Le aperture
La Repubblica: “Manovra, un assalto da 10 miliardi”, “Oggi la legge di stabilità a Bruxelles: così gli emendamenti parlamentari rischiano di zavorrarla. Immobili, il Tesoro smentisce il centrodestra sui nuovi aggravi”, “Imu, cuneo fiscale, statali e Cig: ecco tutti i costi delle modifiche dei partiti”. In taglio basso: “Monti: ‘Letta si è inginocchiato al Pdl’. Berlusconi lancia Fitto, stop del premier”. A centro pagina, con foto da Porta Pia, le tende piantate dai manifestanti a Roma sabato scorso: “Antagonisti, la presa di Porta Pia”.
Il Corriere della Sera: “Sei miliardi dagli immobili”, “iniziativa aperta ai privati, si parte dalle risorse Inail. Sulle tasse il duello Tesoro-centrodestra”, “superfondo pubblico per vendere caserme, carceri, ospedali”. A centro pagina: “Attacco di Monti a Letta: è un governo del disfare che si inginocchia al Pdl”.
La Stampa: “Monti, attacco al governo”, “l’ex premier: è l’esecutivo del disfare, Letta in ginocchio da Berlusconi. Alfano agli alleati: la legge Severino non sia retroattiva, il Pd ci ripensi”. A centro pagina, con foto: “Occupy Porta Pia: ‘dateci una casa’”.
L’Unità: “La battaglia della Stabilità”, “il testo oggi all’esame della Commissione Ue, domani al Senato. Monti: ‘Letta in ginocchio dal Pdl’. Fassina a L’Unità: ‘Sbaglia, il vero problema sono i danni dell’austerità, resto perché lo ha riconosciuto anche il premier’”. “Caos Scelta Civica: il professore chiede l’espulsione di Mauro dal governo”. A centro pagina, con foto: “Scuola: insicuri quattro edifici su dieci”. In taglio basso: “Decadenza, il nuovo ricatto del Cav”, “’o mi salvate o affondo il governo a dicembre con la legge di stabilità’. Santanchè: il Capo dello Stato ha tradito. Il Pd: siamo al vilipendio”.
Il Sole 24 Ore: “Statali, taglio del 10,5 per cento in busta”.
Il Giornale: “Tasse, scoperto il trucco”, “I numeri parlano chiaro, Letta ha preso in giro tutti: nel 2104 pagheremo di più, anche sulla casa”, “Decadenza, ultimatum di Alfano al Pd. Santanché contro Napolitano”. A centro pagina, foto di John Fitzgerald Kenendy sotto il titolo: “Rivelazioni choc”, “Il bunga bunga più democratico del mondo”, “Stagiste, escort, attrici: dopo 50 anni spuntano dagli archivi degli 007 i vizietti di Kennedy”.
Manovra
Il viceministro dell’economia Stefano Fassina ha ritirato le dimissioni dopo un colloqui con il presidente del consiglio Letta. In una intervista a L’Unità spiega: “Non ho posto un problema personale ma un problema politico. Il punto è che deve esserci un pieno coinvolgimento di quella parte del Pd che in questi anni è stata più consapevole e determinata di altri a rilevare l’insostenibilità dell’austerità cieca e della svalutazione del lavoro dominante in Europa. Oggi i fatti hanno confermato che avevamo ragione a criticare così duramente le politiche mercantilistiche”. Cosa l’ha convinta a restare al suo posto? “Mi ha convinto l’attenzione di Enrico Letta sul punto e la sua disponibilità ad affrontare il problema. Ha riconosciuto che ho posto un problema reale”.
Su La Repubblica il pensiero di Fassina viene riassunto così: “Resto per combattere il rigore imposto dalla Ue”. Chiede La Repubblica: “La legge di Stabilità garantisce un fondo alle banche per i derivati e non aumenta le tasse sulle rendite finanziarie. Dov’è l’equità? Dov’è la sinistra? Fassina: “Questo non è un governo del Pd. E’ un governo innaturale tra forze alternative”, “detto questo rivendico gli aspetti positivi: risorse aggiuntive alla scuola pubblica e alla cultura, un miliardo e mezzo in più alla cassa integrazione in deroga, 12 mila esodati salvaguardati, un intervento sull’Irpef dei lavoratori che per quanto modesto è una inversione di tendenza rispetto agli scorsi anni, la deducibilità dell’Imu per le imprese”.
