Senato, la riforma è in discesa

Pubblicato il 31 Luglio 2014 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Spending review, Cottarelli lascerà, scontro con Renzi”, “L’uomo dei tagli critica: non coperte le nuove spese”, “Gutgeld pronto a prendere il suo posto a ottobre”.

In grande evidenza una foto da Gaza sotto il titolo: “Bombe sulla scuola e sul mercato. Onu e Usa protestano con Israele”.

In taglio basso: “Senato, bocciata l’elezione diretta. Renzi: ‘Sel? Può togliere il disturbo’”.

A destra, con selfie di due donne sorridenti: “La battaglia del sorriso delle donne di Istanbul”, “Il vice di Erdogan censura le risate femminili, sui social media esplode la protesta”.

“La polemica” raccontata nella parte bassa della prima pagina: “lettera di un professore sulla soglia della rottamazione”, di Piero Boitani.

La Stampa: “Senato, la riforma è in discesa”, “Bocciata l’elezione diretta. Altri 500 emendamenti tagliati, furia delle opposizioni su Grasso. Renzi: l’Italicum può cambiare”.

Sotto la testata: “Bombe sulla scuola. L’Onu contro Israele, ‘E’ una vergogna’”, “La replica: Hamas vi usa come scudo”.

A centro pagina, foto della protesta delle donne turche: “Le donne turche e la rivoluzione del sorriso”, “Trecentomila selfie per rispondere al vicepremier che aveva consigliato di non ridere in pubblico”.

Il Corriere della Sera: “Cottarelli pronto a lasciare”. Al centro, l’Argentina, con foto. “Debiti non pagati. L’Argentina di Kirchner di nuovo al fallimento”. Sempre a centro pagina, Gaza. “Strage alla scuola Onu. L’ira di Ban Ki-moon ‘Atto ingiustificabile’”. In basso anche il quotidiano milanese pubblica la notizia del selfie delle donne turche: “Le donne non ridano’ . E in Turchia è rivolta web”.

Il Fatto: Si vota per tagliare i deputati, Renzi & Grasso nel terrore”, “Oggi in Senato la conta sull’emendamento leghista appoggiato da M5S, Sel e ribelli Pd e Fi che potrebbe sgambettare il premier e le sue truppe a scrutinio segreto. Fortissime pressioni sul presidente di Palazzo Madama per imporre il voto palese”.

E la foto del senatore M5S Maurizio Buccarella che innalza un canguro di pelouche in Aula: “Sindrome canguro. Grasso: ‘Sequestrate subito quel pelouche!”.

In taglio basso: “Già 200mila cittadini contro il Renzusconi”, sull’appello lanciato dal quotidiano.

Poi le parole del nuovo presidente della Corte costituzionale: “Tesauro, missile sulle riforme: ‘Niente fretta’”.

In taglio basso anche la guerra a Gaza: “Gaza, orrore alla scuola Onu e al mercato”.

Il Giornale: “Terrorismo in Senato”. A centro pagina il quotidiano torna a parlare – come faceva ieri, della inchiesta su Finmeccanica: “Una bufala l’inchiesta che infangò l’Italia”. Sempre al centro: “Abbiamo le tasse più alte del mondo”. E ancora, in un box: “Prima comunista, poi anti Cav. Ma ‘l’Unità’ mancherà a tutti”.

Il Sole apre con il “piano antievasione” del governo, e dedica alla politica e al dibattito parlamentare sulle riforme il titolo di spalla. A centro pagina: “Cottarelli, basta spese coperte dai tagli”. “Il commissario minaccia le dimissioni e potrebbe lasciare in autunno”.

