Le aperture
La Repubblica: “Napolitano: non sono ricattabile. ‘Manovra torbida contro di me’. Monti: ‘Vogliono destabilizzare il Paese’”. “Durissima nota del Quirinale dopo l’uscita di ‘Panorama’ sulle intercettazioni nell’inchiesta Stato-mafia. Solidarietà dal premier e dai partiti, Pdl diviso”. A centro pagina il quotidiano offre una intervista ad Antonio Ingroia: “Il Colle ha ragione, sul presidente solo falsità”.
Il Corriere della Sera: “Napolitano: è una torbida manovra, ‘risibile l’idea di un ricatto’. Monti: opporsi a ogni tentativo di destabilizzare”.
Il Giornale: “Ecco chi vuol far fuori Napolitano”, “il Quirinale smentisce ‘Panorama’, la Procura no. Ormai è guerra istituzionale”.
L’Unità: “Giù le mani dal Quirinale”.
La Stampa: “Il Quirinale: niente ricatti”.
Il Fatto quotidiano: “Napolitano chiama alle armi, ma non divulga le telefonate”, “‘escono autentici falsi contro di me. Io non sono ricattabile, chi ha a cuore la democrazia respinga le torbide manovre destabilizzanti. Monti e i partiti temono le sue dimissioni e salgono in processione al Quirinale”.
Libero: “Fuori le telefonate del Presidente”, “Napolitano smentisce la ricostruzione di ‘Panorama’, Mancino invece no. C’è un solo modo di mettere fine al balletto: pubblicare ciò che si sono detti”.
Su tutte le prime pagine il discorso pronunciato ieri dal candidato repubblicano Romney, che il Corriere sintetizza così: riprendiamoci l’America”.
Napolitano
Ieri il Presidente della Repubblica ha diffuso un comunicato in cui risponde agli articoli che il settimanale Panorama ha dedicato ieri alla vicenda delle telefonate nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Il comunicato recita: “La ‘campagna di insinuazioni e sospetti’ nei confronti del Presidente della Repubblica ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni delle conversazioni intercettate tra il capo dello Stato e il senatore Mancino. Alle tante manipolazioni si aggiungono, così, autentici falsi. Il presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte Costituzione di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia. Più oltre il Quirinale scrive: risibile perciò è la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter ‘ricattare’ il capo dello Stato. Resta ferma la determinazione del Presidente Napolitano di tener fede ai suoi doveri costituzionali. A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante”.
Il Corriere intervista il direttore di Panorama Giorgio Mulè, che dice: “Siamo in perfetta sintonia con il Quirinale. Quello che dice corrisponde per tre quarti a quanto abbiamo scritto. Al Procuratore di Palermo Messineo, che ha accusato periodici e quotidiani di spacciare come vere presunte ricostruzioni e manipolazioni, Mulè risponde: “Ha parlato di rivelazione di atti coperti da segreto. Quindi le rivelazioni sono vere”. Mulè risponde anche a chi sostiene che dietro gli articoli di Panorama ci sia Berlusconi: “L’ha saputo solo alle 22,17, con l’anticipazione. Non ci sono solo i buoni e gli schiavi di Berlusconi”.
Libero, in un articolo titola: “Letta sale al Quirinale: Silvio non c’entra niente”. E scrive che Berlusconi ha inviato l’ex sottosegretario a offrire solidarietà a Napolitano. E si riassume il pensiero di Berlusconi così: “So bene cosa significa finire nel mirino delle Procure. E so la sensazione che si prova quando le proprie conversazioni private finiscono sui giornali”, “a me andò molto peggio e nessuno mi difese”.
Il Fatto quotidiano ospita una analisi di Bruno Tinti, che si dice certo che le intercettazioni non siano mai uscite dalla Procura di Palermo: perché non sono mai state depositate. “A questo punto -scrive Tinti- la rosa delle persone che potrebbero aver rivelato a Panorama l’esistenza delle telefonate (e oggi, forse, il loro contenuto), è molto ristretta: Pm e poliziotti ch ehanno lavorato con loro e…Manicno, Napolitano o tutti e due. Nessun altro ne sapeva nulla”.