Poi a due riprese gli vengono poste domande sulle critiche di Renzi, secondo cui 14 euro di cuneo fiscale sono pochi. E Fassina risponde: “Non avevamo bisogno di Renzi per sapere che sono pochi”. Poi alla domanda relativa al fatto che Renzi dice che alla gente non interessa nulla delle dimissioni di Fassina, l’interessato risponde: “Ho posto un problema politico, ho trovato il premier disponibile ad affrontarlo, sarebbe più comodo per me allungare la fila di chi coltiva la critica permanente”, “fare i pierini è facile ma non consente di dare risposte”.
Sulla prima pagina de Il Giornale Nicola Porro in un editoriale scrive: “L’anno prossimo gli italiani pagheranno più tasse. E’ inutile girarci intorno”. Nel 2014 l’Imu frutterà alle casse dello Stato 20 miliardi, ai quali si dovranno sommare 3,7 miliardi della nuova imposta immobiliare sui cosiddetti servizi indivisibili (Tasi). Inoltre, i Comuni avranno la facoltà di aggiungere nuove imposte immobiliari per un tetto massimo di 5 miliardi. Insomma, “lo Stato arma gli enti locali con la facoltà di tassare e allo stesso tempo li indebolisce, finanziariamente, tagliando loro i finanziamenti”. Alla batosta sull’Imu vanno poi aggiunti i 4 miliardi di Iva aggiuntiva, che abbiamo appena alzato al 22 per cento.
Anche alle pagine interne: “Ecco il trucco: la Tasi più cara dell’Imu”. “La nuova tassa porterà nelle casse del Stato 3,7 miliardi contro i 3,3 del 2012. Il ministero smentisce ma Capezzone lo sbugiarda”.
Daniele Capezzone è il Presidente della Commissione Finanze della Camera. Il tema trova spazio sulla seconda pagina del Corriere della Sera: “Tasse sulla casa, scontro tra Pdl e Tesoro”. Secondo la relazione tecnica del ministero del Tesoro, il gettito del nuovo tributo (Tasi) sui servizi indivisibili dei Comuni (3,7 miliardi) sarà superiore a quello dell’Imu sulla prima casa, ovvero 3,3 miliardi come aliquota standard, che viene abolita. Il ministero con una nota ha spiegato che i 3,7 miliardi della Tasi sono da mettere in rapporto ai 4,7 garantiti dall’Imu e dalla vecchia Tarsu sui servizi. 1 miliardo di meno, sostiene il Tesoro, coperto con un trasferimento dello Stato ai Comuni.
Su Il Giornale si capisce la motivazione di Capezzone in questi termini: il gettito cui fa riferimento il ministero resta quello relativo alla aliquota standard, quando invece ci saranno maggiorazioni molto consistenti. Insomma, il ministero dà per scontato che i Comuni si limitino ad applicare l’aliquota minima, insiste Il Giornale.
Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’Economia, nega che con la nuova Service Tax si possano pagare più tasse di prima, e spiega, in una intervista a La Stampa: “La nuova tassa abolisce l’Imu sulla prima casa e la vecchia Tares. L’Imu prevedeva una aliquota di base del 4 per mille elevabile fino al 6. Per evitare che la somma delle due tasse nella nuova service tax comporti un aggravio fiscale per i cittadini, il governo ha fissato l’aliquota massima per il 2014 al 2,5 per mille e ci ha messo sopra 1 miliardo per arginare il rischio che i Comuni siano costretti ad elevare il carico. Possiamo quindi escludere che la nuova tassa superi, per ammontare, la sommatoria delle due imposte che va a sostituire.
Secondo Il Sole 24 Ore conteggiando gli effetti del blocco dei contratti e degli stipendi individuali dei dipendenti pubblici che la legge di Stabilità conferma per il 2014, gli impiegati perderebbero fino a 4-5 mila euro lordi all’anno e i dirigenti potrebbero arrivare a perdere 21 mila euro. Sono gli effetti del quinto anno di congelamento contrattuale per gli statali. Inoltre Il Sole sottolinea che la legge di stabilità 2014 amplia il meccanismo di erogazione a rate per la buonuscita, prevedendo il pagamento in due anni se l’indennità supera i 50 mila euro, e in tre se si sale oltre 100 mila euro. Si allarga quindi la perdita in termini di mancati interessi per il ritardo dei versamenti.
Scelta civica, Monti
Ieri nel corso della trasmissione Rai In mezz’ora Mario Monti ha parlato a lungo del governo Letta: ha detto che dovrebbe durare “cinque anni” ed ha “il miglior premier possibile”, ma “per il predominare di Pd e Pdl è diventato il governo del disfare alcune riforme fatte in passato”. A riferire ampiamente le dichiarazioni di Monti è il Corriere, che scrive ancora altre parole pronunciate dall’ex leader di Scelta Civica: “Tutto è condizionato dalla posizione del senatore Berlusconi. D’altra parte, dopo che varammo la legge Severino, Alfano alla Camera ritirò la fiducia alla politica economica del mio governo”. Sull’Imu, Letta “si è inginocchiato al Pdl, con la conseguenza di una manovra non adeguata sul cuneo fiscale e facendo aumentare l’Iva”. Su quel che accade dentro Scelta Civica, secondo Monti c’è una chance che alla fine il gruppo del Senato resti in piedi, perché – ha spiegato – “alcuni di quegli 11 senatori che hanno messo la firma su quella dichiarazione mi hanno detto di loro iniziativa in queste ore che non intendono assolutamente seguire gli altri su due cose: voteranno per la decadenza di Berlusconi e non vogliono un gruppo con l’Udc”. Monti ha lasciato capire che voterà per la decadenza di Berlusconi: “Per me la votazione è sull’applicazione di una legge approvata un anno fa e che allora non fu contestata, non è un giudizio su una persona. Qui vediamo se in Italia c’è o no lo Stato di diritto”, poi ha aggiunto che “se venisse usata la grazia per Berlusconi io non mi scandalizzerei”. E ancora: Monti trova “strano che Mauro e Casini critichino Scelta Civica per un non sufficiente appoggio al governo e si schierino con chi lo contrasta”.
Andrea Olivero, uno dei cinque fondatori di Scelta Civica e tra i 12 senatori firmatari del documento che ha scatenato le dimissioni di Monti, in una intervista a La Stampa, dice che nelle parole del professore “c’è una dismisura che nasce dal risentimento”. Dice che “un conflitto di idee non è lesa maestà”, che il documento non era “contro di lui” ma è stato “utilizzato come il pretesto che forse Monti in qualche modo cercava”. Secondo Olivero ci si è rifugiati in un “immobilismo elusivo” per quel che riguarda Scelta Civica, visto che Monti “non si è accorto che due settimane fa Berlusconi è stato messo in minoranza nel Pdl”. Insiste: “Noi non vogliamo andare con il Pdl in prospettiva. Nessuna lista comune alle europee né dopo. Né ci interessa fare la gamba moderata in una riedizione della Casa delle libertà diversamente berlusconiana”. Il modello è per Olivero la Cdu tedesca, “che si lascia sempre qualcuno a destra e se necessario fa il governo con la Spd”. Quanto al voto imminente sulla decadenza di Berlusconi, dice: “Io e la maggioranza dei firmatari, lo so per certo, ci comporteremo come avevamo deciso da tempo, votando la decadenza di Berlusconi non per ostilità personale ma in applicazione della legge”.
Secondo La Repubblica la situazione all’interno di Scelta civica è invece la seguente: “La tentazione del gruppo dei 12. ‘Salvare Silvio? Scelta di coscienza. Albertini: elasticità sulla decadenza. Olivero: si dichiari il voto’”. Per spiegare questa ultima dichiarazione si citano le parole dello stesso Olivero: “Ognuno di noi dovrà dire agli elettori cosa intende legittimamente fare”.
Sulla decadenza di Berlusconi oggi su L’Unità un articolo analizza la situazione: secondo il quotidiano il pensiero di Berlusconi si riassume in un “o mi salvate o affondo il governo con la legge di stabilità a dicembre”. Gli obiettivi immediati del Cavaliere sarebbero due: la Giunta del regolamento del Senato, che deciderà come votare in Aula (voto segreto o palese) e il voto stesso in Aula, che Berlusconi vorrebbe segreto per offrire la possibilità a moderati e garantisti di tutti gli schieramenti di votare in libertà di coscienza. E’ una doppia partita che si giocherà al massimo entro novembre. Ecco perché il Cavaliere avrebbe indica dicembre come data limite: anche perché per allora la Consulta avrà detto al Parlamento come correggere la legge elettorale. E a dicembre il Pd avrà un nuovo segretario. Se sarà Renzi la spinta alle urne potrebbe trovare alleati. L’obiettivo è quindi restare libero e senatore fino a quella data. Ma la partita passa per forza dal congelamento della applicazione della legge Severino. Ieri Angelino Alfano è tornato a ribadire la contrarietà ad una applicazione retroattiva di questa legge. Ma prima di arrivare al voto in Aula il passaggio decisivo è la giunta per il regolamento del Senato: su 13 senatori votanti, 6 si sono espressi per il voto segreto (secondo prassi, ricorda L’Unità) e sei contrari. L’ago della bilancia è Linda Lanzillotta, Scelta Civica, montiana di ferro. Monti non ha dubbi su come si comporterà il suo partito in Aula, a favore della decadenza. Ma il senatore non si pronuncia sul voto della Giunta, che è il passaggio decisivo, perché se il voto sarà palese sarà più difficile puntare sul voto di coscienza. Il quotidiano intervista la stessa Lanzillotta. La senatrice ricorda che il partito non ha ancora deciso: “E non c’è dubbio che io sia contraria tanto alle norme in favore quanto a quelle a sfavore di casi specifici. Ma in questo caso si tratta di valutare e interpretare i precedenti, quante altre volte è successo che il Senato abbia respinto il voto segreto. Ecco perché sarà importante il lavoro dei due relatori: la senatrice Bernini, Pdl e il senatore Russo, Pd.
La Repubblica riferisce dell’orientamento di Gianni Cuperlo, uno dei candidati alla segreteria Pd: “E’ auspicabile il voto palese”, ha detto, in riferimento a quanto dovrà essere deliberato dalla Giunta per il Regolamento, ma “c’è un Regolamento e non vorrei che precipitassimo nelle regole contra personam”.
Occupy
Chi sono i protagonisti dell’accampamento di Porta Pia a Roma? Se ne occupa L’Unità interpellando i leader dell’organizzazione Action, una delle tre gambe del Movimento “per il diritto all’abitare” della Capitale. Le altre due gambe romane, che domani incontreranno il governo, sono lo storico “coordinamento di lotta per la casa” e i BDP, che sta per blocchi precari metropolitani, gruppo nato nel 2007 tra disoccupati, immigrati, giovani precari, sfrattati, che hanno occupato immobili privati lungo l’asse della via Prenestina. Chiedono il blocco degli sfatti per morosità, rifiutano la situazione di quelli che pensano sarebbero nuovi palazzoni, magari oltre la cintura del grande raccordo anulare, e spiegano: “Non vogliamo altri quartieri ghetto, né altri favori ai palazzinari, hanno già costruito abbastanza dilapidando territorio, ci sono milioni di metri cubi di edifici sfitti, basta riqualificarli, se non sono capaci lo possiamo fare noi”. Chiedono anche “reddito diretto e indiretto”, e spostamento di fondi da grandi opere come la Tav alle esigenze sociali che i Comuni da soli non ce la fanno più a sostenere.
Anche La Stampa ha un reportage sugli antagonisti: “In tenda a Porta Pia contro euro e governo. ‘Siamo disperati’”.
E il Corriere della Sera: “’Lavoriamo al bar e nei call center’. I ragazzi in tenda dopo la guerriglia”. “’La nostra è rabbia, non violenza’, e citano il filosofo Agamben”. Parlano infatti di “Stato d’eccezione”: “Ciò che per voi è illegale per noi è legittimo, capisci?”.
Un racconto sull’accampamento (“acampada”) di Porta Pia anche su La Repubblica: “Ai black bloc non frega niente di noi, ecco perché li abbiamo cacciati via”, “tra gli acampados di via Nomentana: loro la casa e la macchina ce l’hanno”. Scrive il quotidiano che “quelli di Porta Pia, metà sono stranieri, africani, sudamericani, manovali dell’est”. Secondo il quotidiano le richieste “non negoziabili” sono: blocco degli sfratti e della vendita del patrimonio pubblico, un piano di politiche abitative pubbliche, no alle grandi opere e ai grandi eventi, ritiro della Bossi Fini e cittadinanza per i rifugiati”.
Internazionale
Su La Repubblica, occupandosi della composizione della Grosse Koalition in Germania, si scrive che Angela Merkel ne sarà il numero 1 ma, con ogni probabilità, il vero numero 2 sarà un’altra donna, Hannelore Kraft, governatore del Nord Reno Westfalia (lo Stato più popoloso del Paese).
Sul Corriere un reportage di Lorenzo Cremonesi dai villaggi lungo il Nilo: “Tra i cristiani nell’Egitto dell’odio, ‘ormai ci attaccano ogni giorno’, Chiese devastate, immagini sacre devastate. Gli estremisti islamici accusano i copti di complicità con il regime”.
Il quotidiano interpella un ricercatore e giornalista del quotidiano copto Watani, che dice: “Un conto è inneggiare a Morsi (l’ex presidente dei Fratelli Musulmani deposto) contro i sostenitori di Sisi (il generale che lo ha detronizzato). Un altro è bruciare case e negozi dei copti, accusati dagli imam dei villaggi di non pagare le tasse che ai tempi degli emirati islamici venivano imposti a ebrei e cristiani (i cosiddetti Dhimmi) i non musulmani soggetti alla maggioranza.
La Repubblica ricorda che domani si vota in Israele per le Amministrative: in ballo ci sono le municipalità delle maggiori città, da Haifa a Tel Aviv, ma la battaglia per la poltrona di sindaco a Gerusalemme ha un sapore del tutto particolare. Lo scontro diretto è infatti all’interno della destra, dell’alleanza che sostiene il premier Netanyahu. A sfidare il sindaco uscente Barkat c’è Moshe Lion, uomo d’apparato scelto da Avigdor Lieberman, leader dei nazionalisti e dai rabbini ortodossi, che governano le popolose comunità haredi della Città Santa come feudatari. L’alleanza nazionalisti-religiosi vuole un suo uomo a governare Gerusalemme, custode religiosa dell’ebraismo, che deve restare ben distinta dalle luci e dalle attrattive di Tel Aviv.
Il quotidiano descrive poi il sindaco uscente Barkat, per cui Gerusalemme è un “tesoro internazionale e una città complessa”, in una “democrazia diversa che deve servire i suoi abitanti ebrei, cristiani e musulmani”. L’ultimo sondaggio dice che è in vantaggio di una quidicina di punti, ma gli indecisi sono al 20 per cento. Al voto non partecipano i residenti palestinesi che abitano nella parte est della città, occupata nel 1967, pur essendo il 40 per cento degli abitanti. Per evitare brutte sorprese nel governo, Netanyahu ha deciso di non schierarsi, temendo di inimicarsi l’alleato Lieberman. I laburisti, con la loro Shelly Yachimovich, hanno invitato a votare per la lista comune con l’altro partito di sinistra Meretz per il consiglio, ma hanno indicato Barkat come sindaco.
Su La Stampa Roberto Toscano si occupa della campagna elettorale in India, anche se la data delle parlamentari non è ancora stata fissata e si sa che dovranno comunque svolgersi all’inizio del 2014. “Oggi in India – scrive – non si parla di programmi, di destra e di sinistra, di liberismo contro statalismo, ma soltanto di due cose: l’ascesa in campo di Narendra Modi, chief minister (noi diremmo governatore) dello Stato del Gujarat, e la crisi del partito del Congresso”.
“Mercato e xenofobia, l’indù Modi all’assalto del potere dei Gandhi”, “il leader nazionalista punta suiu successi economici nel suo Stato per battere Raul (Gandhi), figlio di Sonja. L’uomo forte del partito Bjp non ha mai condannato la strage di islamici del 2002.
E poi
Alle pagine R2 della Repubblica un reportage sul “cuore armato dell’America”. “Si battono per il diritto di possedere rivoltelle e fucili, Obama è il loro nemico:gli uomini e le donne che formano l’anima più dura della destra Usa. Dopo aver paralizzato il Paese per settimane promettono di non uscire di scena. Ne scrive l’inviato in Texas Massimo Vincenzi, mentre Vittorio Zucconi racconta “il culto della pistola che gli yankee credono un diritto”, perché 30mila morti all’anno non scuotono la coscienza della Nazione.