Cottarelli

A pagina 2 de La Repubblica: “Cottarelli pronto a lasciare, ‘Nuove spese non coperte, così niente taglio delle tasse’”, “Il commissario alla spending review attacca sul blog, ‘Già autorizzati 1,6 miliardi da finanziare con futuri risparmi’”. Secondo il quotidiano “a far saltare i nervi a Cottarelli è stato il decreto Madia sulla pubblica amministrazione che, con lo scopo di svecchiare i dipendenti pubblici, prevede un maxi-pensionamento anticipato degli statali di 62 anni che ieri è arrivato alle battute finali alla Camera. Un aumento di spesa. Ma soprattutto una norma, introdotta durante una seduta durata fino alle tre di notte nei giorni scorsi, che prevede il salvataggio dei 4.000 insegnanti, rimasti ‘incagliati’ nel 20123, ai quali è stata data la possibilità di andare da quest’anno in pensione con le vecchie regole pre-Fornero di ‘quota 96’. Un’operazione che costa 396 milioni da quest’anno al 2018. Chi è nel mirino di Cottarelli? Il Tesoro, sopo la sortita di Cottarelli, si è affrettato a precisare che ‘non si tratta di una polemica nei confronti del governo’. Tuttavia, oltre all’assalto alla diligenza del Parlamento, ai vari decreti sui quali nessuno ha fatto ancora conti precisi, c’è anche la partita complessiva sul controllo della spesa pubblica, dei conti e dei rapporti con gli organismi internazionali”, come Fmi, Bce, la Commissione europea. Il quotidiano sottolinea che il presidente del Consiglio sta costituendo una “cabina di regia” a Palazzo Chigi attorno al suo consigliere economico Yoram Gutgeld e “la cosa ha lasciato tracce” nel rapporto con il Ministero dell’Economia. Sulla stessa pagina, ancora in riferimento a Cottarelli: “L’ira di mister forbici, ‘Quei parlamentari hanno remato contro’”. Si tratta di un breve colloquio con l’interessato: “ripeto: è un’iniziativa di alcuni parlamentari, non del governo”. A pagina 3: “E ora si consuma il divorzio da Renzi. Gutgeld possibile successore, allo studio manovra da 16 miliardi”, “Lo stesso commissario avrebbe chiesto al premier di essere mandato di nuovo all’Fmi e il trasferimento potrebbe scattare a ottobre. Legge di stabilità, tutto da rifare”, “Secondo il presidente del Consiglio, ‘Cottarelli è bravo, ma non decide’”, “favorito per la regia della spending review il consigliere economico di Palazzo Chigi”, ovvero Gutgeld.

La Stampa: “Allarme di Cottarelli: già spesi i risparmi futuri”, “Il commissario contro la misura sul pensionamento dei prof: così non taglieremo mai le tasse sul lavoro”.

Ed è ancora La Stampa ad intervistare il presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia, Pd che, in riferimento a Cottarelli, dice: “Stia sereno. E’ la politica che decide come usare i soldi”, “richiamo inammissibile”, “con l’intervento sulla quota 96 stiamo riparando a un errore della riforma Fornero che confuse l’anno solare con quello scolastico” e abbiamo “permesso a 4mila insegnanti di avere una cattedra”.

Sul Corriere Sergio Rizzo scrive che il fatto che Renzi “non avesse con il commissario alla spending review la medesima sintonia di Enrico Letta, il quale lo aveva nominato, non era affatto un mistero. Del resto, a dispetto delle voci circolate contestualmente all’arrivo dell’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi, che indicavano Cottarelli come candidato a prendere le redini del Dipartimento economico della presidenza del Consiglio, per lui i mesi trascorsi dall’insediamento del nuovo governo indiscutibilmente non sono stati i più facili. E certo non per la responsabilità del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, con il quale il commissario ha condiviso una lunga militanza negli organismi internazionali, a rappresentare il nostro Paese”. Secondo Rizzo Cottarelli ha dovuto affrontare “ostacoli politici”, e si ricorda che ieri sullo stesso quotidiano ci si chiedeva proprio dove fosse finito il Commissario. “Sappiamo, perché l’ha scritto prima ancora sul «Corriere» Riccardo Puglisi, uno dei partecipanti al gruppo di lavoro coordinato da Massimo Bordignon a cui Cottarelli aveva chiesto un rapporto sui costi della politica, che da marzo sono pronte 25 relazioni su altrettanti segmenti della spesa pubblica preparate da team di esperti. Tutti dossier, immaginiamo ustionanti, che il commissario avrebbe già voluto pubblicare ma che invece restano nei cassetti. E la ragione è semplice: Cottarelli non ha ancora avuto il permesso del governo per renderli noti. Perché dopo tanti mesi non sia arrivato il via libera di Palazzo Chigi si può soltanto ipotizzare. Forse le conclusioni contenute in quei rapporti non sono del tutto condivise? Forse. Il che ci starebbe pure, ma è improbabile che il commissario, e lo stesso governo, non l’avessero calcolato”.

Riforme

Scrive La Repubblica che la riforma del Senato “ha tenuto su un punto chiave della legge”, nel momento in cui ieri Palazzo Madama ha respinto un emendamento del senatore di Fi Augusto Minzolini a favore del mantenimento del Senato elettivo. E Renz “sparge ottimismo”, secondo il quotidiano, poiché la tecnica del canguro (che fa saltare emendamenti simili dopo una votazione che li riassume tutti) gli permette di fare una previsione “impensabile fino a ieri”: “Possiamo chiudere la riforma anche prima dell’8 agosto”. Il quotidiano scrive che il presidente del Consiglio ha confermato la trattativa sull’Italicum: “la riforma elettorale sarà modificata al Senato e diventerà legge definitivamente”. C’è un’apertura, secondo La Repubblica, su preferenze (nel testo dell’Italicum alla Camera le liste sono bloccate), sulle soglie di sbarramento e per il premio di maggioranza. Del resto -sottolinea il quotidiano- le indicazioni di Giorgio Napolitano sono state chiare: giusto procedere velocemente sul Senato, bene riflettere invece sull’Italicum. Su questo potrebbe esserci anche dialogo con il M5s: l’idea di avere solo il capolista bloccato e gli altri candidati votabili dai cittadini è una delle basi della trattativa possibile con Beppe Grillo. Un abbassamento del tetto d’ingresso al 2 per cento sarebbe utile a Sel che, attraverso la Lista Tsipras, ha superato quel quorum. Insomma, il confronto ci sarà sulla legge elettorale e non su altro: “se qualcuno pensa che siamo antidemocratici, può anche togliersi il disturbo di stringere alleanze con noi alle amministrative”, avrebbe detto Renzi ai suoi collaboratori.

Il quotidiano intervista il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini: “L’8 agosto data superabile, ma è assurdo fare solo due votazioni al giorno”. E sull’Italicum conferma: “Sulla riforma del voto disponibili a parlare anche di soglie”. Alle pagine seguenti: “Dall’Emilia alla Puglia, ecco tutte le roccaforti a rischio rottura Sel-Pd”, “La battaglia sulle riforme a pochi mesi da due elezioni regionali. E il prossimo anno si voterà in altre otto”.

Da segnalare sul Corriere un articolo sulla elezione a presidente della Consulta di Giuseppe Tesauro. Anche questa volta si tratterà di una “guida di breve durata (appena tre mesi) rispetto a quella ‘lunga’ di tre anni. Il neopresidente rimarrà in carica fino all’inizio di novembre, quando scadrà il suo mandato alla Consulta; e fino ad allora avrà il tempo di presiedere una sola udienza, poiché per la trattazione delle cause bisogna garantire almeno due mesi di attività. Una situazione molto particolare, che aveva spinto un altro giudice costituzionale nelle stesse condizioni di Tesauro, Sabino Cassese, a ritirarsi ufficialmente dalla corsa. Lui invece no. E subito dopo l’elezione spiega di non provare alcun imbarazzo”. Scrive il quotidiano che Tesauro ha spiegato che “prima di avanzare la mia candidatura ho fatto il giro delle loro opinioni, e quando ho visto che c’erano consensi sul mio nome ho deciso di propormi; se altri hanno svolto considerazioni di altro genere e agito diversamente li rispetto, ma non mi scandalizzo per la situazione che si è creata. Tutto il resto è fantasia, lasciamola esercitare a chi ne ha voglia, anche all’interno della comunità costituzionale”. Tesauro si è espresso anche sulle riforme costituzionali in discussione: “La nostra Carta è bellissima, ma di immodificabile c’è poco. Avrei qualche esitazione a toccare la prima parte, ma la seconda si può perfezionare. Andare veloci per alcune cose va benissimo, mentre per altre è meglio riservarsi una riflessione maggiore, a patto che non ci siano ragioni strumentali. L’importante è chiudere questa fase di revisione con un risultato che vada bene alla maggior parte della nostra comunità sociale”.

Sullo stesso quotidiano il commento di Giovanni Bianconi, che parla di “due occasioni mancate”, sia da parte del Parlamento che da parte della “alta burcrazia dei giuici costituzionali”. “La politica poteva finalmente sottrarsi alle vecchie logiche di baratti e spartizioni, procedendo in tempi rapidi alle nomine che le spettano, scegliendo sulla base di meriti e competenze; l’alta burocrazia dei giudici costituzionali poteva spezzare la consolidata quanto poco gloriosa tradizione di eleggere alla presidenza il più anziano del gruppo, che così prima o dopo (salvo sfortunate eccezioni) tocca a tutti, fosse anche per poche settimane”. E “invece no, né gli uni né gli altri hanno colto l’opportunità”. Il Parlamento in seduta comune è rimasto paralizzato dall’assenza di nomi che mettessero d’accordo maggioranza e opposizione (a parte il Movimento 5 stelle, che ha subito indicato e votato il proprio candidato in tutti gli scrutini andati a vuoto), e ha lasciato il palazzo della Consulta orfano di due componenti; offrendo in questo modo l’alibi ai tredici giudici restanti – o meglio, alla maggioranza di essi – di optare per la soluzione di una guida-ponte, in attesa che venga completato l’organico”.

Argentina

“Argentina in default, falliti i negoziati a oltranza” è il titolo di un articolo sul Sole 24 Ore. Marco Valsania scrive che “per l’esattezza Buenos Aires ha negato l’evidenza: il suo ministro dell’economia Axel Kicillof ha sfoggiato una buona dose di ‘realismo magico’ latinoamericano convocando una conferenza stampa ieri sera per sostenere che, dopo due giorni di incontri a oltranza, le trattative con una cordata di hedge fund ribelli erano fallite. Ma che il suo Paese non era in default. Perché aveva mostrato l’intenzione di pagare, trasferendo a New York i fondi necessari a coprire interessi in scadenza su bond ristrutturati”. Di fatto, “come ha dovuto ammettere lo stesso Kicillof, ‘a Repubblica Argentina ha richiesto una sospensione della sentenza, il giudice ha detto che se gli hedge fund avessero accettato avrebbe decretato la sospensione, ma i fondi avvoltoio non hanno accettato’.

Detto fatto: l’Argentina è, a tutti gli effetti, in default”. Tra le conseguenze, potrebbe “aggravarsi la recessione e l’inflazione”, oggi già al 40 per cento. E “del default se ne e’ subito accorta l’agenzia di valutazione del credito Standard & Poor’s. Prima ancora dell’annuncio di Kicillof, alla chiusura dei mercati di mercoledi’, vista l’impasse S&P ha concluso che il Paese e’ in “selective default”, un rating che corrisponde al mancato pagamento su alcuni dei titoli del suo debito sovrano in valuta straniera”.

Anche sul Corriere: “L’Argentina scivola nel default, il secondo in tredici anni”.

Libia

Il Fatto intervista Roberto Costantini per parlare della crisi libica: Costantini è nato a Tripoli, è ingegnere e scrittore, gran conoscitore del Paese. La Libia rischia di diventare l’avamposto dell’Islam radicale? “Non credo. Fra coloro che hanno vissuto la ‘primavera araba’ i libici sono quelli meno impregnati di ideologia, anche quella che riguarda l’Islam combattente”, “in gioco c’è il potere economico, il petrolio, non è certo uno scontro religioso”, “è una lotta di tutti contro tutti”.

Turchia

Marta Ottaviani su La Stampa e Marco Ansaldo su La Repubblica raccontano la protesta delle donne turche in risposta alle parole del vicepremier Bulent Arinc, che aveva consigliato di non ridere in pubblico: “le ragazze -ha detto- dovrebbero sapere ciò che non è decoroso, come ridere troppo forte in pubblico”. Il 10 agosto si vota in Turchia per le elezioni presidenziali e il premier Erdogan è il superfavorito: Arinc, come ricorda Ansaldo, è uno dei fondatori del partito del premier. L’hashtag coniato per la protesta è #kahkaha (ridere). Oppure #direnkahkaha (resistere e ridere)