stato, escludendo la partecipazione di tutti gli imputati, compreso Mancino, esporrà il processo al perciolo di un annullamento.
Il Giornale: “Lo sfregio dei Pm a Napolitano: boss in udienza con il Colle”.
Nozze gay
Scrive La Stampa che “i sindaci si ribellano” alla decisioone del Ministro dell’Interno Alfano che ieri ha annunciato una circolare per ordinare ai prefetti di rivolgere “un invito formale al ritiro e alla cancellazione” della trascrizione delle nozze gay contratte all’estero da cittadini italiani. In caso di inerzia, ha avvertito Alfano, “si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti che sono stati illegittimamente adottati”. Secondo La Stampa il Presidente del Consiglio vorrebbe al più presto superare questo vulnus legislativo: il nostro modello è la civil partnership, avrebbe detto ai più stretti collaboratori. “E ci arriveremo subito dopo la legge elettorale e le riforme costituzionali”.
Nelle stesse ore il Commissario olandese Timmermans, a Bruxelles, tracciava una rotta opposta a quella di Alfano: “Non è di quest’Europa che qualcuno dello stesso sesso non abbia il diritto di sposarsi”.
La Repubblica intervista il sindaco di Udine Furio Honsell, che nei giorni scorsi ha trascritto il matrimonio tra due donne celebrato in Belgio. Racconta: “Il Prefetto mi aveva già raccomandato di non registrare la prima unione, ma gli ho spiegato che non c’è nessuna legge nel nostro ordinamento che lo vieti”, “per me quell’ordine è carta straccia”, dice, in riferimento alle parole di Alfano.
Internazionale
Le prime tre pagine del Corriere sono dedicate alla crisi in Medio Oriente. Lorenzo Cremonesi offre ai lettori un reportage da Boidi, al confine tra Siria e Turchia: “Nella tempesta di fuoco di Kobane. Colonne di jihadisti e blindati in fumo”. “I curdi sfidano L’Isis in strada, i Jet Usa bombardano Erdogan. ‘La città è perduta’”.
Su La Stampa: “Raid contro l’Isis poco efficaci. L’America prova ad accelerare”. “Dopo i successi da Mosul e Sinjar le bombe non sono riuscite e fermare i jihadisti a Kobani e Baghdad. Ora la Turchia chiede truppe di terra, ed entrano in campo elicottori Apache e istruttori. Basteranno?”
Intanto il Presidente turco Erdogan ha ribadito la necessità di un intervento di terra per salvare la città curda siriana di Kobane che – ha detto – “è ormai sul punto di cadere”. Ma lo ha fatto alle sue condizioni: no fly zone in Siria, e rimozione del Presidente siriano Assad.
E in Turchia, come racconta Marta Ottaviani da Gazyantep, si sono viste scene di guerriglia urbana: i curdi accusano il governo di non voler intervenire per salvare Kobane.
Anche sul Sole 24 Ore Alberto Negri si sofferma sulle condizioni turche per il suo intervento: “La prima è cambiare l’obiettivo della coalizione: non la caccia ai jihadisti ma la caduta del regime di Bashar Assad. La seconda è una no fly zone nel Nord della Siria per contenere l’aviazione di Damasco. La terza condizione è una ‘zona cuscinetto’ in territorio siriano dove trasferire i profughi arrivati negli ultimi tre anni (un milione mezzo in Turchia)”. Ankara, ricorda Negri, teme la guerriglia curda siriana alleata con il Pkk, e per questo “Kobane è stata ostaggio della geopolitica mediorentale e i curdi probabilmente hanno perso un’altra volta, con le loro eroiche donne guerriere e i peshmerga indomiti, costretti di nuovo alla fuga oltreconfine”.