Ed è sempre Il Fatto ad intervistare uno dei protagonisti della vicenda, ovvero il procuratore aggiunto Antonio Ingroia: “Hanno titolato ‘Ricatto a Napolitano’, alludendo alla Procura di Palermo, ma il ricatto lo hanno fatto altri, e l’obiettivo principale non è neanche il Quirinale ma la magistratura di Palermo”. Ingroia dice anche: “Ho la certezza che in quel pezzo non c’era una riga del contenuto effettivo di quelle conversazioni”. E l’intero pezzo stesso “è costruito senza una notizia”, è solo una ricostruzione giornalistica fondata su una lettura analitica comparata sugli articoli di tre testate, peraltro fra loro agli antipodi”. A chi giova questo polverone? “A chi ha interesse a creare un clima di diffidenza e conflitto tra il Quirinale e la Procura di Palermo. Ricordo che fu proprio Panorama a sollevare per primo la questione delle intercettazioni del Quirinale, parlando di siluro. Giova a chi non vuole la verità sulla stagione stragista, e tra chi non la vuole non c’è certamente né la Procura né il Quirinale.
Ingroia viene intervistato anche da Repubblica: “Non è vero che siamo contro il Presidente. Qualcuno sta usando con lui metodi sporchi”, afferma. E aggiunge: “Non è uscito un solo rigo del contenuto di quelle intercettazioni. Il segreto ha tenuto”. Dove sono finite le intercettazioni tra Napolitano e Mancino? “Abbiamo aperto una inchiesta stralcio, in cui sono finiti i ‘colloqui non rilevanti’” penalmente; e quelli con il Quirinale meritavano “un particolare regime di segretezza”. I giornali di destra chiedono a Napolitano di rendere pubbliche le carte, è possibile? Ingroia: “Ma di quali carte stiamo parlando? Il Presidente Napolitano naturalmente non ha nessuna carta delle intercettazioni”. Il Corriere della Sera intervista il procuratore della Repubblica di Palermo Messineo. Ha ragione Di Pietro quando sospetta che Napolitano si sarà lasciato scappare qualche parolaccia di troppo nei confronti dei giudici di Palermo? “Non mi risulta che esistano questi contenuti, né posso concordare con le ipotesi di DI Pietro. Ma valuteremo se aprire una inchiesta sulle fughe di notizie”. Messineo respinge le accuse alla Procura di essere un “colabrodo”: “Se si riferisce alla acquisizione da parte della stampa di notizie sull’attività dell’ufficio, qualche episodio c’è stato, ma la fuga ha una pluralità di fonti. Spesso si tratta di notizie già esplicitate in atti già noti ai difensori”.
La Stampa intervista l’ex presidente della Corte Costituzionale, che stigmatizza “il malcostume di far finire sui giornali le intercettazioni che non c’entrano con l’indagine penale. Succede troppo spesso che, con modalità improprie, si usino mediaticamente intercettazioni irrilevanti. In questo caso poi, dato che sono atti segreti, diffonderle è una violazione di legge”. Onida dice anche che l’intera indagine della procura di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia ha il “vizio di fondo”, poiché i reati ipotizzati sarebbero di competenza del tribunale dei ministri.
Il direttore di Libero Maurizio Belpietro, nel suo editoriale, scrive che se il Presidente della Repubblica “vuole evitare che il clima di veleni e di sospetto si diffonda” è sufficiente che “parli e racconti di cosa ha discusso con Mancino” perché “più il tempo passa e i tentativi di tener segrete le intercettazioni aumentano e piùì cresce la curiosità di sapere cosa c’è in quelle intercettazioni”.
Marco Travaglio su Il Fatto quotidiano: “A questo punto il Presidente ha ben ragione a sentirsi in trappola. Purtroppo se l’é fabbricata con le sue mani, prima accettando di intervenire nelle indagini di Palermo su pressione di Mancino, poi attivandosi per coprire le tracce. E’ la trappola peggiore, quella degli incaprettati: di dibattono per liberarsi del cappio ma non fanno che stringerselo vieppiù intorno al collo, anzi al Colle”.
Usa
“We can do something” è il motto elettorale usato dal candidato repubblicano Romney nel corso del suo discorso a Tampa, come racconta La Stampa. Si è rivolto soprattutto agli elettori scontenti per la perdurante crisi economica, ai giovani laureati che, per esempio, “quattro anni fa pensavano che avrebbero trovato lavoro ed invece ora si trovano a pagare le conseguenze del debito nazionale e di un massiccio deficit”. A Obama Romney ha rimproverato “aumento della disoccupazione”, “carenza di crescita”, “mancanza di leadership internazionale”. Gli undici schermi digitali del palco hanno trasmesso il video “Bain” sulla omonima società finanziaria che Romney ha contribuito a creare, e che è accusata da Obama di “capitalismo selvaggio”. Il video fa parlare testimoni e protagonisti della creazione di posti di lavoro, per dimostrare che Romeny ha aiutato molti a coronare il sogno americano, poiché è l’efficienza del manager la qualità che il candidato repubblicano più vanta. Sullo stesso quotidiano si scrive che sul cammino di Mitt l’ostacolo più difficile resta la fede mormone. Il suo credo rischia di fargli perdere un quinto dei voti. Ma gli stessi mormoni stanno perdendo terreno: erano la quarta fede religiosa negli Usa, ora sono la quinta, superati dai buddisti. Ampio spazio è poi dedicato al candidato vicepresidente Ryan, “rivoluzionario sulle orme di Reagan”, che vuole lo Stato minimo con spese federali solo al 20 per cento del Pil. Il Fatto scrive che Ryan “le ha sparate grosse: ha promesso dodici milioni di posti di lavoro nuovi entro il 2016″. Ryan alla convention, appare quel che è, cioé l’uomo forte del ticket repubblicano, che subito dopo torna a fare il numero due per non dare ombra al candidato.
Su La Repubblica il “contrattacco” di Obama sul sito di social news “Reddit”:risponde a un disoccupato, dice che la chiave di tutto per il futuro è “una economia che cresca e crei solidi posti di lavoro per la middle class”. Che l’altro partito ha “due idee per la crescita”, ovvero “maggiori sgravi fiscali per i più ricchi e liberarci della normativa che abbiamo appena varato per liberarci degli eccessi di Wall Street e proteggere i consumatori”. In contrapposizione con questa ricetta Obama dice di voler “continuare a promuovere” la manifattura avanzata, a promuovere fonti energetiche tutte americane, compreso l’eolico e il solare, a investire nell’istruzione”, “a ridurre il nostro deficit con prudenti tagli alle spese e tasse più alte per i più ricchi che guadagnano oltre 200 mila dollari all’anno.
“Obama riparte dal social network” è il titolo di una analisi alla pagina dei commenti del Corriere della Sera, firmata da Edoardo Segantini, dove si spiega che Reddit è una grande bacheca virtuale dove gli utenti iscritti al servizio – 35 milioni nel 2011 – possono condividere i link degli argomenti trovati sul web: chi invia un contenuto è chiamato redditor, e quando un contenuto è pubblicato gli altri iscritti possono votarlo e inserire un commento. Il commento, a sua volta, può essere votato. E quindi a seconda dei consensi ricevuti, i contenuti salgono o scelgono nella visibilità. Questo meccanismo rende reddit diverso da altri social network come Facebook o Twitter.
Secondo Il Sole 24 Ore Romney ha sfidato Obama “al centro” opponendo i valori del “credo americano” all’interventismo del rivale. Nel suo intervento ha infatti sottolineato che i valori americani non sono quelli dello statalismo, dell’assistenzialismo, del mercato sociale all’europea, bensì quelli dell’individualismo, della meritocrazia, del libero mercato, dello spirito pioneristico.
Il Foglio riproduce il discorso pronunciato alla convenzione repubblicana di Tampa dal candidato alla vicepresidenza repubblica Paul Ryan, sotto il titolo: “Sedici trilioni di debito. Basta”.
Internazionale
Al vertice dei Paesi non allineati, in corso a Teheran, il presidente egiziano Morsi ha “spiazzato” i padroni di casa, alleati di Damasco, come scrive il Corriere della Sera. Lo ha fatto pronunciando parole pesantissime sulla Siria sconvolta dalla guerra civile: “La rivoluzione in Siria contro il regime oppressivo è parte della primavera araba che ha nell’Egitto la sua pietra miliare”. Aggiungendo: “La nostra solidarietà ai siriani contro un regime oppressivo che ha perso ogni legittimità è un dovere morale e una necessità politica e strategica. I nostri cuori sanguinano per quei massacri, è responsabilità di tutti sostenere chi lotta per la libertà e la dignità umana”. Poi ha paragonato il popolo siriano a quello palestinese, “perché entrambi vogliono la libertà, la dignità, la giustizia”. La delegazione di Damasco ha immediatamente lasciato la sala. Ma il discorso era da digerire anche per Teheran, grande alleata di Damasco che, pur non sperando che dal vertice uscisse un sostegno ad Assad, si aspettava un vago impegno comune ad opporsi ad “interventi esterni”, come dovrebbe enunciare oggi il documento finale. Morsi ha baciato e abbracciato il collega iraniano Ahmadinejad, ha appoggiato il diritto al nucleare pacifico dell’Iran ed ha invitato il Paese ad un tavolo a quattro sulla crisi siriana. Con questa mossa, che ha spiazzato l’Iran, l’Egitto ha sfidato Teheran nelle sue ambizioni di imporsi come grande potenza nazionale, rivendicando quel ruolo già avuto in passato, ai tempi di Nasser, che fu tra i fondatori dei non allineati. Una analisi sulla stessa pagina di Franco Venturini evidenzia come il Presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, ha dato una nuova dimostrazione del suo “nazionalpragmatismo”. Venturini ricorda che presto Morsi sarà ricevuto alla Casa Bianca e sottolinea che nei confronti del nuovo Egitto va definita una strategia più attenta e complessa di quella dell’era Mubarak.
E poi
Ieri La Stampa ha continuato a raccontare ai lettori, attraverso le interviste del corrispondente Usa Maurizio Molinari, l’Italia degli anni di Mani Pulite e i suoi rapporti con gli Stati Uniti. Dal colloquio con il console americano a Milano Peter Sembler, emergeva che Antonio Di Pietro, allora Pm, gli aveva preannunciato l’inchiesta su Craxi e la Democrazia Cristiana. Oggi La Stampa intervista l’allora coordinatore delle indagini su Mani Pulite Gerardo D’Ambrosio. Ieri Di Pietro ammetteva di aver incontrato il console Usa Peter Sembler: “Ecco, questa è una cosa che mi ha stupito, e anche molto. A me Di Pietro non ha mai detto niente, né allora né dopo. Però non mi stupisce, e sono convinto che nemmeno gli altri del pool sapessero di questi incontri. Di sicuro io non sono mai andato dagli americani. Però non mi sorprende affatto che Di Pietro fosse stato zitto con me”. Perché? “Io avevo compiti di coordinamento nel pool, mi sono arrabbiato a leggere oggi di questi incontri, immagino cosa gli avrei detto allora. Noi magistrati, per la nostra funzione, dovevamo andare avanti per la nostra strada senza certo rendere conto a diplomatici stranieri”. Gli incontri risalirebbero al 1991, ma D’Ambrosio dice che a quei tempi Di Pietro “non lo conosceva nessuno, non aveva ancora avuto inchieste importanti, non si capisce perché avrebbero dovuto cercare proprio lui”. E poi “anche con l’arresto di Mario Chiesa non sapevamo certo dove saremmo arrivati con la nostra indagine”. Nell’intervista all’ex ambasciatore Usa appena deceduto Reginald Bartolomew si parlava di un incontro di alcuni magistrati alla sede dell’ambasciata a Roma. D’Ambrosio dice di non essere stupito “che alcuni colleghi di Roma siano andati in ambasciata a dire cosa pensavano di noi. Può anche essere: i magistrati di Roma non vedevano di buon occhio la nostra inchiesta”. L’intervistatore gli ricorda anche che il pool era finito sotto accusa per l’invito a comparire spedito a Napoli a Berlusconi presidente del consiglio. D’Ambrosio dice: “Io ero contrario a mandarlo in quel momento. Gli altri, pensando che non si sapesse, decisero di mandarlo comunque”.
Un reportage de La Repubblica ricorda che il 12 settembre si svolgono in Olanda le elezioni. E che nella retorica degli xenofobi l’euro ha preso il posto dell’Islam, ma il sentimento anti-Bruxelles cova anche a sinistra, un ex maoista, Emile Roemer, con il suo partito socialista, sembra la sorpresa di questa elezione.