Gran parte dei quotidiani dedica il titolo di apertura alla decisione del Presidente della Repubblica di sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale per le telefonate intercettate dalla Procura di Palermo (nell’ambito della inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia).
Il Corriere della Sera: “Quirinale contro i pm di Palermo. Napolitano, intercettato al telefono con Mancino, solleva il conflitto tra poteri dello Stato”
La Repubblica: “Intercettazioni, il Colle contro i pm. Trattativa Stato-mafia, sollevato il conflitto di attribuzione. La Procura di Palermo: noi corretti. Anche Firenze ha registrato una telefonata del presidente”. “Napolitano chiama in causa la Consulta: ‘Lese le prerogative del Quirinale’”.
Il Fatto quotidiano: “Napolitano arresta la Procura di Palermo. Per far distruggere le sue telefonate con Mancino nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, il Quirinale solleva un conflitto di attribuzioni alla Consulta contro i pm. Che replicano: ‘Abbiamo seguito la legge’”.
Il Giornale: “Solo ora Napolitano capisce. Denunciati i pm per le sue intercettazioni illegali. Ma su Berlusconi lasciò fare. Scontro Quirinale-magistrati”.
Libero apre con “la rivolta” nel Pdl: “An va in piazza contro Forza Italia. Organizzata una manifestazione per il 26 luglio. Obiettivi: chiedere le primarie per scegliere il leader del centrodestra. Silvio prova a tenere buoni tutti: vi ascolterò. Ma non gli credono”.
Il Sole 24 Ore apre con lo spread, che “sfiora 500. Fmi striglia la Ue. Per il Fondo Italia e Spagna pagano tassi ingiustificati, l’Europa deve ‘agire subito’”. Intanto però la Corte Costituzionale tedesca deciderà solo a settembre sul fondo salva-Stati. L’annuncio ha influenzato negativamente gli andamenti dei mercati. “Il miope egoismo di Berlino” è il titolo di un commento di Adriana Cerretelli.
Napolitano
Nel decreto presidenziale con cui il Capo dello Stato ha sollevato conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale si rimanda all’articolo 90 della Costituzione a alla legge 2019 del 1989 relativamente ai casi in cui si può procedere contro il Presidente della Repubblica: “A norma dell’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 – salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa – le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione”, dice tra l’altro”.
Nel decreto Napolitano scrive anche che “comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l’avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l’intento di attivare una procedura camerale che – anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto – aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte;
Il Sole 24 Ore spiega il comunicato con cui ieri il Presidente della Repubblica ha annunciato la sollevazione del conflitto davanti alla Corte Costitutuzionale, con citazione di Luigi Einaudi: “Affinché non trasmetta al mio successore alcuna incrinatura nelle facoltà che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato”. Napolitano infatti è giunto alla fine del suo settennato, e “avallare un precedente vorrebbe dire consentire la lesione del ruolo del presidente della Repubblica, non solo per lui che lo incarna oggi ma per chi lo rivestirà dopo dopo il maggio 2013″.
Marzio Breda, sul Corriere della Sera, racconta che “la svolta che ha fatto precipitare le cose è avvenuta il 22 giugno. Quando Nino di Matteo, uno dei pm titolari del fascicolo, ha detto in una intervista che esistevano anche le bobine e le trascrizioni di alcune telefonate tra l’intercettato Mancino e il presidente della Repubblica. Spiegando poi che, per quanto fossero ‘non minimante rilevanti’, non sarebbe stato subito distrutto il testo di quei colloqui (forse due, ma il numero esatto non si conosce) registrati in via occasionale. E che anzi, chissà, avrebbe potuto essere utilizzato per altri fatti da sviluppare. Lasciando così allusivamente intendere che quella sensibilissima documentazione sarebbe stata comunque messa agli atti. A disposizione dei difensori delle parti, e dunque fatalmente resa pubblica. E’ stato allora che Giorgio Napolitano ha deciso di passare alle vie formali. In primo luogo con una sorta di esplorazione, affidata all’avvocato generale dello Stato, sulle reali intenzioni della Procura di Palermo. Le risposte raccolte non hanno offerto alcun chiarimento soddisfacente. Di più: una nota scritta dal procuratore capo, Francesco Messineo, integrando in qualche maniera la sortita di Nino di Matteo, confermava la sgradevole sensazione che le conversazioni private del presidente della Repubblica, sottoposte a una molto impropria (perché costituzionalmente vietata, al pari delle intercettazioni) valutazione, potessero ben presto finire nel velenoso tritacarne delle polemiche politico-mediatiche di questi mesi”.
Breda spiega dunque che ieri Napolitano ha voluto investire del tema la Corte Costituzionale, istituzionalmente deputata a decidere in prima istanza dell’ammissibilità della questione sollevata dal Colle e poi, in caso affermativo, ad esprimere un giudizio di legittimità, deliberando sulla correttezza o scorrettezza dei giudici di Palermo. E’ vero: il capo dello Stato avrebbe potuto chiamare in causa il Consiglio superiore della magistratura, che comunque ha il potere di attivarsi autonomamente. Tuttavia, in quella sede si potrebbe approfondire soltanto il profilo disciplinare dell’azione dei magistrati coinvolti. Mentre la Consulta assicura invece un risultato definitivo, inoppugnabile, all’esigenza di sciogliere i nodi interpretativi.
Su Il Fatto quotidiano si rievoca un possibile precedente: nel 1993 l’ex presidente Scalfaro fu intercettato dalla Procura di Milano, allora diretta da Francesco Saverio Borrelli, mentre parlava con l’allora presidente della Banca Popolare di Novara, Carlo Piantanida, intercettato dalla Guardia di Finanza. Il quotidiano intervista Gerardo D’Ambrosio, già nel pool di Mani Pulite e oggi senatore Pd: “Noi depositammo la telefonata perché non esiste una norma che permetta di distruggere le telefonate senza nemmeno sentire le parti. Questa norma non c’era allora e non c’è nemmeno adesso”, dice D’Ambrosio. Secondo il senatore ex pm, quindi, al momento non esiste una legge che stabilisca che le conversazioni del Capo dello Stato non sono intercettabili né utilizzabili mai, anche se indirette: e se la si introducesse “voterei contro”.
Per tornare al Corriere, una intervista a Valerio Onida, costituzionalista ed ex presidente della Consulta, secondo cui l’iniziativa del Colle è corretta, poiché si può ascoltare il Quirinale solo per alto tradimento.
Europa
La Corte Costituzionale tedesca ha deciso ieri che non renderà prima del 12 settembre il verdetto sulla compatibilità o meno del fondo salva stati permanente, ovvero l’Esm, con la Carta fondamentale della Germania, come riferisce l’editoriale in prima sul Sole 24 Ore dal titolo “Il miope egoismo di Berlino”. I giudici avrebbero dovuto pronunciarsi nel giro di due settimane dopo il voto positivo del Bundestag, il 29 giugno scorso, “ora si prendono due mesi e mezzo per sviscerare a fondo la materia”. E così l’Esm, che avrebbe dovuto diventare operativo il 9 luglio scorso, resta appeso all’incertezza. Nel frattempo l’Euro e i Paesi in difficoltà avranno la rete dell’attuale fondo Efsf, che farà da “pompiere” con interventi effettuati a condizioni draconiane per chi li chiede e sotto una sorveglianza a dir poco incalzante.
Un articolo alle pagine interne, dedicato ancora alla Corte Costituzionale tedesca e alla situazione politica, fa notare che la crescente popolarità del Cancelliere Merkel presso la sua opinione pubblica non la metterà al riparo da quella che si profila come un’altra minirivolta dei deputati della sua coalizione di governo, giovedì prossimo al Bundestag, dove si vota l’approvazione del pacchetto di aiuti da 100 miliardi di euro per le Banche spagnole. Il voto, che capita alla vigilia della riunione dell’eurogruppo, è stato reso obbligatorio da una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, che limita la possibilità per il governo di raggiungere accordi europei senza previo assenso del Parlamento. La misura dovrebbe passare grazie all’appoggio dei socialdemocratici, il che significa che la Merkel potrebbe ritrovarsi senza la cosiddetta “maggioranza del Cancelliere”: già nella votazione sul patto fiscale e l’Esm, 26 deputati della maggioranza che sostiene il governo (16 tra democristiani e cristiano sociali e 10 tra i liberaldemocratici), hanno votato contro.
Pd
Oggi la presidente dell’assemblea nazionale del Pd, Rosy Bindi, risponde ad un commento di Adriano Sofri sulla questione dei diritti civili: “Caro direttore, per il Pd i diritti civili non sono affatto un frutto proibito, come pensa Adriano Sofri. Al contrario, sono un tema centrale della nostra identità culturale e politica”, scrive la Bindi. E’ una ricostruzione dello svolgimento dell’assemblea e di come si è deciso di non porre in votazione alcuni ordini del giorno riguardanti i diritti civili: “Sofri chiama ‘cavilli’ quelle che io chiamo regole, e che funzionano in tutte le assemblee deliberative”, “abbiamo votato il documento (quello elaborato dal Comitato diritti, che aveva lavorato per circa un anno e mezzo, ndr) tenendo conto del contributo nel quale si registravano i distinguo, e rinviando alla Direzione e ai gruppi parlamentari gli impegni programmatici e le iniziative legislative. E non sono stati votati gli ordini del giorno che contraddicevano cioò che 700 persone avevano appena approvato, con 38 voti contrari”. Infine la Bindi spiega: “i temi affrontati non sono riconducibili alla questione cattolica, e trascendono la discriminante laici-cattolici. Ma chi fa politica e come il Pd si candida a governare l’Italia anche per superare un insostenibile bipolarismo etico ha il dovere di interpellare tutte le coscienze, tanto più quando si propone una larga alleanza tra progressisti e moderati”, “non è politicismo, non è spirito compromissorio, ma cultura di governo e senso dello Stato inteso, alla stregua dei costituenti, come casa comune. L’opposto degli ideologismi e del giacobinismo”.
Contro-risposta di Sofri, che racconta di aver interpellato una mezza dozzina di componenti del comitato diritti: “Non mi pare che, come lei pensa, il testo proposto accanto al documento del comitato fosse ‘antagonistico’”.
Internazionale
Su La Repubblica si riferisce della esplosione della rabbia dei Tea Party, dopo che si è diffusa la notizia che il candidato repubblicano Romney non ha invitato Sarah Palin, la donna che due anni fa trascinò i Repubblicani alla riconquista del Congresso, alla convention che a fine agosto, a Tampa, incoronerà lo stesso Romney come sfidante di Obama. La Palin ha spiegato così il mancato invito: “Che volete che vi dica? Sono sicura di non essere l’unica a pagare le conseguenze per avere detto che entrambi i partiti stanno spendendo troppo, ci stanno portando sulla strada della bancarotta e difendono il capitalismo dei soliti amiconi”.
La Stampa ha un articolo da Tel Aviv in cui si spiega che Israele ha concesso ad un gruppo di familiari di detenuti originari di Gaza la possibilità di visite nelle prigioni israeliane. Questa possibilità si era interrotta dopo il rapimento del soldato SHalit da parte di Hamas, nel 2006. I familiari sono così saliti sul pullman della Croce rossa internazionale: gli incontri riguardano 500 detenuti. A Gaza, Hamas da un lato ha protestato per le modalità imposte da Israele alla visita (i controlli, l’esistenza di un vetro tra i detenuti e i loro familiari) e dall’altro ha cantato vittoria: “Questa visita – ha detto un dirigente dell’organizzazione – è stata resa possibile solo grazie alla determinazione dei nostri prigionieri”.
L’inserto R2 de La Repubblica si occupa di Lazlo Csizsik Castari, fugiasco per 67 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, accusato della morte di 15 mila ebrei, e scovato dal centro Wiesenthal in un elegante palazzo di Budapest. Era un alto ufficiale della polizia del regime di Horty, e coordinò i rastrellamenti.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini