New deal? La Idem si arrende: mi dimetto da ministro. Berlusconi, la condanna più dura

Pubblicato il 25 Giugno 2013 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della Sera: “Condanna dura per Berlusconi: sette anni. Il Cavaliere: è una sentenza violenta, io resisto. Il Pdl: colpo alla pacificazione”. “Processo Ruby, per l’ex premier anche l’interdizione perpetua. Il verdetto più pesante delle richieste dei pm: indagine sui testimoni”. A centro pagina: “Idem cede e si dimette dopo l’incontro con Letta. ‘Volevo farlo da giorni’”. In prima anche “i misteri di Snowden ‘sparito’ a Mosca: è sotto interrogatorio?”.

La Repubblica: “Berlusconi, la condanna più dura. Il Tribunale lo dichiara colpevole di concussione e prostituzione minorile. Ora 32 testi rischiano il processo per aver dichiarato il falso. Il Pdl: andiamo in piazza, pacificazione finita. Caso Ruby, 7 anni e interdizione perpetua. Il Cavaliere: ‘Violenza mai vista, resisterò’”. Un retroscena è titolato: “Silvio avverte Letta: ‘Ora tutto è possibile’”. A centro pagina: “La Idem si arrende: mi dimetto da ministro”. A fondo pagina la vicenda Snowden, “gelo tra Obama e Pechino”.

La Stampa: “Sette anni a Berlusconi: ‘Resisterò’. Caso Ruby, condanna superiore alle richieste della Boccassini. L’ex premier: una violenza. Prostituzione minorile e concussione: interdizione perpetua dai pubblici uffici. L’ira del Pdl. Le ‘olgettine’ rischiano il processo per falsa testimonianza”. Il giurista Carlo Federico Grosso analizza “Le ragioni di una sentenza pesante”.

Il Giornale: “Macelleria. Pur di condannarlo, i giudici superano la Boccassini e inventano un complotto: 32 persone avrebbero testimoniato il falso. E’ follia giudiziaria. Marina difende il padre: ‘Sentenza già scritta’. Il Cav: ‘Resisterò. Sostegno a Letta? Deciderà il Pdl”. A centro pagina “La Idem non molla. Non ci mancherà”.

Libero: “Giustizia a puttane. Processo Ruby, i giudici scavalcano i pm: Cav condannato a 7 anni e all’interdizione perpetua. In assenza di prove e di parti lese, si ipotizza che 30 testimoni abbiano mentito. Tra loro deputati e un viceministro”. “Silvio: sentenza violenta e incredibile, vogliono eliminarmi. Il Pdl: colpo di Stato”. A centro pagina “Dimissioni: la Idem cola a picco”.

Il Foglio: “Siamo tutti puttane. Roma, piaza Farnese, ore 19: no all’ingiustizia puritana”. Scrive il quotidiano di Ferrara che “dal momento di quella sentenza viviamo in un Paese meno libero”. “Il Tribunale delle Erinni ha malmenato la giustizia, il senso comune, la prudenza e la saggezza del giudicare”, scrive tra l’altro Ferrara.

Il Fatto quotidiano: “Sette anni a Berlusconi. La vergogna è governare insieme a lui. Il Tribunale di Milano l’ha condannato per concussione (per costrizione, non per induzione come chiesto dai pm che avevano proposto 6 anni) e per prostituzione minorile. La pena comporta l’interdizione perpetua. Denunciati 30 falsi testimoni, il viceministro Archi, tra parlamentari del Pdl, la funzionaria di questura Iafrate e molte Olgettine”.

Berlusconi

Su La Stampa Carlo Federico Grosso scrive che Berlusconi era imputato di due reati: “del delitto di concussione, previsto dall’articolo 317 del Codice Penale, per avere telefonato in Questura da Parigi la sera del fermo di Ruby pretendendo il suo rilascio (avvenuto secondo le modalità ormai ampiamente note), del delitto di prostituzione minorile nella forma meno grave prevista nel comma 2 dell’articolo 600 bis c.p. (atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni, in cambio di denaro o altra utilità)”. Spiega ancora Grosso che il tribunale avrebbe potuto qualificare il fatto come concussione per costrizione oppure, dopo lo spacchettamento della riforma Severino, come un fatto meno grave, essendo “induzione a dare o promettere”. Ma “l’avere optato per la prima configurazione significa, evidentemente, che ha ritenuto che nel comportamento dell’allora presidente del Consiglio non fosse ravvisabile una mera ‘induzione’, cioé una ‘spinta’ più o meno forte della Questura ad agire in conformità ai propri desideri, bensì una pressione più intesa, qualificabile come una, sia pur implicita, minaccia”.

Anche sul Sole 24 Ore si spiega la decisione del Tribunale: “Una telefonata valutata come un ordine”. Donatella Stasio scrive che in gergo viene chiamato “lo scavalco” il verdetto del giudice che va oltre le richieste del Pm, come avvenuto ieri. Condannando non già per “induzione indebita” ma per “concussione per costrizione”. Un colpo di scena che in pochi si aspettavano, dentro e fuori il tribunale, e che riflette una valutazione ben più severa sulla condotta di Silvio Berlusconi per la telefonata alla Questura di Milano per far liberare Ruby. “L’unica salvezza per Berlusconi è che i giudici di appello o la Cassazione facciano rientrare la condotta invece nella induzione”, che non comporta automaticamente l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Marco Travaglio su Il Fatto: “Una sentenza non di larghe intese ma di larghe pene. Che però non può aggiungere nulla alla indecenza del personaggio, già ampiamente dimostrata dalle sentenze sulle tangenti alla Guardia di Finanza, sui 23 miliardi di lire a Craxi, sui fondi neri per 1500 miliardi di lire, sulle frodi fiscali sui film, sulla corruzione di Mills, sulle mazzette ai giudici del loro Mondadori. Ora i servi, le prefiche, i tartufi e i finti tonti si domandano affranti se B farà saltare il tavolo dell’inciucio. Ma quando gli ricapita un governo dove la fa da padrone dopo aver perso le elezioni? La vera domanda è un’altra: che ci fa il Pd in un governo così?”.

Il direttore de La Repubblica Ezio Mauro scrive: “La difesa sostiene che non ci sono vittime per i reati ipotizzati, non ci sono prove, c’è al contrario la criminalizzazione di uno stile di vita e di comportamenti privati (le cosiddette ‘cene eleganti’), distorti da una visione voyeuristica e moralistica che li ha abusivamente trasformati in crimine. Ma secondo Mauro c’è un metro di giudizio che viene prima della condanna e che si basa su due elementi che il giornalista Giuseppe D’Avanzo rivelò sulle pagine di questo quotidiano: “La dismisura e l’abuso di potere”, e cioè “di due categorie politiche, pubbliche, che impongono un giudizio politico per un leader politico che nel periodo in cui è scoppiato il caso Ruby aveva anche una responsabilità istituzionale di primissimo piano, come capo del governo italiano”. Mauro descrive quindi “l’egemonia culturale berlusconiana” che ha invocato una “pacificazione” in modo che si tentasse di trasformare la ragione sociale del governo Letta, nato dall’emergenza e dalla necessità. Una pacificazione che avrebbe dovuto “chiudere i conti con il passato, sacralizzare Berlusconi come punto di riferimento istituzionale del nuovo quadro politico, farlo senatore a vita o vertice di una improvvisata costituente in modo da garantirgli un salvacondotto definitivo”. Il disegno berlusconiano prevede “colpi di mano e maggioranze estemporanee”, con il concorso “di quei parlamentari cannibali del Pd che nel voto segreto hanno già dimostrato di essere buoni a nulla e capaci di tutto”.

Il direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara invita a manifestare oggi pomeriggio a piazza Farnese, e scrive: “Il Tribunale delle Erinni ha malmenato la giustizia, il senso comune, la prudenza e la saggezza del giudicare. Con l’effetto di una sentenza ad personam, intinta nel pregiudizio ideologico e politico”.

Lo stesso quotidiano dà conto di quel che si pensa nel “castello” di rabbia berlusconiano: non esiste alcun vantaggio immediato che derivi dalla caduta di questo governo, perché solo all’interno della maggioranza Berlusconi può ancora tentare di tessere una trama politica con il poco filo rimasto. D’altra parte la vera partita riguarda il processo Mediaset, che a novembre arriva a sentenza definitiva in Corte di Cassazione: “Con la condanna, e la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, il Senato sarebbe immediatamente chiamata ad esprimersi sulla decadenza del Cavaliere dal seggio senatoriale. Una eventualità apocalittica, dalle conseguenze imprevedibili. E per questo “nei corridoi meglio riparati del Pd, nelle stanze silenziose del Quirinale e di Palazzo Chigi, il problema comincia ad essere sollevato, con trepidante preoccupazione”. In caso di condanna “nelle mani del centrosinistra si potrebbe materializzare la possibilità di sciogliere la grana Berlusconi per via politica e non giudiziaria, con un voto che, in Senato, a scrutinio segreto, metta al riparo il Cavaliere consentendogli di mantenere le guarentigie”.

Stefano Folli sul Sole 24 Ore scrive che dopo la sentenza “nulla sarà più come prima”. Se è vero che “non sarebbe conveniente per Berlusconi buttare all’aria la grande coalizione”, è plausibile che la pressione politica del centrodestra sull’Esecutivo si accentuerà intorni ai punti programmatici che costituiscono i cavalli di battaglia del Pdl: a cominciare da Iva e Imu, per proseguire con la politica fiscale ed europea. “Più Berlusconi subisce i colpi dei giudici, e non può fare altro per il momento che restare nella gabbia delle larghe intese, più cercherà di presentarsi come una sorta di ‘difensore civico’ del popolo, proprio per questo ingiustamente perseguitato”, “la natura populista del centordestra tenderà quindi ad accentuarsi. All’inizio in misura non dirompente, ma alla lunga la corda potrà rompersi, specie se la Cassazione, che ci pronuncerà sull’affare Mediaset entro la fine dell’anno, dovesse dar torto alla difesa.

Politica

La Stampa si occupa dei ballottaggi delle elezioni amministrative siciliane. Partendo dai dati di un astensionismo dai numeri allarmanti. Alle urne è andato il 46,19 per cento degli elettori, che vuol dire -21,72 rispetto al primo turno. A Ragusa ha quindi vinto con il 69,4 per cento il candidato del Movimento 5 Stelle Federico Piccitto. Sostenuto da Sel, Liste Civiche. Il suo sfidante, Giovanni Cosentini, candidato del centrosinistra, sostenuto dall’Udc e vice sindaco uscente di centrodestra, ha ottenuto il 30,6.

Su La Repubblica si scrive che il centrosinistra, a partire dal presidente della Regione Crocetta, puntava tutto su Giovanni Cosentini, ex cuffariano che non ha mai rinnegato il legame con l’ex governatore finito in carcere per mafia. “Ci scriviamo ogni mese”.

A Messina al primo turno il candidato del Pd Felice Calabrò aveva mancato l’elezione per una ventina di voti. Ieri è arrivata la sorpresa, perché a vincere, con il 52,7 per cento, è stato lo sfidante outsider Renato Accorinti, molto noto in città per essere uno dei fondatori del comitato No Ponte. Accorinti aveva ottenuto il 24 per cento al primo turno. La consolazione per il centrosinistra è arrivata da Siracusa, dove è stato eletto il renziano Giancarlo Garozzo, con il 53,3 per cento, contro Ezechia Paolo Reale, sostenuto, secondo il Corriere, da alcune liste civiche di centrodestra. Reale si è fermato al 46,7 per cento.

Il Fatto scrive che ieri pomeriggio il sindaco di Roma Marino ha chiesto al Movimento 5 Stelle di indicargli un nome per la Giunta, più precisamente una donna, per l’Assessorato alla sicurezza alla legalità urbana. Marino aveva già incontrato i 4 consiglieri comunali 5 Stelle domenica scorsa, e ieri ha formalizzato la proposta. In serata i consiglieri hanno lanciato un sondaggio sul blog di Grillo aperto solo agli iscritti di Roma, a cui chiedono se accettare di scegliere tra i curricula “una donna di comprovata esperienza e di comprovata professionalità, preferibilmente di formazione giuridico-amministrativa. La consultazione si concluderà oggi alle 11.

Ieri un altro parlamentare del Movimento 5 Stelle ha annunciato che lascerà il gruppo. Si tratta di Adriano Zaccagnini, che La Repubblica descrive come un “eclettico trentunenne romano con il pallino dell’agricoltura”. Ieri ha tenuto una conferenza stampa parlando dei 5 Stelle come un “movimento aziendalista”, una sorta di “Berlusconi 2.0”. La Repubblica lo intervista. Diranno che va via per la diaria. Zaccagnini: “Lo so, ma non è così. Io ho già fatto il bonifico. Ho consegnato la richiesta di adesione al gruppo misto ed ho fatto il bonifico. In due mesi sono 8500 euro. A me non piace stare nella ruota del criceto. Pensi, io non ho mai accettato lavori nelle multinazionali, eppure potevo. E sono finito in un movimento aziendalista”.

Internazionale

Su La Stampa si racconta il cambio al vertice nel Qatar, petromoarchia che finanza Al Jazeera e le primavere arabe. Tamim Bin Ahmad Al-Thani succede al padre dopo l’abdicazione programmata. A 33 anni ed è il figlio della favorita delle 4 mogli paterne. Anche su La Repubblica: “Svolta in Qatar, l’Emiro d’oro lascia al figlio. Diplomato in un Accademia militare in Gran Bretagna, parla arabo, inglese e francese, ed è considerato vicino ai Fratelli Musulmani. Il Qatar che l’Emiro consegnerà al figlio è tutt’altra cosa rispetto a quello conquistato diciotto anni fa (nel 1995 spodestò il padre con un colpo di stato incruento): a cominciare dalla potenza di immagine che deriva da Al Jazeera, la tv panaraba creata dall’Emiro e dalla politica estera su cui il sovrano uscente ha deciso di puntare per elevare lo status internazionale del Paese. Ad una fase basata più sulla diplomazia è seguita infatti una fase più interventista, che ha visto il piccolo emirato partecipare alle operazioni militari contro Gheddafi, e finanziare la rivolta in Siria. Nel caso del Bahrein, l’appoggio del Qatar è andato alla famiglia regnante degli Al Khalifa e non alla popolazione in rivolta.

Sul Corriere: “L’Emiro del Qatar affida il trono a suo figlio”, “svolta generazionale nella piccola monarchia del Golfo dalle grandi ambizione”. E si dà conto anche della ascesa della madre Mozah, seconda moglie dell’Emiro. Avrebbe evitato che i primi due maschi, avuti dalla prima moglie dell’Emiro, diventassero eredi (uno amava troppo i party, l’altro pregava troppo, spiegava un ex ambasciatore a Doha). Il terzo ha rinunciato ai diritti di successione per ragioni mai chiarite.

Torniamo a La Stampa per segnalare che l’Arabia Saudita ha deciso di spostare il weekend al venerdì e sabato, per adeguare i tempi economici del Paese a quelli della maggior parte del mondo. Fino ad oggi il fine settimana coincideva con il giovedì e il venerdì, giorno festivo per l’islam. Il decreto reale entrerà in vigore già venerdì, e riguarderà l’istituzione pubblica, quelle finanziarie, la banca centrale e quella di Riad. Probabilmente la decisione saudita farà da battistrada anche ad altri regni o emirati del Golfo.

Fonte:

RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini