SARKOZY SULL’INTERVENTO IN LIBIA: IL PETROLIO NON C’ENTRA

Pubblicato il 12 Aprile 2011 in da redazione grey-panthers
Minacce dell'Isis all'Italia

Le aperture

Il Corriere della Sera: “La Ue boccia Roma sui migranti. Maroni: perché stare in Europa? Per Bruxelles il permesso temporaneo ai tunisini ‘è prematuro’. E Sarkozy schiera i gendarmi a Ventimiglia”. Il titolo più grande è per Berlusconi e il suo “show anti-pm. Discorsi ai sostenitori dopo il processo. ‘Soldi a Ruby per non farla prostituire’. Irritazione dei magistrati”. “Il premier al Palazzo di Giustizia: certe toghe contro il Paese”. In prima pagina anche una foto del presidente uscente della Costa d’Avorio, Gbagbo: “Assalto da film in Costa d’Avorio”. Ieri infatti le forze speciali francesi hanno arrestato Gbagbo dopo un blitz nella sua residenza e lo hanno consegnato ai lealisti del vincitore delle elezioni, Ouattara.

La Repubblica: “Lo strappo di Maroni: via dalla Ue. Al vertice europeo non passa la linea italiana sui permessi temporanei. Telefonata tra il premier e Barroso. Lampedusa: rivolta contro i rimpatri. Napolitano: impensabile. Rottura sui profughi dopo il no di Bruxelles”. A centro pagina, con foto: “Berlusconi show, poi il duello con il pm: ‘Pagai Ruby perché non si prostituisse”. In evidenza in prima pagina anche due commenti: Barbara Spinelli, che scrive di Europa, e Jurgen Habermas (“La politica senza qualità”).

Il Giornale: “La verità su Berlusconi. Pm politicizzati, accuse ridicole, tensione alle stelle: il premier non può essere giudicato a Milano. Il Cavaliere, fuori dal tribunale: ‘I magistrati tifano contro l’Italia, non mi permettono di lavorare'”. Di spalla sulla “emergenza immigrati” un commento dal titolo: “Egoista e insensibile: uscire da questa Europa non è una bestemmia”.

Il Fatto quotidiano: “Le piazzate. Milano. Comizio dell’imputato davanti al Tribunale. I giudici: ‘basta’. Bruxelles: flop del Ministro leghista che dice: usciamo dall’Europa”.

La Stampa: “Maroni: meglio uscire dalla Ue. Il ministro dell’Interno d’accordo con Berlusconi. Calderoli chiede il blocco navale. Parigi: controlli più serrati. Bruxelles boccia la linea italiana sui rifugiati. Napolitano: niente strappi”. A centro pagina: “Il premier: pm contro il Paese. Processo Mediaset, duello in aula tra il Cavaliere e De Pasquale (pm al processo Mediaset, ndr)”. “Lei è cattivo”. “Si contenga”.  Sulla prima del quotidiano torinese (e anche su altri quotidiani) la notizia dell’arresto dell’ex prefetto di Napoli Ferrigno: “Sesso e favori”.

Europa: “Fuori dall’Europa, dicono i leghisti. Ma ci siamo già. Governo umiliato a Bruxelles, il Carroccio rompe gli argini. Incidenti a Lampedusa. Rottura sull’immigrazione. Berlusconi contro Maroni, Napolitano in allarme”.

Libero: “Pornoprefetto anti Silvio. E’ uno dei principali accusatori nel caso bunga bunga. Ora è ai domiciliari per aver estorto sesso a donne (anche minorenni) quando era commissario anti-usura. Il drammatico racconto di una delle sue vittime”. In prima anche – con caricatura – un articolo di Maurizio Belpietro sui richiami della presidente di Confindustria: “Emma senza aiutini (e presto senza posto). Il pianto della Marcegaglia”. A fondo pagina anche un titolo sull’Europa: “Un altro no sugli immigrati. Lasciamo l’Europa. Ancora una volta ci rifila una sòla. L’ira di Maroni”.

Il Foglio apre sulla situazione interna al Pdl: “Cosa abbiamo ascoltato alla cena dei ministri del Pdl, verbale in libertà”. L’articolo, sotto la testata “Il Foglio all’Hotel Majestic”, racconta “l’incontro segreto” della scorsa settimana di otto ministri con i capigruppo in Parlamento del Pdl. “Mano tesa a Tremonti se molla l’amplesso con la Lega, Verdini coordinatore, Alfano in gran spolvero”.

Il Riformista: “Fuga da Silvio. Berlusconi annusa una brutta aria. Si riapre il fronte con Tremonti. Il Pdl è sull’orlo del collasso. E il riavvicinamento tra Montezemolo e Marcegaglia dimostra che dopo l’addio di Geronzi le grandi manovre non sono ancora finite. ‘Ma se credono di pensionare me e Cesare si sbagliano di grosso”. L’altro titolo è per il “figurone”: “Fuga dall’Europa. Maroni torna a casa a mani vuote”. A centro pagina, sulla giornata al tribunale di Milano: “Il primo processo interrotto dagli spot”.

Il Sole 24 Ore: “Marcegaglia: rischi di una stretta sul credito. No allo Stato in azienda. Produzione quasi ferma nei primi tre mesi”. La presidente di Confindustria ha parlato ieri a Lecco, e ha detto di ritenere urgente la riforma del fisco. Il titolo più grande del quotidiano di Confindustria è: “Parmalat, sprint Granarolo. Cordata di Legacoop e allevatori. Il tribunale respinge l’istanza di Lactalis sul rinvio dell’assemblea. Nuovo statuto Cdp: sì all’ingresso in società di interesse nazionale”.

Immigrazione ed Europa

La cronaca de La Repubblica ricostruisce la giornata di ieri a Lussemburgo al vertice dei ministri dell’Interno, riassume la posizione di principali Paesi europei sulla questione immigrazione (unico alleato dell’Italia è Malta) e spiega che il presidente di turno del Consiglio, l’ungherese Pinter, ha chiarito che Maroni ha sostanzialmente approvato le conclusioni concordate per la gestione degli immigrati dal Nord Africa che richiedevano il consenso di tutti i 27 Paesi membri per passare, aggiungendo solo la riserva ‘non sono soddisfatto'”. Un altro articolo spiega che da Bruxelles la Commissaria Malmstroem ha detto: “Il decreto italiano sui permessi di soggiorno rispetta Schengen”. E questa dichiarazione viene considerata “l’unica nota positiva” dal ministro dell’Interno italiano, visto che per il resto l’Europa ha suggerito di “concludere accordi bilaterali più efficaci sulla Tunisia”.
La Stampa spiega che la rottura si è consumata nel dibattito sulle “migrazioni dal vicinato del sud”. Nel testo c’erano le invocazioni di solidarietà e di assistenza ai rifugiati, la richiesta di fondi aggiuntivi e il rafforzamento dell’agenzia che vigila sulle frontiere comunitarie, la Frontex, anche sotto forma di pattugliamento navale, che ampliasse quello già deciso da Italia e Francia. Ma il quadro – secondo La Stampa – era insufficiente per il ministro Maroni, che ha proposto un emendamento per proporre una grande riallocazione continentale degli immigrati clandestini. Fonti della Commissione lo hanno considerato irricevibile, lo spagnolo Rubacalba l’ha definita una “non buona idea” e ha aggiunto che “gli immigrati arrivati in Italia sono illegali e devono tornare in Tunisia”. L’Italia ha ritirato la proposta, senza però porre il veto, come avrebbe potuto.

Giancarlo Loquenzi, su Il Giornale, si sofferma sulla idea di Europa, dell’Europa politica e di quella economica. Idea che si è rivelata “per molti versi un fallimento, o quantomeno un vasto insuccesso”, e che tuttavia è stata trasformata “dalla sinistra” in una “sorta di fede sostitutiva” dopo “il tramonto delle ideologie”. Per questo criticarla è un tabù. E tuttavia “che non esista una politica europea è arrivato ad ammetterlo persino Romano Prodi, che per anni ne è stato una vestale”. Dunque “Berlusconi e Maroni hanno solo colmato un vuoto e detto chiaramente che anche con l’Italia non si scherza”.

Europa intervista Hugo Brady, ricercatore del Centre for european reform di Londra. Ricorda che la cifra dell’esodo, ovvero i 20 mila tunisini, non può paragonarsi con i più di 350 mila profughi provenienti dal Kosovo nel 1999. E aggiunge: “La Francia in particolare accoglie ogni anno, sia in termini assoluti, sia in termini relativi, molti più rifugiati di quanti ne accolga l’Italia”. Sottolinea che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia e di Malta risorse e strumenti, dagli aiuti umanitari alle guardie di frontiera. Brady sottolinea anche che ormai l’immigrazione è diventata “la principale questione politica in ogni Stato”. E che i governanti in tutti i Paesi europei si trovano a dover fare i conti con una crescente ondata di populismo e di demagogia. Del resto, la questione immigrazione sarà il grande tema del Consiglio europeo di giugno, ed è quindi necessario secondo Brady iniziare ad affrontare la situazione in modo complessivo.

Il Corriere della Sera, con il suo quirinalista, sottolinea lo “sconcerto” di Napolitano, che pure nei giorni scorsi aveva ammonito contro posizioni di ritorsione nei confronti dell’Europa. Anche Il Giornale in un retroscena, parla dell’invito alla cautela del Capo dello Stato: “No alle sortite improvvide senza fondamenti”.

Libia

Marta Dassù su La Stampa intervista Dominique Moisi, con cui ha parlato anche della politica interventista del presidente Sarkorzy sulla Libia. Il politologo spiega che il petrolio non c’entra, e che invece hanno contato tre fattori, per Sarkozy: il primo è la cultura specifica della Francia, assimilabile agli Stati Uniti nell’idea di avere una missione universale; il secondo è il carattere di Sarkozy, un “attivista”, un “americano”, che vuol essere giudicato per quello che fa e non per quello che dice, un emozionale che ama i colpi di scena e a cui va benissimo farsi condizionare da Bernard-Henry Levy, l’intellettuale di sinistra che non lo ha votato; la Francia era inoltre stata colta di sorpresa dalle proteste in Tunisia ed Egitto, e Sarkozy ha colto in Libia l’occasione per guadagnare terreno. Sarkozy a parte, Moisi analizza la politica dei willing, l’atteggiamento degli Usa, e sottolinea quanto non sia chiara la situazione in Libia. In particolare “fino a che punto il consiglio transitorio di Bengasi sia visto dalla maggioranza della popolazione libica come una forza nazionale di opposizione a Gheddafi, o rappresenti solo la Cirenaica”. “La verità sta probabilmente nel mezzo”. Secondo Moisi, gli Usa pensano che Gheddafi finirà per cedere, schiacciato dalle sanzioni, ma i tempi sono lunghi. E “il dilemma è chiaro: siamo intervenuti per proteggere Bengasi, ma l’agenda implicita è di liberarsi di Gheddafi. Nel frattempo, l’Europa si è divisa”. L’intervista è molto articolata ma vale la pena di leggerla integralmente.
Su Il Riformista le anticipazioni di una intervista al vicepresidente dei Fratelli Musulmani di Libia, Al-Malik, che verrà pubblicata dalla rivista Limes: “Non abbiate paura di noi Fratelli libici”, titola il quotidiano, riassumendo che “il numero due della Fratellanza Musulmana racconta la lotta clandestina contro il rais, ‘grazie anche a finanziamenti europei’. Oggi “riconosciamo il Cnt’, ma domani la costruzione della democrazia passerà ‘anche da noi’. E dall’Islam. Senza epurazioni stile Iraq”.

E poi

Ieri è entrata in vigore in Francia la legge che proibisce l’uso del velo integrale e due donne hanno deciso si sfidare il divieto, nel corso di una manifestazione davanti a Notre Dame. Erano una ventina, secondo La Stampa, che ricorda come in tutta la Francia siano circa 2000 le donne che hanno scelto di portare il burqa. Ieri ha parlato un sindacalista dei poliziotti, Emmanuelle Roux, espressione di coloro che la legge dovranno applicare, sottolineando come questo sarà il versante più problematico. La legge non prevede l’uso della forza, ma il ricorso alla persuasione o, in caso non si riesca a convincere la donna a togliersi il burqa, il trasferimento ad un commissariato, per poi chiedere al Procuratore della Repubblica come comportarsi. “Ancora una volta si chiede alla polizia delle soluzioni che la società, i partiti e il parlamento non sono riusciti a trovare”, dice il poliziotto. La Stampa intervista l’imam di Drancy, autorevole presidente della conferenza musulmana di Francia, e detestato dagli estremisti per aver detto, tra l’altro, che la shoah è “una ingiustizia senza uguali”. Dice: “Il burqa non ha senso in Francia, un Paese dove le donne votano dal 1945. E poi il burqa non è l’islam, l’islam non obbliga nessuno a coprirsi. Non è una prescrizione religiosa, ma solo una prigione per le donne e uno strumento di dominazione sessista”. A chi sostiene che deve esserci libertà di indossarlo, risponde: “E’ inaccettabile la costrizione, ma è inaccettabile anche violare la legge che obbliga tutti a essere riconoscibili”. Per l’imam di Drancy i difetti della legge sono la sua difficile applicazione ed il fatto che manchi del tutto l’aspetto pedagogico, “di educazione delle giovani musulmane, come si è fatto per il velo a scuola”. Dal punto di vista politico sottolinea che è chiaro che si sia scelto “l’islam come bersaglio” per recuperare i voti dell’estrema destra. “Ma così, paradossalmente, rendono più difficile l’affermazione dell’islam moderato e contro ogni integralismo. Per questo non ho partecipato al dibattito sulla laicità organizzato dall’UMP (il partito di Sarkozy, ndr) che pure mi aveva invitato”.
Sul Corriere della Sera Roberto Tottoli sottolinea l’importanza di un “principio condivisibile” a tutti i Paesi europei, che è la necessità di “rendere riconoscibili” le proprie generalità in un luogo pubblico, che il burqa rende impossibile. D’altra parte la legge francese si occupa soltanto di 2000 donne, e si è ottenuto in risposta lo sparuto protagonismo di poche donne, spesso convertite all’islam, che hanno fatto del burqa una bandiera identitaria. Spetta a coloro che costituiscono la maggioranza, su un fronte e sull’altro, far sentire la propria voce; gli alfieri del multiculturalismo senza limiti dovrebbero denunciare derive aberranti, e i musulmani, sull’altro versante, dovrebbero far sentire la propria voce non soltanto per difendere le libertà di chi indossa il burqa, ma anche quella “delle tante donne che non si mettono nulla, musulmane ed europee come le altre”.
Sul Foglio Nidra Poller racconta cosa è accaduto nel corso del dibattito sulla laicità che si è tenuto a Parigi la scorsa settimana.

Il Foglio offre ai lettori l’analisi di Matthew Kaminski, membro dell’editorial board del Wall Street Journal, che ha interpellato tutta la composita leadership dei Fratelli Musulmani in Egitto: “Una settimana insieme ai Fratelli musulmani in Egitto. Ecco le loro risposte su Mubarak, Israele, l’estremismo, il futuro”.

Su La Repubblica, alle pagine R2 cultura, un articolo del direttore di Reset Bosetti recensisce il libro che Renzo Guolo ha dedicato al rapporto tra Lega e Chiesa, dal titolo “chi impugna la croce”. Si parte dalla constatazione che, confrontando la geografia elettorale di oggi con quella dell’era democristiana, si scopre che una trentina di province dove la Dc aveva le sue casseforti di voti, da Treviso a Biella e Cuneo, passando per tutto l’arco prealpino, sono le stesse dove la Lega tiene ora i suoi forzieri.

(Fonte: Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)