Le aperture
Il Corriere della Sera: “Accordo sull’articolo 18. Sì al modello tedesco. Appello per il consenso delle parti sociali. Cambieranno le intercettazioni”. E’ l’esito del vertice di maggioranza, ieri con Monti. “Intesa sulla giustiiza, rinvio sulla Rai”. A centro pagina due notizie: “L’epurazione del principe maoista” (Sergio Romano), cioè la caduta in disgrazia di Bi Xilai, leader del Pcc che “dalla provincia insidiava prassi e strategie del potere messe a punto a Pechino”; e le polemiche italiane sugli Ogm, dopo le recenti dichiarazioni del ministro dell’Ambiente Clini: “Ogm? Non ci servono. Il ministro dell’Agricoltura contro l’apertura di Clini”.
La Repubblica: “Lavoro e giustizia, sì all’accordo. Svolta al vertice, il premier sicuro che si possa varare l’intesa con i sindacati entro martedì. Nulla di fatto sulla Rai, se ne occuperà un altro summit. Patto tra Monti e i leader della maggioranza. Nuova legge anti-corruzione”. A centro pagina: “La Cassazione: alle coppie gay gli stessi diritti delle famiglie. ‘Ma no al matrimonio omosessuale'”. In evidenza anche un richiamo sul prezzo della benzina, che ha superato quota 2 euro: “Battuto il record del 1977. Allo Stato va il 50 per cento del prezzo. Gli automobilisti in rivolta”.
La Stampa: “Lavoro e giustizia, c’è l’intesa. Tra premier e leader dei partiti accordo sul ddl corruzione e intercettazioni. Articolo 18, passa il modello tedesco. Ma sulla Rai la partita resta aperta”. “Monti: liberalizzazioni, non si arretra. Restano gratis i conti correnti per i pensionati. Commissioni bancarie, parola al Parlamento”. A centro pagina le notizie sull’incidente che ha provocato la morte di 22 bambini belgi: “L’autista stava cambiando un dvd”. Pure a centro pagina la sentenza della Cassazione sulle coppie omosessuali: “Ai gay gli stessi diritti delle coppie etero”.
Il Giornale: “La cricca del fango. Gli ossessionati dall’ex premier. Con la Guzzanti nuovo flop degli anti Cav militanti. E Santoro ci riprova con la mafia”, con foto del conduttore tv, della comica, di Gioacchino Genchi e Massimo Ciancimino.
Articolo 18
Scrive Il Sole 24 Ore che per i licenziamenti discriminatori o nulli l’articolo 18 resterà così come è. Per i licenziamenti per motivi economici e disciplinari invece sarà modificato. Come? Il “cantiere è aperto”, scrive il quotidiano di Confindustria, ma il modello di riferimento sarebbe quello “tedesco”, cioé “è il giudice che decide se optare per il reintegro del lavoratore in azienda (in Germania quasi mai applicato) oppure prevedere un indennizzo economico.
La Stampa dedica un “dossier” al “Modello tedesco” e parte dal “cosiddetto caso Emmely”, una cassiera di supermercato che tre anni fa fece molto discutere la Germania: aveva rubato due gettoni per il vuoto a rendere, 1 euro e trenta di valore. Venne licenziata in tronco. Il caso suscitò molto scalpore nel Paese, ma i giudici per due volte le diedero torto: il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e con i clienti era irrimediabilmente compromesso. Solo un terzo tribunale le diede ragione, sostenendo che 1,30 di infrazione non potessero spazzare via un trentennio di carriera impeccabile. E tornò a lavorare al supermecato. Il quotidiano scrive che il caso Emmely è “statisticamente una eccezione” in Germania, mentre in Italia, se la sentenza dà ragione al lavoratore, è previsto “sia l’indennizzo che il reintegro”. In Germania nell’84 per cento dei casi si opta per il risarcimento, nel 16 per cento dei casi i giudici decidono di far tornare il lavoratore al posto di lavoro. E anche in quesi casi “i lavoratori si oppongono quasi sempre”. La quota reale di lavoratori che vengono reinseriti al vecchio posto di lavoro è del 5 per cento. Dal 2004 inoltre, con l’introduzione dell’ultimo pacchetto di riforme del lavoro del governo Schroeder (Hartz IV) è arrivata anche una legge che incoraggia le aziende a mettersi d’accordo subito su un risarcimento congruo con il lavoratore licenziato. Se accetta, il caso si chiude. Se decide di andare avanti, va in tribunale e perde e ‘rischia di rimanere con un pugno di mosche’, come dice il giurista Pietro Ichino. Il risultato è che ormai la maggior parte delle cause di licenziamento, in Germania, si risolve prima del ricorso al giudice.
Il quotidiano interpella anche una esperta dell’Istituto di ricerca della Agenzia federale del lavoro tedesca: spiega che nella prassi la strada maestra è quella dell’indennizzo, perché pur di evitare le lunghezze e le incertezze del procedimento giudiziario molte società preferiscono accordarsi per versare una somma di denaro ai lavoratori licenziati. In particolare le grandi aziende. L’indennizzo medio si aggira intorno ai 9700 euro. C’è alla base una regola, che si riassume come “selezione sociale”: in caso di licenziamenti per motivi economici la scure si abbatte prioritariamente sui dipendenti per i quali la perdita del posto ha effetti meno virulenti, tenendo presente criteri come l’età, l’anzianità aziendale, l’obbligo di pagare gli alimenti all’ex coniuge. L’indennizzo può ammontare a 12 mensilità, che salgono fino a 15 per gli ultracinquantenni che lavorano in azienda da almeno 15 anni oppure a 18 mensilità per gli ultracinquantenni con venti anni di anzianità aziendale. Un ruolo cruciale lo ha anche il consiglio di fabbrica, che il datore di lavoro è obbligato a sentire per motivare la sua decisione. Se il consiglio di fabbrica si oppone al licenziamento e se il lavoratore ha sporto causa contro il provvedimento, l’azienda ècostretta a continuare ad impiegare il dipendente fino alla sentenza del tribunale. E prima dell’inizio del processo, le parti si incontrano per una udienza di conciliazione che si conclude spesso con una intesa: circa 3/4 dei processi sfociano in un compromesso; nel 20 per cento dei casi si arriva a una sentenza di convalida del licenziamento, mentre in appena il 3 per cento la sentenza giudica nullo il licenziamento.
Pd, Ps, Spd (la foto di Parigi)
Domani si svolge a Parigi un incontro dal titolo “Un nuovo rinascimento per l’Europa. Una visione progressista comune. Riunirà partiti di centrosinistra e thik tank a loro vicini a sostegno della candidatura del socialista Hollande alle presidenziali francesi. Verrà stilato un documento comune, pensato – come scrive su Europa il direttore dell’ufficio di Parigi del German Marshall Fund, François Lafond – “per funzionare come road map del centrosinistra dei prossimi due anni”. Ci saranno anche la Spd tedesca e il Partito Democratico, ci saranno Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. Sarà un tentativo di ritrovare l’ispirazione di un tempo, di quando la sinistra socialdemocratica, “modernizzatrice, della terza via, era al potere in gran parte alla fine degli anni 90”, di elaborare una alternativa alla tendenza attuale che vede sparire l’Unione europea come attore globale, frenare il ritorno delle pulsioni nazionali. Lafond ricorda che servirà anche a dare al candidato socialista Hollande il lustro internazionale che gli manca, sarà una risposta all’Europa “intergovernativa”, la cui visione è condivisa tanto da Sarkozy che dalla Cancelliera tedesca. Sarà l’occasione per vedere se saranno superabili le vecchie contraddizioni interne al Partito socialista francese, mai superate dal no al referendum sul trattato costituzionale del 2005. Di certo sarà un documento a favore della crescita economica, per non rimanere ingabbiati nella logica dell’equilibrio dei conti pubblici. Si parla quindi già della “foto di Parigi”, ed un altro articolo di Europa dice che Pierluigi Bersani ci crede moltissimo: è l’asse Ps-Spd-Pd. Iniziativa costruita dalle fondazioni progressiste europee (la Feps è presieduta da Massimo D’Alema).
Sulla prima pagina de Il Foglio un articolo sull’incontro, in cui si dà conto di un documento sottoscritto da 13 parlamentari Pd (tra gli altri ci sono Fioroni, Follini, Garavaglia ed altri), il cui senso è riassunto dal quotidiano così: “La foto di Parigi è un suicidio”. Oppure: “Caro segretario, scusaci, ma questa storia che il Pd deve sostenere un candidato antieuropeista, antiformista e antiliberista come Hollande a noi non sta bene”.
Cina
Su ll Sole 24 Ore due ampi approfondimenti spiegano il “terremoto” nel Partito comunista cinese, a poche ore dalla chiusura della assemblea nazionale del popolo, chiusa con gli ammonimenti del premier Wen Jabao (“Senza le riforme politiche, il Paese corre il rischio di rivivere tragedie dolorose come quelle della rivoluzione culturale”). Il terremoto è l’epurazione di uno dei leader emergenti della nomenklatura: è stato silurato Bo Xilai, si apre all’interno della leadership una vera guerra di potere, in vista della grande transizione ai vertici che sarà sancita al congresso del Partito di ottobre. Bo Xilai è figlio d’arte, poiché suo padre è uno degli eroi della Lunga Marcia. E’ balzato agli onori delle cronache per una offensiva contro la criminalità di Chongqing. E’ una storia controversa, alcuni lo accusano di aver favorito imprenditori a lui amici nella lotta contro la corruzione, altri di aver condotto una feroce repressione contro gli esponenti della setta religiosa Falun Gong.
Il modello Chongqiing viene definito nella analisi di Francesco Sisci come una ideologia alternativa a quella dei riformisti. Bo Xilai era un “populista che si ispirava a Mao”. Attaccò le bande mafiose che dominavano la vita della città, lanciò un movimento per il ritorno allo spirito egualitario della rivoluzione culturale. Ma il modello prevedeva elementi in controtendenza rispetto al modello impostosi negli ultimi trenta anni in Cina: le imprese private in città non avevano vita facile. Bo preferiva le imprese di stato e la concorrenza tra esse. Ma la crescita della Cina è stata invece trainata dalle imprese private. Limitarne lo sviluppo avrebbe riportato la possibilità di avanzamento sociale al solo canale della burocrazia. Il fatto è che la politica di Bo otteneva però sostegno popolare, poiché in Cina la popolazione accetta lo strapotere dello Stato e delle sue aziende ma mal sopporta l’arroganza dei nuovi ricchi.
Il Foglio (“Non è più un Paese per Mao”) racconta il siluramento “in diretta tv” dell’astro nascente del Partito comunista cinese, che “aveva scalato i vertici a colpi di manette e inni per la rivoluzione culturale”. Il quotidiano ricorda che Bo Xilai aveva “speso cinque anniper tirare a lucido Chongqing, una metropoli da trenta milioni di abitanti diventata una vetrina della Cina” che il dirigente comunista aveva immaginato: “welfare generoso, repressione della corruzione e ripesa fddegli inni maoisti di una volta. A forza di purghe contro imprenditori tropo facilemnte indicati come capimafia ed esibiti fieramente come trofei di caccia, il modello Chongqiing era diventato un miracolo. Bisognava andarci, per toccarlo con mano”. Al suo posto il Pcc ha inviato “un vecchio gerarca di specchiata osservanza”, scrive il quotidiano.
Siria
Su La Repubblica è Bernard Guetta ad occuparsi della repressione in Siria, ad un anno dall’inizio della rivolta. Sottolinea che fornire armi ai civili che non le hanno mai maneggiate “non servirebbe a controbilanciare un regime armato fino ai denti”. E a meno di voler ripetere l’avventura irachena, nessuna potenza può intervenire senza l’avallo del consiglio di sicurezza: che non ci sarà perché Cina e Russia “non vogliono che l’Onu prenda l’abitudine di andare a difendere un popolo che lotta per la sua libertà”. Per Guetta Assad sa benissimo che i siriani non possono sperare in un soccorso dall’esterno, ed il regime ha buone probabilità di superare questa ondata di contestazioni. Ma poi per gli ottimisti lo scenario possibile è che Assad otterrà solo “una vittoria di Pirro”, rimanendo odiato dal suo popolo e con le casse svuotate dalla guerra, quindi destinato a cadere, prima o poi. I pessimisti pensano invece che il mondo finirà per trattare con l’assassino di Damasco, invitandolo ad una mediazione.
Turchia
Su La Repubblica un reportage dalla Turchia di Bernardo Valli: “La telediplomazia conquista gli arabi”. C’è politica nella ricetta del modello Ankara nella regione, ma la tv è fondamentale per spiegarne il successo. Le soap operas turche battono ogni record di ascolto e raccontano un nuovo medio oriente. I protagonisti propongono uno stile di vita trasgressivo, sono amati: da tre anni “le avventure di Noor” incollano milioni di persone ai teleschermi.
Chiesa (negli Usa e a Cuba)
La Stampa dà conto di un documento della Conferenza episcopale Usa con cui si invitano i cattolici alla mobilitazione contro la riforma sanitaria di Obama. Non accettano il compromesso sul tema della contraccezione. Nel gennaio scorso il dipartimento sulla salute pubblica aveva accettato l’opinione secondo cui i contraccettivi sono parte della medicina preventiva. Quindi aveva richiesto a tutti i datori di lavoro di fornirli gratuitamente ai dipendenti attraverso le assicurazioni sanitarie. Le Chiese e le organizzazioni religiose erano esentate, ma non le strutture associate, come ospedali e scuole. Obama, temendo di perdere, a seguito delle contestazioni, anche di alcuni cattolici liberal, una parte dell’elettorato, aveva fatto una piccola marcia indietro, stabilendo che i dipendenti delle strutture associate ai gruppi religiosi continueranno a ricevere i contraccettivi gratis, ma saranno le assicurazioni a pagarli anziché i datori di lavoro. A guidare la protesta di questi giorni è l’Arcivescovo di New York Timtothy Dolan, cui il quotidiano dedica un ritratto (“Il Papa americano, con il berretto da baseball, che guida la protesta”).
Benedetto XVI sarà a Cuba dalk 26 al 28 marzo, ed un gruppo di dissidenti cubani (otto uomini e cinque donne) ha deciso di occupare una chiesa della Capitale. Chiedono che il Papa si faccia carico di richieste legate a riforme politiche e diritti umani. Chiedono la liberazione di tutti gli ostaggi politici, la fine della repressione per gli oppositori, l’accesso alla informazione senza censura, Internet incluso.
DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini