RASSEGNA STAMPA : nuova inchiesta in Lombardia

Pubblicato il 17 Ottobre 2012 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della Sera: “Così cambiano le tasse. Cantieri più veloci, meno tutele per le zone vincolate. Le misure del governo. Appello di Monti sui tempi. Squinzi attacca: scelte non incisive”.

Il Sole 24 Ore dà la parola al presidente di Confindustria: “’Nulla di incisivo per ripartire’. Squinzi: modifiche all’Irpef importanti per le famiglie, non per le imprese. Per il Presidente di Confindustria mancano provvedimenti efficaci su ricerca, innovazione e infrastrutture”. Di spalla una intervista al ministro dell’economia Grilli: “Dalle dismissioni i fondi per i crediti Pa. ‘Sulla retroattività in Parlamento si può cambiare’”.

Libero: “Così il fisco spia ci entra nel conto. Tra pochi giorni scatta l’obbligo per gli istituti di riferire all’Agenzia delle entrate ogni movimento sui nostri soldi. Ecco come funzionerà e che cosa succederà”. In prima pagina l’editoriale di Maurizio Belpietro è dedicato alla questione Sallusti-diffamazione. Belpietro spiega che un magistrato gli ha detto che se passa la nuova legge sulla diffamazione “voi giornalisti potete anche chiudere bottega. Forse non finirete in galera, ma di sicuro avrete finito di fare il vostro mestiere”.

Il Giornale si occupa del suo direttore: “La casta dei politici ricondanna Sallusti. Camera e Senato affossano la legge che cancella il carcere per i reati di opinione. E le toghe ‘nascondono’ gli atti”. Dalla Procura di Milano e dalla Cassazione non è ancora partito l’ordine di carcerazione, a partire dal quale scattano i trenta giorni entro i quali il condannato – se non chiede l’affidamento ai servizi sociali – dovrebbe entrare in carcere. Sallusti scrive che “a differenza di quanto avviene per un cittadino qualunque”, la notifica non è ancora partita. “Come mai un trattamento di favore no n richiesto. Cosa c’è, vi vergognate di quello che avete fatto? Coraggio, tirate fuori le palle e soprattutto non fate giochini strani sulla mia pelle”.

L’Unità: “Una manovra spericolata”. E poi: “Bersani: non chiederò a D’Alema di candidarsi”.

La Stampa: “Bersani scarica D’Alema. ‘Non gli chiederò di candidarsi’. L’ex premier: decide il partito. Lombardia, Formigoni: prima giunta tecnica, poi il voto. E ferma la corsa a governatore di Maroni”.

La Repubblica: “Formigoni: un altro scandalo”. “Inchiesta a Bergamo sulla Regione. Appalti di favore alla Compagnia delle opere. Pirellone: Berlusconi sponsor di Maroni”. E poi: “Bersani: non chiedo a D’Alema di candidarsi. La replica: non decide lui”.

Il Fatto quotidiano: “Bersani rottama D’Alema”.

Pubblico: “Non moriremo dalemiani”.

Lombardia

C’è una nuova indagine sulla giunta Formigoni. Sotto accusa è una delibera che, secondo La Repubblica, è stata approvata dalla Giunta, su proposta del presidente Formigoni, senza mai passare in consiglio. Soprattutto, secondo il quotidiano, non compare sul bollettino ufficiale della Regione.

La delibera sarebbe stata voluta dall’imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli per trasformare una cava in discarica di amianto, per la quale avrebbe pagato l’ex assessore regionale Nicoli Cristiani: quella delibera, secondo Il Fatto, è il fulcro dell’inchiesta milanese che ha messo sotto accusa per corruzione i vertici bergamaschi della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione. In cambio del pressing sulla Regione per autorizzare l’azienda Cave Nord dello stesso Locatelli, i vertici bergamaschi della Compagnia delle Opere avrebbero ricevuto da lui “centinaia di migliaia di euro” e “lavori gratuiti alla scuola ciellina della Fondazione Imiberg” di Bergamo, legata a Comunione e Liberazione. Secondo La Repubblica i lavori che hanno rimesso a nuovo una intera ala dell’istituto e che potrebbero sembrare un esempio della “efficienza lombarda” decantata da Formigoni sarebbero una tangente pagata per sbloccare le autorizzazioni per la cava di amianto. La Regione replica con una nota: “La norma prevede da sempre che sul Bollettino si pubblichino le delibere che hanno diretta rilevanza per i cittadini, e che invece si pubblichi solo il titolo quando si tratta di un atto di indirizzo interno, come nel caso della delibera su Cappella Cantone, ovvero la cava di amianto.

Sul Corriere Dario Di Vico traccia uno “scenario” dal quale si evince come Comunione e Liberazione stia da tempo impegnata a prendere l edistanze da Roberto Formigoni: diversi esponenti del movimento arrivano a sostener che, fosse stato per loro, Formigoni sarebbe diventato presidente del Senato e non avrebbe dovuto ricandidarsi alla presidenza della Regione Lombardia. Cl sta tentando disperatamente di chiudere la parentesi formigoniana, ma anche di distanziarsi da Berlusconi. In questi anni la forza di Cl è stata la sua capillarità, la rete di welfare minimo, che protegge anche dalla globalizzazione: ma a differenza della Caritas, i ciellini hanno sempre tramutato l’empatia sociale in una macchina capace di produrre preferenze e consenso da negoziare con il mondo politico”. La macchina elettorale di Cl funziona con stile Pci vecchia maniera, dove tutti hano sempre saputo le cinquine da votare e far votare: solo una defaillance, quella delle ultime comunali di Milano, quando Cl non è riuscita ad impedire la vittoria di Giuliano Pisapia. “I dietrologi sostengono che non sia stato casuale e che il Celeste non amasse Letizia Moratti e preferisse non averla tra le scatole in previsione dell’Expo, ma la verità nn è mai stata acclarata, e comunque al momento opportuno Pisapia non ha onorato la cambiale”.

Su La Repubblica si trova una “inchiesta” di Curzio Maltese, dove si racconta come, per la Regione Lombardia, il centrosinistra fiuti la rivincita: “E’ caccia a un nuovo Pisapia”. Tra i possibili candidati, Umberto Ambrosoli, avvocato penalista figlio di Giorgio. Ma anche Pippo Civati, un “renzi lombardo” che potrebbe incarnare la voglia di cambiamento; Alessandra Kustermann, medico e fondatrice di una associazione a tutela delle donne: Bruno Tabacci, che è stato vicepresidente della Regione negli anni 80.

Governo

Secondo Il Fattto quotidiano nel ddl semplificazioni approvato ieri in Consiglio dei ministri c’è una norma “salva Ilva”. Lo ha denunciato il presidente dei Verdi Bonelli. La norma dice che nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria nonché quelli richiesti dalla necessità di dare adeguamento a norme di sicurezza e più i generale tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionale e utili alla operatività degli impianti produttivi e allo sviluppo della produzione”. Bonelli ieri ha detto: “Pretendiamo che il governo, e in particolare i ministri Clini e Passera, diano spiegazione a questa norma ad aziendam e altre cose di quel che testo ci lasciano allibiti”. Altri punti: abolizione del silenzio-rifiuto in materia di edilizia, quel meccanismo per cui una non risposta della Pa equivale al divieto di iniziare i lavori. “Si apre in sostanza la porta al silenzio-assenso”, scrive Il Fatto, anche “laddove l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”, e si dimezza a 45 giorni il tempo a disposizione delle Soprintendenze per i pareri.

Sul Sole 24 Ore: “Nelle semplificazioni bis stop al ‘silenzio rifiuto”. E si spiega che “la pubblica amministrazione non potrà più rimanere inerte nel caso n cui venga chiesto un permesso di costruire in presenza di un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale. In base alle nuove regole questo silenzio non è più ‘significativo’, non ha cioè più il valore di un diniego. Resta quindi assolutamente ferma la ‘necessità che l’amministrazione concluda il procedimento di rilascio del permesso di costruire con un provvedimento espresso’. Anche nel caso di esito negativo del procedimento di rilascio del titolo abilitativo’. L’obiettivo è quello di dare maggiori certezze ai soggetti privati interessati’”.

Europa

Il Corriere della Sera intervista il capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard, che “spiega la sua ricetta” a favore “dei due grandi Paesi periferici”, cioé Italia e Spagna. Blanchard spiega che quello che “ha cambiato tutto” è stato “l’annuncio dell’OMT, l’Open market transactions”, cioé il piano della Bce per l’acquisto dei titoli di Stato. Prima si discuteva sulla taglia del sistema di protezione e ci si chiedeva se ci sarebbero stati i fondi sufficienti a finanziare i Paesi della periferia qualora i mercati fossero diventati ostili. Non era chiaro che i soldi sarebbero bastati. Ora sappiamo che – se l’Omt scatta – la rete di sicurezza della Bce sarà larga a sufficienza. E’ una grossa novità”. La Bce vuole coinvolgere il Fondo Monetario Internazionale nel controllo dei Paesi sotto il programma. Accetterete le condizioni determinate dall’Europa? “Decisamente no. Abbiamo le nostre regole e se saremo della partita sarà sulla base di queste. Non potremmo accettare un ruolo di monitoraggio di un programma sul quale non siamo d’accordo”. Blanchard spiega anche che l’unione bancaria europea “è indispensabile”, anche se bisogna essere realisti e accettare che ci vorrà tempo per metterla in pratica. Probabilmente a un passo irregolare. >E anche l’unione fiscale è necessaria, è evidente, ma anche qui la portata e il livello dell’ambizione restano in gran parte da precisare”.

Primarie

Ieri nel corso di una intervista a Repubblica Tv Bersani aveva dichiarato: “Non chiederò a D’Alema di ripresentarsi”.

La Repubblica intervista l’ex premier Massimo D’Alema: “Polemica? Ma quale polemica! Io sono perfettamente d’accordo con il mio segretario”, “Pierluigi ha detto una pura e semplice verità, che chiunque conosce le regole e lo statuto del nostro partito può facilmente verificare. Non è il segretario che decide le candidature, c’è una procedura prestabilita e un organo preposto. Quell’organo si chiama Direzione”. Non chiederà quindi una deroga allo Statuto? “Non è un tema all’ordine del giorno, valuterò quando sarà il momento, il che significa tra alcuni mesi”.

Ribadisce di non voler polemizzare con Matteo Renzi, né con chi “invoca il cambiamento”: “Renzi non mi interessa, ma mi interessa molto, invece, l’operazione politica che sta dietro la cosiddetta ‘rottamazione’. A quella mi oppongo, perché la trovo ingiusta e dannosa”. Dannosa per il partito, perché “le primarie sono un grande evento, un grande fatto politico che alimenta il pluralismo e la democrazia. Ma perché questo succeda le primarie devono avvenire in un clima di coesione e di consenso, non di rissa personale sistematica e quotidiana. E allora, mi chiedo e le chiedo, a chi giova mettere ogni giorno Bersani contro qualcuno di noi, o qualcuno di noi contro Bersani?”. Infine: “Se c’è qualcuno che pensa che io sia ormai un cane morto, beh, credo proprio che in termini di consensi reali, nel partito e nel Paese, si stia sbagliando, e se ne accorgerà”.

Sul Corriere della Sera lo scrittore Francesco Piccolo, elettore del Pd, spiega perché non andrà a votare alle primarie. “Servono solo a dividere, il Pd ne uscirà sconfitto”. Le primarie “solo lo specchio di una democrazia ‘meticolosa’ sempre più simile al populismo”: così il quotidiano sintetizza il pensiero di Piccolo. “C’è ogni volta una straordinaria beatitudine tra coloro che si mettono in fila nei seggi improvvisati, si contano come tanti, e pensano che a prescindere dalle elezioni stanno dando una grande lezione di democrtzia. Questa felicità è superflua: la conta dei votanti del centrosinistra si fa il giorno delle elezioni, quelle vere. E’ lì che bisogna mettersi in fila”.

Il Foglio offre un ritratto dei “giovani rottamatori parzialmente paralleli” Renzi e Alfano. Il primo dice “Adesso!”, il secondo mormora “E adesso?”.

Su Pubblico Fabio Mussi consiglia a D’Alema di “non farsi tirare per la giacca, non farsi cacciare, non impuntarsi. La cosa migliore è un passo indietro spontaneo. Si può vivere anche fuori dal Parlamento. Perché i miei antichi compagni non lo capiscono?”.

L’Unità si occupa ampiamente di questo tema, con gli interventi dell’europarlamentare Pd Roberto Gualtieri (“La candidatura non c’entra, sotto attacco è una storia”, la campagna contro D’Alema rappresenta il complemento dell’appello agli elettori Pdl) ed un commento del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e del segretario Pd della Toscana Manciulli: “Rinnovare, non rottamare, per far vincere le capacità, con la proposta di creare in Italia” una scuola di alti studi politici e amministrativi sull’esempio dell’Ena francese, “capace di una forte capacità selettiva ed aperta a tutti, senza distinzioni di censo e senza essere ostaggio del vizio tutto italiano della raccomandazione, il cui scopo è avviare la formazione di una classe dirigente di livello europeo”.

Nelle pagine seguenti una intervista a Bruno Tabacci, esponente di primo piano di Alleanza per l’Italia e candidato anche lui alle primarie. Dice di aver già raccolto 15 mila firme sulla propria candidatura, e ribadisce: “Sulle regole non ho sollevato alcuna obiezione, ma nessuno può obbligarmi a firmare quella carta di intenti che non dice niente sul ruolo di Monti e Napolitano in un momento in cui l’Italia stava per fallire”. Spiega che quella Carta rappresenta la sintesi tra partiti di ispirazione socialista o addirittura postcomunista. Quella che non è la mia storia, eppure anche su quel documento c’è scritto che la coalizione deve allargarsi a forse di centro. E allora? Perché non hanno coinvolto anche il sottoscritto nella stesura?”.

Giustizia

Su L’Unità il magistrato Antonio Ingroia interviene “a distanza di qualche settimana dal comunicato con il quale l’esecutivo di Magistratura democratica ha stigmatizzato” alcune sue “pubbliche esternazioni”. Per Ingroia da una parte prevale “ipocrisia”, quando si ribadisce a parole “il diritto di tutti i cittadini, magistrati compresi, di partecipare al dibattito politico su certi temi, quantomeno quelli inerenti alla materia professionale di ciascuno”, e dall’altra “cresce l’intolleranza verso il pensiero critico, quando il diritto, pur riconosciuto a parole, viene negato quando usato per interventi forti o in contesti ritenuti aprioristicamente ‘sbagliati’, improvvidi o inopportuni”. “Il magistrato che partecipa al dibattito politico fa politica?”, si chiede Ingroia. E si risponde: “Certo che la fa. Deve fare politica. Sono stupefatto che questo non venga capito, o si dica di non capirlo”. Per Ingroia “Magistratura democratica è nata per smascherare il dogma ipocrita della neutralità e apoliticità della giurisdizione”. Ingroia rivendica dunque il suo diritto ad intervenire, come accaduto al congresso dei Comunisti italiani, alla Festa de Il Fatto e via dicendo, e denuncia il rischio di restare vittime di una progressiva autocensura, regalando praterie all’avversario: “Giocare sempre in difesa sa già di sconfitta”.

Su Il Fatto quotidiano il magistrato Bruno Tinti riparte dalla lettera che l’allora consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio scrisse a Napolitano, allorché stigmatizzava “le criticità e i contrasti” tra le Procure sulla questione dei procedimenti sulle stragi. Il problema – per Tinti – è se è legittimo che D’Ambrosio e Napolitano se ne dovessero occupare. Per Tinti la risposta è no, poiché il sistema ha i suoi equilibri: esistono le Procure distrettuali antimafia in ogni corte d’appello, poi c’è la Procura nazionale antimafia, e la direzione nazionale antimafia, che ha poteri di coordinamento: se non riesce a coordinare può avocare l’indagine. Fino ad arrivare ad un possibile ricorso, se ci sono contrasti, alla Procura generale della Cassazione, che decide quale DDA, cioè quale Procura distrettuale antimafia debba occuparsi della indagine. Lo stesso Procuratore generale della Cassazione ha un potere di vigilanza sulla DNA. Dunque, nessuna norma coinvolge la presidenza della Repubblica nel sistema.

Internazionale

Ieri i quotidiani davano conto delle polemiche legate alle responsabilità dell’Amministrazione Usa nella morte dell’ambasciatore Stevens, il rappresentate Usa a Bengasi. Inizialmente si era spiegato che, sull’onda delle manifestazioni di protesta per il video Innocence of muslim, c’era stato un assalto alla sede diplomatica Usa che aveva causato la morte dell’ambasciatore. Successivamente si era rivalutata la spontaneità della rivolta ed i Repubblicani avevano attaccato l’Amministrazione per aver sottovalutato gli allarmi dei giorni precedenti sull’imminenza di alcuni attacchi. Anche sul fronte delle responsabilità, il vicepresidente Biden, rispondendo al suo omologo Ryan, aveva scaricato sul Dipartimento di Stato Usa le colpe. Ieri ha partato la titolare, Hillary Clinton: “Mi assumo tutte le responsabilità. La sicurezza del personale diplomatico è competenza del Dipartimento di Stato. Non voglio lasciare spazio a speculazioni politiche su questa vicenda”. Questa sua uscita solleva in qualche modo il Presidente Obama, togliendo un argomento ai suoi oppositori. Che però rincarano la dose, come spiega il Corriere, visto che tre senatori di peso della destra come McCain, Lindsay Graham e Kelly Ayotte, in una nota, hanno commentato: “Gesto lodevole quello di Hillary Clinton, soprattutto rispetto a un Obama che evita di assumersi le sue responsabilità. Ma la responsabilità per la sicurezza degli Americani c’è l’ha, in ultima analisi, il comandante in capo che è alla Casa Bianca”. Il quotidiano intervista la scrittrice femminista Ayelet Waldman, che loda Hillary Clinton, dice che si è dimostrata “un vero capo”: “E’ una icona, questo episodio la rafforza, ora può candidarsi per il 2016”.

Su La Repubblica, alle pagine R2, una inchiesta sugli Usa e il voto dei “super ricchi d’America”: “La dittatura dell’1 per cento”. “Un pugno di miliardari detiene la ricchezza. Finanziano Romney e spiegano ai propri dipendenti: se vince Obama, andate a casa”. Spiegano Federico Rampini e Vittorio Zucconi che a poche settimane dalle elezioni i paperoni Usa si riuniscono a New York, in un evento il cui scopo è contrastare la superiorità di Obama nella raccolta fondi e creare una cassaforte di contante a disposizione di Romney.

Rete

Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera si occupa della valutazione dei lavori dei docenti universitari che possono pesare nei curriculum. Nella selezione dei nuovi docenti contano le ricerche pubblicate. Ma dove? Tre settimane fa i professori e i ricercatori che animano Roars.it, un blog che si occupa di politica universitaria, hanno denunciato che tra le pubblicazioni scientifiche sottoposte alla valutazione dell’Anvur (Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca) c’erano non solo “Il Sole 24 Ore”, ma anche “Etruria Oggi”, “Yacht Capital”, “Airone”, “Barche”, “Nautica”. Fino al periodico “Suinicultura”.

Nicola Lagioia, su La Repubblica, pagine della cultura, cita l’opinione di Peter Stothard, direttore del Times Literary Supplement, secondo cui “l’ascesa dei blog letterari danneggia la letteratura e rischia di abbassare il livello della critica”. Lagioia contesta questa opinione, che ha scatenato molte polemiche sul “dilettantismo digitale”. In Italia, è spesso vero il contrario: “Non di rado da noi le riflessioni più raffinate sui libri, le discussioni più complesse sull’industria culturale, i giudizi più appassionanti e disinteressati sulle ultime uscite sono online. E spesso proprio a firma di addetti ai lavori. E’ vero che la rete è il regno del populismo e dell’insulto in progress. Eppure, ai margini di questo quinto cerchio, sta guadagnando spazio una aristocrazia senza terra da cui molti critici avrebbero qualcosa da imparare”. Se in Italia la critica si lamenta di qualcosa, “non è di internet (mondo che spesso ignora) ma della propria perdita di influenza, da imputare allo show business risalito fino alle terze pagine. Si valorizzerebbe ciò che si vende al chilo, e nell’abbraccio tra editori e organi di informazione resterebbe schiacciato il pensiero critico”. Per Lagioia questo è vero fino ad un certo punto, ma nessun intellettuale si lascia scoraggiare da condizioni sfavorevoli. Bulgakov non avrebbe scritto Il Maestro e margherita sotto Stalin, per fare un esempio. Tra i blog si segnalano “Nazione Indiana”, “404 file not found”, “Doppiozero”, “Mimima&Moralia”. E si ricorda che in Francia e negli Usa alcune grandi firme hanno deciso di passare nel cyberspazio.

Da La Repubblica segnaliamo anche la vicenda di Amanda, giovane canadese suicida sottoposta ad anni di angherie e ricatti web ad opera di un mostro che l’aveva costretta a spogliarsi e poi aveva spedito il suo topless su internet. Annymous, gli hacker più temuti di internet, sono andati alla ricerca del colpevole e lo avrebbero scovato in un trentenne della British Columbia. La polizia canadese per ora frena.

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini