Ora il terrorismo sfida la Francia

Pubblicato il 25 Settembre 2014 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “L’orrore colpisce la Francia”, “Decapitato l’ostaggio in Algeria, il Paese sotto shock. Hollande: non cediamo ai ricatti del boia. Obama all’Onu: ‘Il mondo assieme contro l’Isis, abbiamo fatto poco. Nessuna guerra all’Islam’”. E la foto dell’alpinista decapitato, Hervé Gourdel, circondato dai suoi boia, campeggia in apertura
In taglio basso: “Renzi: il Pd voti sul lavoro, poi tutti uniti”.
A destra, il richiamo all’inchiesta e ai servizi dedicati all’arresto dell’ex nunzio Wesolowski in Vaticano: “L’arcivescovo voleva fuggire. Ora rischia sette anni di carcere”.
In basso anche l’intervista al comandante de Falco (colui che intimò a Schettino di tornare a bordo della nave Concordia): “De Falco trasferito: ‘Pago la notte della Concordia, pronto a lasciare’”.

Il Corriere della Sera:  “Ora il terrorismo sfida la Francia”. “In Algeria decapitato un escursionista. Obama: non siamo in guerra con l’Islam”. “E’ il quarto occidentale ucciso in un mese. Continuano i raid guidati dagli Usa in Siria e in Iraq”.
A centro pagina: “Sotto accusa altri due vescovi. Kasper: ‘la Chiesa va purificata’”, con la notizia che l’ex nunzio Wiesoslowki “voleva fuggire” e che le indagini sono estese ad altri Stati.
In basso: “Cella troppo piccola, scarcerato e risarcito”.E’ il primo caso di applicazione del provvedimento contro la “detenzione inumana”, scrive il quotidiano.

La Stampa: “Articolo 18, la Cgil apre”, “Camusso: trattiamo quanti anni sospenderlo, poi però serve”.
A centro pagina, foto di Hervé Gourdel sotto il titolo: “La morte di un ostaggio qualunque”, “L’Isisi decapita la guida aplina francese. Obama all’Onu: guerra ai terroristi, non all’Islam”.
Nelle colonne a destra: “Intercettazioni illegali, 15 mesi a De Magistris”, “Condannato per abuso d’ufficio”.
Sul caso Wesolowski: “L’ex nunzio arrestato perché poteva fuggire. Rischia 7 anni di carcere”.

Il Sole 24 Ore: “La Germania frena: si ferma anche l’export”. Editoriale: “La battaglia di Juncker nell’Europa senza crescita”. Di spalla: “Sotto pressione la Russia si ricompatta”. Al centro: “Euro sotto 1,28 dollari, ai minimi da due anni”. In basso: “Renzi: Jobs act non rinviabile”.

Il Fatto: “L’Algeria succursale del Califfato: l’Isis decapita un francese”.
A centro pagina: “La Rai va a Renzusconi, megasconto a Mediaset”, “Pronta la cacciata della Tarantola dalla presidenza di Viale Mazzini: al suo posto Pilati, l’uomo della legge Gasparri. L’Agcm regala uno sconto di 200 milioni in sette anni al Biscione e alla Tv di Stato tagliando la tassazione sulle frequenze. A scapito dei piccoli editori. Intanto sull’articolo 18 Grillo offre i voti di M5S a Bersani per ‘cacciare Renzi’”.
A centro pagina anche una foto del ministro della Difesa: “La Pinotti usa un volo militare come un taxi per tornare a casa sua”, “La ministra Pd della Difesa, in corsa per il Quirinale, tornava da Cardiff con il premier. Ha fatto scalo a Roma ed è salita su un Falcon che, ufficialmente, era in volo di addestramento: guardacaso diretto proprio a Genova, dove la signora è residente. Interrogazione parlamentare dei 5 Stelle”.

Il Giornale: “Il ‘Corriere’ decapita Renzi”, in riferimento all’editoriale di ieri di De Bortoli. A centro pagina, con foto: “L’esecuzione choc di un francese”.  E poi: “Lasciamo scappare 8 clandestini su 10”. In un richiamo in prima anche: “Spiò i politici, De Magistris condannato a 15 mesi”.

Isis

Le prime nove pagine de La Repubblica sono dedicate all’Isis, dopo la decapitazione dell’ostaggio francese Hervé Gourdin e i il discorso di Obama ieri all’Onu. Bernardo Valli sottolinea in una lunga analisi che “il terrorismo jihadista è cosmopolita”. Le sue origini risalgono alla ribellione provocata dall’invasione americana dell’Iraq del 2003, “quando al disperso esercito di Saddam Hussein si unirono via via i veterani delle guerre afghane, prima contro i sovietici e poi contro gli americani, Tra di loro c’erano egiziani, libici, algerini, sauditi,yemeniti. Aderenti al fondamentalismo sunnita e sensibili al mito di Al Qaeda”, “un tempo chiamati ‘afghani’, i veterani jihadisti si sono dispersi nel mondo” e la guerra civile in Algeria, scoppiata all’inizio degli anni Novanta, in seguito alla vittoria del Fis (fronte islamico della salvezza), annullata dall’esercito, “ha lasciato tanti gruppi estremisti dediti ad un terrorismo cronico. Uno di questi, Jund al-Khilafa, ha rapito e decapitato Hervé Gourdel, ubbidendo ai sinistri insegnamenti dello Stato islamico”. Alla pagina seguente, Federico Rampini dà conto del discorso del presidente Obama ieri all’Onu: “Non esiste lo scontro di civiltà -ha detto- non siamo in guerra contro l’Islam, non c’è un ‘noi’ e un ‘loro’, ci siamo solo ‘noi’. Inclusi i milioni di musulmani americani che stanno dalla parte del mondo moderano, della società multiculturale”. E il presidente Usa non ha risparmiato agli Usa un’autocritica, ammettendo che la stessa società americana ha ancora molto da fare per superare le tensioni etniche, “come il mondo intero ha potuto vedere quest’estate nelle proteste di Ferguson, Missouri, dopo l’uccisione di un giovane nero”. Sullo stesso quotidiano, segnaliamo un’analisi di Thomas L. Friedman, in cui si sottolinea che nel cuore della campagna del presidente Obama contro l’Isis “si annida una tensione tra due obiettivi cruciali”. Il primo è la promozione di un “esame di coscienza” da parte del mondo arabo-musulmano. L’altro è l’annientamento del gruppo jihadista. E questa tensione “non sparirà dalla sera alla mattina”. Friedman cita una lunga serie di editoriali comparsi in questi giorni su media arabi come Al Arabya, Al Arab, o il libanese Now, dove emerge un processo di riflessione sulle cause che hanno portato all’emersione di un culto sunnita della morte così violento, tanto da far parlare di un “collasso” di un’intera civiltà. Non basta bombardare, “soltanto gli arabi e i turchi potranno annientare lo Stato islamico sul terreno”.
Su La Stampa, la corrispondenza di Paolo Mastrolilli da New York: “Obama: ‘Non è guerra all’Islam. Ora tutti uniti contro il terrore’”, “Altri raid in Siria. L’Onu approva la risoluzione anti-combattenti stranieri. La Casa Bianca sottolinea l’alleanza con Renzi: insieme nelle sfide globali”. Sulla stessa pagina: “Esplosivi in iPad e computer per abbattere aerei europei”, “Il gruppo Khorasan stava per mettere a segno nuovi attentati”. E, a pagina 3: “Vendetta Isis, ucciso l’ostaggio francese”, “Decapitato Gourdel, guida alpina che amava le montagne algerine: l’avevano individuato su Facebook”. Un’analisi di Giordano Stabile racconta “chi colpisce in nome del Califfo”, dal Maghreb all’Australia. Il quotidiano intervista lo storico della Shoah Georges Bensoussan, che dice: “L’Occidente si svegli, ha il nemico in casa”, “L’immigrazione islamica porta a un nuovo totalitarismo”, “I giovani islamici delle nostre periferie sono nutriti dall’odio che arriva dalle tv arabe captate con le parabole”, il Corano va letto “in lingua originale in arabo: predica un antisemitismo molto violento”. L’intervista è di Domenico Quirico.
Il Corriere intervista Jean Pierre Filiu, esperto di Medio Oriente, docente a Sciences Po, autore di un recente libro sulla Siria. Dice che l’Occidente ed Obama hanno sbagliato a non intervenire militarmente contro Assad. “Al Bagdhadi e i suoi hanno portato il mondo dove vogliono”, “ci fanno reagire in base all’emozione”, intervenire è giusto “ma è tardi” “seguiamo il piano di comunicazione dei terroristi, la loro agenda”.
Sul Sole Mario Platero ricorda che ieri, oltre all’ostaggio francese, è stato decapitato anche un ostaggio tuareg rapito nel nord del Mali dal gruppo Al Qaeda nel Maghreb Islamico, ucciso perché accusato di essere una spia dei francesi. Il gruppo algerino che ha decapitato Gourdel ha spiegato che lo ha fatto seguendo le “istruzioni dell’Isis”, quelle di “rapire e uccidere gli occidentali, specialmente i francesi, dovunque sia possibile”.
Il Giornale continua ad occuparsi degli immigrati clandestini che “approdano da noi in massa” (sono stati 135 mila nel 2014) e che per la maggior parte dei casi “se ne va senza essere identificato”. Un investigatore, citato dal quotidiano, dice che “almeno l’80 per cento dei clandestini” scapperebbe dai centri di seconda accoglienza, “edifici che vengono definiti permeabili nel gergo degli addetti ai lavori. E dunque, visto che la sorveglianza è quasi ridotta a zero, i clandestini fanno fagotto. A migliaia”. “E di gran parte dei profughi non facciamo in tempo nemmeno a scoprire l’identità”.

Articolo 18, Renzi, spending review

Secondo La Stampa dalla segretaria Cgil Susanna Camusso è arrivata un’apertura condizionata sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: parlando a “Porta a porta” ha deto che “se si tratta di allungare il periodo di prova, sono per discutere dei tempi. Capisco che ci sia una stagione in cui l’articolo 18 non vale, ma non va bene se un lavoratore non può raggiungere mai le tutele che hanno gli altri. E dunque è necessario che sia transitoria”. E se “il congelamento” dell’articolo 18 dev’essere temporaneo, per il futuro contratto a tutele crescenti “tre anni o sette anni non sono la stessa cosa”.
La Repubblica: “Lavoro, Renzi non si ferma, ‘Sì alla discussione nel Pd, ma poi tutti si adeguino’”, “Avance di Grillo alla sinistra dem: cacciamo il premier. Camusso pronti a trattare. Marchionne: lasciatelo in pace”. E alla pagina seguente: “Aut aut della minoranza: ‘Matteo deve trattare o ballerà sulla Stabilità’”, “Lunedì alla direzione discussione anche sui conti della manovra. Imbarazzo per la proposta M5S. Deciso no dei bersaniani”.
“La minoranza Pd tratta sul reintegro ma è pronta alla resa”, titola La Stampa, ricordando come il vero nodo da sciogliere sia se inserire nel contratto a tutele crescenti, oltre all’indennizzo monetario in caso di licenziamento giudicato illegittimo, il reintegro sul posto di lavoro . La sinistra del Pd “prova a non far franare la diga, temendo il peggio, ma sperando che Renzi in zona Cesarini acconsenta ad una soluzione che non li costringa ad una resa campale”. A cercare una soluzione unitaria sarebbero i “giovani turchi” del presidente dell’Assemblea Pd Matteo Orfini: negli emendamenti a firma di Francesco Verducci ci si limita a chiedere di favorire le assunzioni a tempo indeterminato del nuovo contratto con incentivi fiscali, di impedire la “torsione autoritaria del demansionamento”, di disboscare la giungla di contratti precari.
Da La Repubblica segnaliamo un’intervista al governatore del Piemonte Sergio Chiamparino: sindacalista, sindaco di Torino, renziano della primissima ora, come ricorda il quotidiano. Troverete un accordo? “Mi sembra possibile”, risponde. Lei abolirebbe l’articolo 18? “Io considero ragionevole la proposta di Cuperlo”. E la proposta di Gianni Cuperlo, esponente della minoranza Pd ed ex presidente dell’assemblea Pd è la seguente, nelle parole di Chiamparino: fatta salva l’obbligatorietà del reintegro nel caso di licenziamenti discriminatori, “negli altri casi è possibile applicare una multa. Ma la sua entità non deve essere decisa da un magistrato. Piuttosto da un arbitro scelto da imprese e sindacati”.
Un “retroscena” del Corriere spiega che lunedì prossimo Renzi “non farà nessuno sconto alle minoranze interne. ‘Li fregherò tutti, uno a uno, su questo non c’è dubbio'”, vincendo ai voti con ampio margine. E poi “a palazzo Madama, come è avvenuto per la riforma del Senato, che il presidente del Consiglio potrà fare delle concessioni. Concessioni che tutti, o quasi, nelle minoranze si augurano perché i più realisti non hanno voglia di andare alla guerra”. Secondo la minoranza anzi è stato “Matteo” a far “saltare tutto” quando si era vicini ad una intesa, perché “questo è l’unico modo che il presidente del Consiglio ha per dimostrare che fa sul serio, che il Jobs act è una riforma vera e non un classico pannicello caldo all’italiana”.
Sullo stesso quotidiano l’editoriale di Antonio Polito (“Il luogo del delitto”), che – a proposito di doppiezze della sinistra italiana – invita a ricordare “quegli esponenti della minoranza del Pd che nemmeno due anni fa hanno votato il pareggio di bilancio in Costituzione e ora si mobilitano per abrogarlo. Ma stavolta a Renzi non basta la prova di forza come ha fatto col Senato, magari con un voto di fiducia o addirittura con un soccorso azzurro. Stavolta deve vincere e convincere la sua parte, per non uscirne azzoppato. Come avrebbe detto Togliatti, uno che di doppiezza se ne intendeva, «hic Rhodus hic salta»Siccome si tratta di molti soldi, è lecito sospettare che finisca come con il contratto degli statali, prima promesso e poi sparito”, per poter introdurre gli ammortizzatori sociali.
Sul Sole 24 Ore si fanno i conti sui risparmi di spesa dai Ministeri. Si parla di 600-900 milioni dal Ministero dell’istruzione, di circa 500 dalle Infrastrutture, 300 dalla Giustizia, 400 dalla Difesa. “Per effetto degli incontri che si stanno svolgendo a via XX settembre tra i tecnici del ministero dell’Economia e quelli dei singoli dicasteri sta cominciando a prendere forma il complicato puzzle dei tagli a carico dei ministeri e della rimodulazione delle spese di loro competenza”, ma rimangono diversi “nodi” a partire dalla Sanità: “la Ragioneria ha rilanciato la richiesta alla Salute di partecipare fino a un massimo di 3-4 miliardi alla manovra 2015, anche riducendo il Fondo sanitario da 112 miliardi. Nel mirino acquisti di beni e servizi, centrali uniche d’acquisto, costi standard, farmaci, ospedali. Ma sul taglio al Fondo la ministra Lorenzin e le Regioni avrebbero già avuto rassicurazioni da palazzo Chigi: non si tocca o salta il ‘Patto-salute’. L’ipotesi di lavoro sarebbe comunque quella di accelerare i risparmi previsti dal ‘Patto’, che secondo la Salute possono valere fino a 900 milioni nel 2015. Cifra che comunque non basta all’Economia. Di qui il balletto di cifre sui possibili risparmi, con una partita tutta politica”.
La Repubblica riproduce l’intervista che il governatore Bce Mari Draghi ha rilasciato a Europe1 e ne riassume i contenuti così: “Per la ripresa il credito non basta, servono più fiducia e investimenti pubblici”.

E poi

Il Sole intervista Vladimir Yakunin, potente capo delle Ferrovie russe, nella lista di Usa e Australia (non in quella europea) che commenta “beffardo” il divieto di recarsi nei due Paesi in cui è al bando. Le sanzioni “spingono la Russia verso i mercati asiatici”, e producono come effetto quello di ricompattare il Paese.